25 novembre 2012: Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo

News del 20/11/2012 Torna all'elenco delle news

Dunque, tu sei Re?

Con questa domenica concludiamo l'anno liturgico, celebrando la festa di "Nostro Signore Gesu' Cristo re dell'universo". Con la prossima domenica inizieremo il nuovo anno, con l' "Avvento": così la fine aggancia l'inizio e sempre più lasciandoci afferrare dal mistero di Cristo sperimentiamo che nello scorrere del tempo irrompe l'eternità e l'inesauribilità della vita di Dio che gradualmente trasforma noi e l'universo.
La festa di Cristo re fu istituita dal Papa Pio XI nel 1921 in un contesto storico e sociale ben preciso, come grido di libertà di fronte ad ogni tipo di assolutismo e di totalitarismo: Cristo solo è il Re dell'universo, ma il suo è "un regno di giustizia, di amore e di pace".
Potremmo chiederci se ha ancora senso per noi, all'inizio del nuovo secolo, in un contesto ben diverso, celebrare questa festa, ma se anche solo per un istante ci fermiamo a riflettere sulla nostra esperienza, ci accorgiamo di quanto siamo esposti al rischio di soccombere di fronte a totalitarismi nuovi, più subdoli e raffinati e di quanto abbiamo bisogno di entrare in un rapporto profondo con Cristo Re per poter gustare e vivere intensamente la libertà che egli ci dona.
Certo le situazioni nuove in cui ci troviamo, ci spingono a riscoprire il senso della regalità di Cristo stando bene attenti al rischio che possiamo correre di strumentalizzazioni, usando la regalità di Cristo per imporre al mondo le nostre velleità di potenza.
Il brano del Vangelo che oggi leggiamo, Giov.18,33-37, è tolto dal racconto della Passione di Gesù, secondo Giovanni la cui intenzione precisa è di presentare gli eventi della Passione come un cerimoniale di inedita investitura regale: Gesù è rivestito di un mantello di porpora, è coronato di spine, viene fatto sedere su una cattedra, la croce è il luogo della elevazione da cui egli "attira tutti gli uomini a sé" (Giov.12,32). Tutto questo non lascia alcun dubbio alla interpretazione radicalmente nuova e paradossale della regalità di Cristo e mette in guardia la Chiesa di ogni tempo dalla pericolosa tentazione di compromettersi con qualsiasi potere politico con l'intenzione di promuovere il regno di Dio.
Il Vangelo di Giovanni si ferma a lungo sul processo di Gesù presso Pilato (Giov.18,28-19.16): i commentatori mettono in evidenza la struttura concentrica di questo racconto con al centro l'incoronazione di spine. Tutto si svolge presso il Pretorio e Pilato entra ed esce per parlare alternativamente a Gesù (dentro) e ai capi religiosi (fuori) che non vogliono entrare per non macchiarsi e poter celebrare la Pasqua. L'entrare e uscire di Pilato in realtà rivelano il suo dramma interiore: egli si trova faccia a faccia con Gesù, attratto dentro una relazione personale che lo interpella, al riparo da pressioni psicologiche o sociologiche. L'umanità di Pilato è toccata, messa in crisi da questa persona che gli sta di fronte, spogliata di tutto eppure forte di una potenza capace di risvegliare la verità nascosta nel profondo di ogni uomo. Ma ci vuole coraggio da parte di Pilato per lasciarsi condurre nel profondo di sé dalla disarmata parola di Gesù: eppure solo nella libertà l'uomo si realizza raggiungendo la propria verità. L'uomo Pilato forte di una potenza così fragile è condotto dalla onnipotente fragilità di Gesù sino alla soglia della libertà nella quale intravede la verità nella quale tutto ha senso. Ma anziché affidarsi, Pilato "esce", ha paura, è attaccato al suo potere, ha bisogno del consenso popolare, abdica alla libertà, alla verità di una esistenza autentica, condanna l'innocente, ben sapendo che la vera potenza sta proprio in Colui che egli ha condannato, che gli ha fatto sentire dove sta la verità, la libertà, la vita.
In questo contesto si colloca il piccolo brano che oggi leggiamo: siamo all'inizio dell' "interrogatorio" di Pilato, all'interno del Pretorio. Con la fine ironia che lo caratterizza, il Vangelo di Giovanni ci insegna a comprendere come alcuni gesti posti con una certa intenzione, contengano un ricchissimo, imprevisto, significato teologico. Qui, Pilato comincia ad interrogare Gesù sulla sua identità: ma è Gesù che conduce Pilato dentro se stesso e guidandolo ad interiorizzare le sue domande, lo fa entrare in una relazione nuova che può rinnovare radicalmente la sua vita.
All'interno del Pretorio, Pilato parla (ma è solo un suono di voce) a Gesù e gli dice: "Tu sei il re dei Giudei?". La relazione di Pilato con Gesù inizia, come un caso giudiziario. Gesù gli risponde (è la prima sorpresa) coinvolgendo Pilato personalmente: "Da te stesso tu dici questo o altri hanno detto a te di me?" Gesù stringe il rapporto "io-tu" e dall'essere semplicemente un caso giudiziario lo trasforma in una relazione personale, coinvolgente: Pilato è costretto a percepirne la risonanza dentro di sé. Chi è Gesù, se Lui è re dei Giudei, è possibile sperimentarlo solo entrando in un rapporto personale, profondo con Lui: a questo Gesù vuole condurre Pilato. Ma Pilato nasconde la sua umanità dietro la sua funzione: "Sono forse io giudeo?" E riconduce la sua relazione con Gesù alla responsabilità attribuitagli dalla gente e dai sommi sacerdoti. Eppure, ancora l'ironia giovannea apre imprevedibilmente orizzonti nuovi: "La tua gente e i sommi sacerdoti hanno consegnato (hanno affidato, hanno donato) te a me. Che cosa hai fatto?" Una denuncia diventa "un dono"e Pilato può conoscere "che cosa ha fatto Gesù": Giovanni ha già avvertito i suoi lettori che "Dio ha tanto amato il mondo da dare il proprio Figlio". E a Pilato che tende a chiudersi, Gesù continua ad aprire il mistero di quella sua potenza che fa paura ai potenti del mondo, di questo suo "regno" che sconvolge i regni della terra, ma di cui tutti hanno un infinito bisogno. "Il mio regno non viene da questo mondo?non viene da quaggiù": non viene dal mondo, dalla nascita, dal potere, dalle ricchezze, dal consenso degli uomini. E aggiunge una frase di estrema importanza per i suoi discepoli di ogni tempo: "Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei discepoli avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei". Quante volte nei secoli, e pure oggi, i suoi discepoli hanno pensato di dover combattere per il suo regno, impedendogli invece di compiere "ciò che egli vuole fare", ciò che esprime la sua forza, il dono totale di sé. "Disse dunque a lui Pilato: Dunque re tu sei? Gli rispose Gesù: "Tu dici che sono re". Come sempre accade nel Vangelo, Gesù non si lascia definire da nessun titolo: non rinnega il titolo di re eppure riconosce che Pilato glielo ha attribuito. Se dalla bocca di Pilato è uscita la risposta alla sua domanda iniziale è perché il suo cuore ha cominciato a lasciarsi afferrare da Gesù, che continua ormai a manifestarsi a lui: "Per questo sono stato generato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità": Gesù ha reso testimonianza alla verità, con la sua missione, con la sua persona. In realtà, testimonianza, missione, persona, sono la verità "da cui viene il suo regno" e questa verità è il suo essere Figlio del Padre: Gesù è generato dall'Amore del Padre; la sua missione è mostrare al mondo, nella radicale spogliazione di sé, che cosa significhi l'Amore del Padre; la sua testimonianza è l'Amore senza limite, perché questo è l'Amore del Padre. E questo è il regno di Cristo che non è "da questo mondo" ma è "nel mondo", è l'esperienza filiale di Gesù: dove non c'è potere, ingiustizia, egoismo, ma la forza dell'Amore; non ci sono sudditi, funzionari, soldati, non c'è una corte, ma ci sono amici. Il regno di Cristo si va sempre più espandendo nel mondo, in ogni ascolto paziente, in ogni sorriso incoraggiante, in ogni peso condiviso, in ogni sorriso affettuoso e amorevole, in ogni gesto di pace e di riconciliazione. 

Omelia di mons. Gianfranco Poma (Dunque, tu sei Re?)
 

Un regno d'amore che rende liberi

Pilato e Gesù uno di fronte all'altro. Pilato è l'uomo del potere e della paura insieme, per paura consegnerà Gesù al­la morte, contro il suo stes­so parere. Gesù invece è l'uomo della libertà. Lo leg­giamo nelle sue risposte co­sì franche e nitide. Allora chi è più uomo Due volte Pilato domanda: Tu sei re? Gesù risponde che il suo Regno non è di quag­giù, e lo mostra attraverso due caratteristiche che si oppongono a violenza e in­ganno, la duplice logica di ogni potere, i due nomi del Nemico dell'uomo.
I regni di quaggiù si com­battono, il potere ha l'ani­ma della guerra, si nutre di violenza. Gesù non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigio­niero.
Metti via la spada, ha detto a Pietro, altrimenti la ragione sarà sempre del più forte, del più violento, del più crudele. Per i regni di quaggiù l'essenziale è vin­cere, ma Lui dice: nel mio Regno l'essenziale è dare. Non c'è amore più grande che dare la vita per quelli che si amano. Il dono e non la rapina sono il perno del­la storia. La seconda caratteristica è la verità: sono venuto per rendere testimonianza alla verità. Prima di tutto alla verità di Dio: il volto vero di Dio è un crocifisso amore, disarmato amore, risor­gente amore. E poi la verità dell'uomo: il volto vero del­l'uomo è fatto di libertà e di fraternità, luminoso, veg­gente, amante. Come ave­va proclamato a Nazaret:
Sono venuto ad annuncia­re la libertà ai prigionieri, la luce ai ciechi, ai poveri che sono loro i principi, ai co­struttori di pace che sono lo­ro i signori della terra.
Cristo è re perché la sua fi­gura è generativa di uma­nità; perché innesta biso­gni inediti, crea una ten­sione a fiorire, un avanza­mento dell'umano, una intensificazione della vita.
Ogni credente ha ricevuto nel battesimo lo stesso po­tere. Ad ognuno il sacerdo­te ha detto: Tu sei re, ti è af­fidata una porzione di mondo, la devi reggere con saggezza e con giustizia. Al­le tue mani è consegnata u­na porzione di storia perché tu la faccia fiorire di li­bertà e di tenerezza.
Re secondo Cristo è chi di­sarma il proprio cuore, chi smaschera gli inganni, le menzogne e gli idoli del no­stro vivere. È re chi giudica l'arroganza, chi è libero nella verità, chi si prende cura d'altri. È re chi sa amare, perché l'amore possiede l'eternità.
Venga il tuo Regno, Signore, e sia bello come i sogni, sia intenso come le lacrime di chi visse e morì nella notte per costruirlo. 

Omelia di padre Ermes Ronchi


Una corona, ma di spine

Lo sguardo al futuro, che caratterizza le ultime domeniche dell'anno liturgico, si conclude oggi con la solenne prospettiva di Cristo Re. Parlare di lui come di un re, manifesta in realtà la povertà del nostro linguaggio, che associa a questa parola le figure di uomini - si chiamino re, o imperatori, o principi di vario grado, o più modernamente capi di stato o di governo - i quali decidono, spesso in modo arbitrario se non violento, le sorti dei loro simili. Il nostro vocabolario non dispone di un termine adeguato per esprimere il concetto della festa di oggi, per designare una sovranità che travalica i limiti della geografia e della storia, una sovranità che non si impone ma si propone e dunque non riduce in alcun modo la libertà dei "sudditi", una sovranità che non li strumentalizza per i propri fini ma anzi ad essi si dona, in vista del loro autentico bene.
Il regno di cui il Cristo è titolare è tutt'altra cosa rispetto ai regni e alle repubbliche di nostra conoscenza; tutt'altra cosa, a partire proprio da lui, che se ha portato una corona sulla testa è stata una corona di spine. La differenza risalta come più non si potrebbe dal brano evangelico scelto per oggi. Gesù si proclama re, proprio davanti a Ponzio Pilato, vale a dire davanti al rappresentante dell'imperatore di Roma, che soggioga con pugno di ferro la nazione cui anche Gesù appartiene, davanti a quell'uomo che ha su di lui potere di vita e di morte, e non esita ad usarlo contro chiunque attenti all'autorità del despota romano.
L'auto-proclamazione di Gesù, inerme prigioniero nelle sue mani, assumerebbe i caratteri di una sfida a quel potere, se non fosse seguita da due fondamentali chiarimenti. Il primo:"Il mio regno non è di questo mondo". Dunque i regnanti, e i loro equivalenti moderni, non hanno da temere insidie alla loro autorità; il regno di Gesù è alternativo a quelli terreni, anzi è un regno d'altra specie, in cui non hanno spazio la politica, l'economia, gli eserciti, i confini territoriali, le differenze sociali e così via. Secondo chiarimento: "Io sono re. Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità", la verità che Dio è Padre e ama allo stesso modo tutti i suoi figli, e a tutti offre la possibilità di vivere per sempre felici con lui. Gesù ha testimoniato questa verità, dimostrando col dono di sé sino a che punto si protende l'amore del Padre, e insegnando come corrispondervi sin da adesso, da questa vita.
La verità, nel mondo terreno, sta nell'impegno a vivere come Gesù insegna. Quanti più uomini la accolgono, tanto più questo mondo cambierà; tanto più si affermeranno la giustizia e l'amore. Per questa via, il regno di cui Gesù Cristo è il re incide sui regni terreni: non per scalzarli, ma trasformandoli dall'interno. Proviamo a pensare a un mondo in cui tutti seguono gli insegnamenti di Gesù: non ci sarebbero più tribunali e carceri, intrighi e corruzione, privilegi e miseria; non servirebbero più gli eserciti e neppure i confini, perché tutti gli uomini vivrebbero coerenti con quello che sono, fratelli. Un tale mondo è quello che si prospetta dopo questa vita; ma la figura del Re incoronato di spine, dell'inerme uomo inchiodato a una croce, è un potente richiamo a impegnarsi perché questo mondo terreno somigli il più possibile a quello che troveremo di là. "Venga il tuo regno", ci ha insegnato a chiedere lo stesso Gesù, e la richiesta seguente suggerisce il come: "Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra". Il regno di cui Cristo è il re si instaura anche quaggiù, tanto quanto gli uomini impareranno a vivere la volontà del Padre comune. 

Omelia di mons. Roberto Brunelli

Liturgia della Solennità di Cristo Re dell'Universo - XXXIV settimana del Tempo Ordinario (Anno B): 25 novembre 2012

Liturgia della Parola della Solennità di Cristo Re dell'Universo - XXXIV settimana del Tempo Ordinario (Anno B): 25 novembre 2012