1 novembre - Solennità di Tutti i Santi: nelle Beatitudini la regola della santità

News del 28/10/2012 Torna all'elenco delle news

Non ci stanchiamo mai di ascoltare le nove beatitu­dini, anche se le sappia­mo bene, anche se certi di non ca­pirle. Esse riaccendono la nostal­gia prepotente di un mondo fatto di bontà, di non violenza, di sin­cerità, di solidarietà. Disegnano un modo tutto diverso di essere uomini, amici del genere umano e al tempo stesso amici di Dio, che amano il cielo e che custodiscono la terra, sedotti dall'eterno eppu­re innamorati di questo tempo difficile e confuso: sono i santi.
La storia si aggrappa ai santi per non ritornare indietro, si aggrap­pa alle beatitudini. Beati i miti perché erediteranno la terra, sol­tanto chi ha il cuore in pace ga­rantisce il futuro della terra, e per­fino la possibilità stessa di un fu­turo. Nell'immenso pellegrinag­gio verso la vita, i giusti, coloro che più hanno sofferto conducono gli altri, li trascinano in avanti e in al­to. Lo vediamo dovunque, nelle nostre famiglie come nella storia profonda del mondo: chi ha il cuore più limpido indica la stra­da, chi ha molto pianto vede più lontano, chi è più misericordioso aiuta tutti a ricominciare.
Dio interviene nella storia, an­nuncia e porta pace. Ma come in­terviene?
Lo fa attraverso i suoi a­mici pacificati che diventano pa­cificatori, attraverso gli uomini delle beatitudini.
Il Vangelo ci presenta nelle beati­tudini la regola della santità; esse non evocano cose straordinarie, ma vicende di tutti i giorni, una trama di situazioni comuni, fatiche, speranze, lacrime: nostro pa­ne quotidiano. Nel suo elenco ci siamo tutti: i po­veri, i piangenti, gli incompresi, quelli dagli occhi puri, che non contano niente agli occhi impuri e avidi del mondo, ma che sono capaci di posare una carezza sul fondo dell'anima, sono capaci di regalarti un'emozione profonda e vera. E c'è perfino la santità delle lacrime, di coloro che molto han­no pianto, che sono il tesoro di Dio.
Le beatitudini compongono no­ve tratti del volto di Cristo e del volto dell'uomo: fra quelle nove parole ce n'è una proclamata e scritta per me, che devo indivi­duare e realizzare, che ha in sé la forza di farmi più uomo, che con­tiene la mia missione nel mondo e la mia felicità. Su di essa sono chiamato a fare il mio percorso, a partire da me ma non per me, per un mondo che ha bisogno di e­sempi raccontabili, di storie del bene che contrastino le storie del male, di cuori puri e liberi che si occupino della felicità di qualcu­no. E Dio si occuperà della loro: «Beati voi!». 

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

I veri Beati...

"Beati" è la prima parola del Rabbì di Nazareth nel suo discorso dal monte. E' la prima parola del ribaltamento dei poteri e delle gerarchie. Gesù si è schierato, i beati sono loro. In questa sovversione sta la radice della santità che oggi celebriamo.
Ognuno di noi è chiamato a far sua questa logica nuova, a fare piazza pulita delle presunte e illusorie beatitudini che ci circondano.
Beh, diciamocelo onestamente, quando ci vien da pensare "Beato te?" la prima immagine che scorre per la testa non è certo quella di un povero in spirito o un perseguitato per la giustizia. Per noi i "beati" sono quelli che hanno un posto di lavoro sicuro; quelli che riescono a fare la settimana bianca; quelle che hanno un marito che si ricorda sempre le date degli anniversari, dei compleanni ed è pure bravo a stendere i panni; quelli che prendono trenta agli esami e nel frattempo riescono pure a lavorare, fare gli allenamenti di calcio e portare la fidanzata alle terme. Questi per noi sono i beati!
Ma Gesù - per fortuna! - sembra di un altro parere. La sua logica è sovversiva rispetto ai criteri di cui siamo imbevuti. Nelle parole del Rabbi di Nazareth c'è una carica profetica, una promessa che spoglia le felicità promesse dai nuovi idoli del nostro tempo e che svela ciò che sono per davvero: menzogne e illusioni.
I beati del Regno di Dio sono i poveri in spirito, gli afflitti, gli affamati di giustizia, i perseguitati... Questo è il Vangelo! Questa è la buona notizia! Se Gesù avesse detto che beati sono i ricchi, i sani, i belli, i forti,... che novità ci sarebbe stata? Se Gesù avesse detto che i beati sono quelli realizzati, felici e pasciuti,? che carica profetica ci sarebbe stata nel suo annuncio?
Nuovamente la Parola ci chiama ad una scelta da rinnovare ogni giorno, ci mette nel cuore il coraggio per credere alla promessa di Gesù e percorrere i sentieri della santità.
La logica corrente ti impone di procedere a spallate per conquistare ciò che desideri? Costruisci pace.
Sei provocato dall'aggressività che ti circonda? Rimani mite.
Ti senti l'unico fesso del pianeta che fa tutte le cose in regola senza evadere da nessuna parte? Cerca la giustizia.
Ti senti guardato come un marziano perché tutte le settimane vai alla catechesi? Regala un sorriso.
Ti senti pronto a seguire le tracce del risorto, ti rendi davvero conto che con Lui o senza di Lui non è la stessa cosa, senti il desiderio di portare tutto nelle mani del Padre e lasciare che lo Spirito guidi di i tuoi passi? Se è così, allora auguri, caro amico, oggi è la tua festa!

Omelia di don Roberto Seregni
 

Gesù aprì la bocca e disse: Beati i poveri in spirito

La festa di Tutti i santi medita la lettura di una delle pagine più note del Vangelo di Matteo, quella delle "Beatitudini" (Matt.5,1-12) con cui inizia il "discorso della montagna" (Matt.5-7), la "magna charta del Regno dei cieli". Le Beatitudini sono certamente le sintesi più significativa di tutto il "lieto annuncio" di Gesù e la dichiarazione più espressiva della novità cristiana.
Il cap.5 di Matteo comincia col dirci che Gesù pronuncia il suo discorso "avendo visto le folle". Gli ultimi versetti del capitolo precedente descrivono le folle che Gesù vede: "Gesù percorreva tutta la Galilea insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano". Lo sguardo di Gesù che abbraccia folle che simbolicamente esprimono il mondo intero, l'umanità in tutta la sua fragilità fisica, psicologica, morale, toccata da malattie di ogni genere, tormentata da ogni tipo di dolore, manifesta il modo di Dio di guardare l'umanità che egli ha creato. Il cap.3 del libro dell'Esodo che narra il grande incontro di Mosè con Dio rivela come Dio guarda il suo popolo: "Ho osservato la miseria del mio popolo?ho udito il suo grido?conosco le sue sofferenze...: sono sceso per liberarlo".
"Gesù salì sul monte": certo Matteo descrive la figura di Gesù alla luce dell'esperienza di Mosè che sale sull'Oreb e sul Sinai, e si trova con Dio faccia a faccia. "Messosi a sedere, gli si accostarono i suoi discepoli": l'esperienza di Gesù, in rapporto a quella di Mosè, risulta comunque radicalmente nuova. Mosè dal dialogo con Dio, che rimane sempre il "Santo", che si rivela nelle teofanie potenti, ha ricevuto il dono della Legge da comunicare al suo popolo, perché la osservi e così possa entrare nella terra che Dio promette: il dialogo di Gesù è esperienza filiale, dal Padre non riceve una Legge per il popolo, ma il dono della vita del Padre. Per questo Gesù "siede" per stare con gli uomini e i suoi discepoli gli si avvicinano: Gesù inaugura un modo nuovo di Dio di stare con gli uomini, fatto non più di timore ma di intima comunione e di tenerezza. Ed è bellissima l'espressione del Vangelo che dice che Gesù "aprendo la sua bocca, insegnava a loro": la Parola che egli ha ascoltato dal Padre è diventata la sua, in modo così pieno che è la sua stessa vita, la sua persona. Adesso "apre la sua bocca", si apre una comunicazione vera con gli uomini, la Parola di Dio pronunciata da una bocca umana, può essere udita da orecchi umani, ha un contenuto, un timbro, una tonalità che suscita relazione, comunione. E Gesù "insegnava" ai suoi discepoli: il verbo all'imperfetto indica una azione che continua. Gesù continua ad insegnare ai suoi discepoli nel corso della storia: insegna ad entrare con Lui nell'intimità del Padre, a lasciarsi afferrare dalla Parola del Padre in modo che essa diventi vita, ad aprire la bocca perché dalla bocca dei discepoli esca la Parola del Padre ormai incarnata nella voce umana dei discepoli. Così la Parola può comunicare veramente la pienezza della passione di Dio per l'uomo: chi ascolta la parola fattasi così umana, può percepire l'intensa gioia della Parola di Dio. E Gesù dice: "Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli". Comincia così il "discorso della montagna" che qualcuno definisce "il testo più enigmatico e sconvolgente dei Vangeli": è singolare come, muovendosi nel cuore dell'ebraismo, con piena autorità, Gesù puntualizzi e interpreti le Scritture per parlare di una realtà nuova.
Le "Beatitudini" sono il cuore del "vangelo del regno" che Gesù "andava annunciando mentre guariva ogni sorta di malattie e infermità nel popolo": potremmo leggere il racconto di tutti i Vangeli per accorgerci di come tutti coloro che si avvicinavano a Gesù, se ne andavano "pieni di gioia" perché liberati dalla malattia, dal peccato, o semplicemente felici perché lui si era rivolto a loro.
Il testo delle "Beatitudini" è tutto costruito sull'Antico Testamento, in modo particolare sui Salmi, questa stupenda raccolta di preghiere nelle quali la fede, che è profonda esperienza dell'uomo che ascolta Dio che gli parla, lo guida nella storia, lo interpella, lo mette in crisi, diventa un intenso dialogo di pace, di gioia e di felicità. Non per niente il libro dei Salmi comincia proprio così: "Beato l'uomo?": felice è l'uomo che cammina in una via dritta e piana, senza pericolo, senza timore. Ma l'uomo che prega i Salmi, l'uomo che crede, sa benissimo quanto spesso la via si faccia oscura, l'esperienza umana sia drammatica. La preghiera diventa un grido: "Dal profondo a te grido, o Signore" (Sal.130) ma è sempre una certezza: "Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me". E avviandosi alla fine la preghiera diventa: "Cantate al Signore un canto nuovo? gioisca Israele nel suo creatore: il Signore ama il suo popolo". (Sal.149) La certezza che percorre tutta la Bibbia è questa: Dio ama l'umanità che egli ha creato, questa umanità fragile, debole, malata, peccatrice.
La novità che Gesù immette nelle sue Beatitudini è Lui stesso: è Lui che partecipa della debolezza umana, compatisce la fragilità e la salva amandola, non imponendole una Legge che essa non sa portare, è Lui che sperimenta la lontananza da Dio ma lascia che sia l'onnipotenza dell'Amore del Padre a colmarla e così diventa il Pastore che può guidare l'umanità nella valle oscura verso pascoli erbosi, è solo Lui, povero, svuotato di tutto ma pieno dell'Amore del Padre che può dire: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" e convincerci che è anche per noi la gioia, la felicità, la beatitudine, quando sentiamo che proprio per la nostra fragilità, di ogni tipo, la forza infinita dell'Amore del Padre è con noi. E' solo Lui il Pastore che ci guida per un cammino fatto di pianto, di mitezza, di fame e sete di giustizia, di misericordia e ci assicura che questa è l'unica via vincente perché è la via di Dio.
"Beati voi": le "Beatitudini si concludono così, rivolgendosi direttamente a noi, perché, se abbiamo il coraggio di credere, sentiamo la gioia, pure nel pianto, di essere nel mondo segno della forza sconvolgente di Dio.
Al passaggio del Mar Rosso, Myriam, la sorella di Mosè, danza; Davide danza quando la Torah entra in Gerusalemme; il libro dei Salmi termina in un incontenibile gioia fatta di musica, canto e danza (Sal.150); e noi dobbiamo lasciare sprigionare dal profondo del nostro cuore la gioia, lasciare libero sfogo al canto e alla danza perché Dio ci ama incondizionatamente.  

Omelia di mons. Gianfranco Poma 
 

Liturgia della Solennità di Tutti i Santi: 1 novembre 2012

Liturgia della Parola della Solennità di Tutti i Santi: 1 novembre 2012