2 novembre: Commemorazione di tutti i fedeli defunti

News del 29/10/2012 Torna all'elenco delle news

La liturgia non ha pianti, perché ciò di cui fa memoria non è la morte, ma la risurrezio­ne.

La liturgia non ha la­crime, se non asciugate dalla mano di Dio; essa in­fatti non pronuncia paro­le sulla fine ma sulla vita. «Se tu fossi stato qui mio fratello Lazzaro non sa­rebbe morto». Marta ha fede in Gesù, eppure si sbaglia. Così noi ripetia­mo le sue parole e il suo errore: in questa malattia del mio familiare, dov’è Dio? Se Dio esiste, perché questa morte innocente? Se Tu sei qui, i miei cari non moriranno… Invece Dio è qui, sempre, ma non come esenzione dalla morte.
Gesù non ha mai promesso che i suoi ami­ci non sarebbero morti. Per lui il bene più grande non è una vita lunga, un infinito sopravvivere; l’es­senziale non sta nel non morire, ma nel vivere già una vita risorta.
L’eternità è già entrata in noi molto prima che accada, entra con la vita di fede (chiun­que crede in Lui ha la vita eterna), entra con i gesti del quotidiano amore. Il Signore ci insegna ad ave­re più paura di una vita sbagliata che della morte. A temere di più una vita vuota e inutile che non l’ultima frontiera che pas­seremo aggrappandoci forte al cuore che non ci lascerà cadere.

Chi ci separerà dall’amo­re di Cristo? Né angeli né demoni, né vita né morte, nulla ci potrà mai separa­re dall’amore ( Rm 8,35­37). Questo mi basta. Se Dio è amore, mi vendi­cherà della mia morte. La sua vendetta è la risurre­zione, un amore mai più separato.
Dio salva, questo è il suo nome. Salvare significa conservare. Per sua preci­sa volontà nulla andrà perduto, non un affetto, non un bicchiere d’acqua fresca, neanche il più pic­colo filo d’erba.

Una preghiera per i de­funti, forse la più bella, in­voca: ammettili a godere la luce del tuo volto. I ver­bi della fede cedono ad un verbo umile e forte, iner­me ed umanissimo: gode­re. La ragione cede alla gioia, la fede al godimen­to. L’eternità fiorisce nei verbi della gioia. Perché Dio non è risposta al no­stro bisogno di spiegazio­ni, ma al nostro bisogno di felicità, lo è per i miei sen­si, lo spirito, gli affetti e il cuore, per la totalità della mia persona.

La nostra esperienza so­stiene che tutto va dalla vi­ta verso la morte. La fede cristiana dichiara invece che l’esistenza dell’uomo va da morte a vita. Dal santuario di Dio che è la terra e dove nessun uomo può restare a vivere, le porte della morte condu­cono verso l’esterno. Ma su che cosa si aprono i battenti di questa porta? Non lo sai? Sulla vita!

Testo di padre Ermes Ronchi
 

 


Santi e defunti: solidarietà e intercessione missionaria

Festa di famiglia, festa di fraternità solidale! La festa di tutti i santi e il ricordo di tutti i fedeli defunti ci fanno sentire tutti membri di una famiglia grande, allargata fino ai confini del mondo. Sono due giornate (1 e 2 novembre) che ci riportano ad una nostra celebrazione familiare. Nostra, perché i santi e i defunti sono parte dell’unica famiglia di Dio e degli uomini. È la famiglia di tutti i santi: non solo dei pochi riconosciuti ufficialmente come tali dalla Chiesa, ma di tutte le persone di buona volontà, di tutti coloro che hanno cercato Dio con cuore sincero e nel rispetto del prossimo. È la famiglia di tutti i defunti, non solo dei nostri parenti e amici. A tutti loro ci uniscono vicende comuni, fatte di gioie, speranze, dolore, fragilità, fatiche… Fino alla strettoia inevitabile della morte, in un cammino che accomuna tutti: santi e peccatori, ricchi e poveracci, credenti e non… Siamo parte di una famiglia innumerevole di donne e uomini di ogni lingua, colore, razza, religione, cultura, condizione sociale…

È la festa della famiglia allargata, dalle dimensioni universali, senza confini. Dove nessuno è sconosciuto o straniero per Dio e per coloro che vivono in Lui. Dove Dio conosce ogni volto e chiama ciascuno per nome. Una famiglia dove la fraternità si cementa nella circolarità dei rapporti a beneficio di tutti: i santi del cielo intercedono presso Dio a nostro favore, mentre siamo pellegrini sulla terra; noi, pellegrini, diamo lode e grazie a Dio per la sua misericordia e per le cose belle che Egli opera nei santi; noi e i santi offriamo suppliche per i defunti che ancora attendono di contemplare pienamente il volto di Dio; anche i defunti, in forme che noi non conosciamo, vivono una speciale comunione con Dio, che ridonda a beneficio nostro… È, quindi, la festa della intercessione circolare: di Cristo e dei santi per noi; della nostra intercessione a favore dei defunti; e dei defunti -che sono già dei salvati!- a favore dei parenti e di tutta la famiglia umana.

La circostanza è propizia per riflettere e vivere i valori di familiarità, fraternità, universalità, in una speciale comunione con gli antenati: sia gli antenati nel clan e nella cultura popolare, sia gli antenati nella fede cristiana, che sono i santi. Cioè coloro che hanno realizzato al meglio, spesso fino all’eroismo, gli ideali e i valori del Vangelo e delle culture dei popoli. Sono essi i giganti spirituali, che diventano modelli della umanità rinnovata in Cristo, che è per tutti l’uomo nuovo e perfetto. Un tema di particolare risonanza per i missionari.

Questo tipo di considerazioni non toglie nulla al rigore e amarezza della morte, quel “duro calle”, di dantesca memoria, che fa paura, ma che è il passaggio obbligato verso la Vita piena. Un passaggio da affrontare senza evasioni, con realismo umano e cristiano!
Ce ne dà esempio il Card. Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, ammalato di Parkinson, che, “nel contesto di una morte imminente”, sentendosi “già arrivato nell’ultima sala d’aspetto, o la penultima”, confessa di essersi “più volte lamentato col Signore” per la necessità di dover morire. Martini non nasconde il suo travaglio interiore per arrivare ad accettare quel duro calle, oscuro e doloroso: “Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio”. Davanti al mistero della morte, che richiede “un affidamento totale” , Martini conclude: “Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo ad occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani”. Di fronte alla morte, appare più ricco il dono della fede cristiana, l’unica che è capace di gettare una luce nuova e definitiva sul senso della vita, di Dio, del dolore, della storia… Una luce che fa la differenza. Ancora una volta, emerge la novità del messaggio cristiano. E, quindi, l’urgenza della Missione.


È consolante e salutare, nella preghiera per i defunti, meditare sulla fiducia di Gesù verso il Padre suo e lasciarsi così avvolgere dalla luce serena di questo abbandono assoluto del Figlio alla volontà del suo Abbà. Gesù sa che il Padre è sempre con Lui (Gv 8,29); che insieme sono una cosa sola (Gv 10,30). Sa che la propria morte deve essere un battesimo (Lc 12,50), cioè un’immersione nell’amore di Dio”.
Benedetto XVI, omelia del 5 novembre 2007

Testo di padre Romeo Ballan
 

Liturgia della Commemorazione di tutti i fedeli defunti

Liturgia della Parola della Commemorazione di tutti i fedeli defunti