Eucaristia, vita altra per la vita oltre

News del 08/08/2009 Torna all'elenco delle news

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo: Gesù vuole realizzare con noi una comunione che sia molto più profonda, intensa e duratura, e che perciò cancelli le barriere dello spazio e lanci ponti tra le sponde dei tempi.

1. Il vangelo oggi si apre con una annotazione amara: “I Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: ‘Io sono il pane disceso dal cielo’”. La mormorazione è il tipico atteggiamento di cuori induriti, che non vogliono accettare la logica di Dio. È stato l’atteggiamento costante del popolo di Israele nel deserto; la mormorazione è il mugugno ostile di chi non permette a Dio di essere Dio e pretende piuttosto di imporgli i propri schemi miopi e meschini. È inevitabile il ricordo della manna: Dio l’aveva data ai “padri” nel deserto, perché avevano mormorato, ma anche dopo averla ricevuta essi hanno continuato a lamentarsi. Ma ora - insiste Gesù - come possono i Giudei recriminare se il pane che egli darà, a differenza della manna, permette di vivere in eterno?
Cristo è la vera manna, il pane venuto dal cielo: chi se ne nutre, assimila la sua persona, e lo Spirito che lo abita diviene il nostro stesso spirito. Noi entriamo con lui nel regno dell’amore e diventiamo, come lui, un dono di Dio per la fame del mondo. Questa è l’eucaristia: è la comunione con Cristo risorto.
L’eucaristia ci immette nell’orbita della vita eterna. Nell’ultima cena con i suoi discepoli, Gesù spezzerà il pane dicendo: “Questo è il mio corpo offerto per voi... Questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue versato per voi” (Lc 22,19s). Interpretato alla luce di queste parole, il pane spezzato è il simbolo profetico della morte violenta; il pane mangiato e il vino condiviso parlano di un corpo immolato, di un sangue versato. Durante la cena, Gesù “rappresenta” la sua morte imminente. Eppure il gesto di benedire il pane e di offrirlo non è di per sé un simbolo di morte: il pane si mangia per vivere, il vino si beve e si brinda in segno di salute. L’eucaristia è certamente sacrificale, ma è pur sempre una cena; per l’Apostolo è “la cena del Signore”, “la mensa del Signore” (1Cor 11,20; 10,21). Ora, non dobbiamo dimenticare che “Signore” è il nome pasquale “al di sopra di ogni altro nome” che a Cristo viene attribuito dal Padre con la risurrezione dai morti. È quindi Gesù risorto che presiede la mensa eucaristica, che offre il pane e il calice, e si rende presente come nell’ultima cena, anzi come nelle sue apparizioni nel cenacolo, la sera di Pasqua e otto giorni dopo. Per il fatto stesso che l’eucaristia si celebra di domenica, il giorno del Signore, questo indica che essa è il sacramento della Pasqua, è la sua trasparenza nel mondo, una forma permanente dell’apparizione del Risorto alla sua Chiesa.
La domenica, Pasqua settimanale, la Chiesa si riunisce in assemblea per incontrare il Crocifisso vivente, per ascoltarne la parola, per attuare la comunione con lui nella frazione del pane.

2. L’eucaristia non è solo il sacramento della risurrezione del Signore crocifisso; è anche, e proprio per questo!, il sacramento della nostra risurrezione. Abbiamo ascoltato il messaggio centrale del vangelo di questa domenica: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. E domenica prossima Gesù aggiungerà: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. L’eucaristia è un pane celeste, spirituale e sorgente di Spirito, in cui la Pasqua del Signore diventa la nostra, non per aggiunta o per applicazione dal di fuori, ma per assimilazione interna: “Come il Padre, che ha la vita - dice il Signore - ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. (...) Chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,56.58).
Ecco cosa ci ottiene la Messa: ci fa vivere di Gesù, ci genera alla vita eterna: non ci estranea dalla storia di quaggiù, ma ci fa camminare nel tempo “come vivi tornati dai morti” (Rm 6,13), come uomini già risorti, anche se non ancora in un “corpo spirituale”. I primi cristiani decantavano l’eucaristia come “l’antidoto per non morire” (s. Ignazio Ant.). Sapevano bene che tanti loro fratelli e sorelle avevano celebrato l’eucaristia, eppure erano morti e sepolti. Lo stesso s. Ignazio, che pure utilizzava la formula citata poco fa', aspirava alla morte in cui sarebbe finalmente nato in lui il cristiano. È vero: l’eucaristia non ci impedisce di morire, ma opera in noi quello che avviene con la consacrazione del pane: una trasformazione radicale. Facendoci morire con Cristo, l’eucaristia ci consacra nella sua Pasqua e la morte diviene una nascita filiale. Ora, quando la morte si trasforma in una nascita, la vita diventa eterna. Il pane eucaristico non ci risparmia la morte fisica, ma ci proietta nella risurrezione di Cristo e ci fa partecipare alla sua vita immortale.
“Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù”, ci esorta s. Paolo: le “cose di lassù” non sono le cose di un qualche asteroide perso tra le stelle, dove passare l’eternità a suonare l’arpa, svolazzando tra cespugli di rose senza spine. Le cose di lassù sono i valori alti, quelli che vanno posti in cima a tutto, al di sopra di tutto: la verità, la bontà, la giustizia, la fraternità, la libertà. Una vita vera e piena, una vita alta e altra, è già l’inizio dell’altra vita.
Come possiamo mormorare contro Dio? Nell’eucaristia noi siamo invitati ad assimilare la vita stessa di Cristo, il Signore: come quella di Gesù, la nostra umanità si riempie dello Spirito di Dio e diventiamo una risposta d’amore alla fame di vita dei tanti fratelli. Per questo, ci occorre la fede: “chi crede, ha la vita eterna”, abbiamo ascoltato dal santo vangelo.
Non possiamo fare una faccia da funerale, uscendo da questa chiesa: qui noi non stiamo commemorando un grande personaggio della storia - fosse pure un Socrate o un Francesco d’Assisi. Stiamo incontrando il Risorto che ci dona il suo pane “perché chi ne mangia non muoia”, e ci comunica lo stesso Spirito, che è Signore e dà la vita: la vita per sempre. “E non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”: parola del Signore!

Testo di Mons. Francesco Lambiasi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi", Ave, Roma 2008 


Alimenti per il viaggio

La prima lettura di oggi (1Re 19,4-8) riguarda il profeta Elia, vissuto nell’antico regno dissidente d’Israele, colto in un momento di sconforto: dopo tante lotte, tanti rischi, tante imprese memorabili per ricondurre a Dio un popolo ribelle, egli deve costatare il proprio fallimento. Allora se ne va; si inoltra nel deserto, si corica sotto un ginepro e chiede a Dio di farlo morire; ma Dio interviene, mandandogli pane e acqua con l’ordine di proseguire il cammino, che lo porterà all’incontro diretto con lui. Lo sconforto di Elia riflette quello che prima o poi tanti provano: delusione, sfiducia, amarezza, coscienza dei propri limiti, voglia di gettare la spugna in quel match senza fine che a volte sembrano, uno dopo l’altro, i giorni dell’uomo. Ma quando avviene così, è perché ci si dimentica degli aiuti di Dio: la sua Parola, le sue promesse, la certezza che egli è sempre con i suoi e offre a loro sostegno il “pane dal cielo”. Elia, come gli ebrei con la manna, come la folla per la quale Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci, ha ricevuto un cibo materiale, concesso “una tantum” in circostanze particolari; quanto più grande è il nutrimento spirituale! Eppure esso non è appannaggio di qualche privilegiato, ma è disponibile per chiunque lo voglia ricevere, e non una volta sola, ma sempre, per quanto possa durare il viaggio sino alla meta. 
Testo di Mons. Roberto Brunelli (Testo integrale)

Testo di Mons. Vincenzo Paglia: Commento Giovanni 6,41-51

Il foglietto della Messa di domenica 9 agosto 2009

Liturgia di domenica 9 agosto 2009