28 ottobre 2012 - XXX Domenica del Tempo Ordinario: la fede, prospettiva possibile

News del 27/10/2012 Torna all'elenco delle news

Su indicazione di Benedetto XVI la Chiesa sta intraprendendo l'anno della fede, nel quale siamo invitati a riflettere sul significato del nostro Credo, della sua professione da parte nostra, della fede in senso soggettivo e in senso oggettivo. E proprio questa riflessione ci conduce, per ciò stesso, a considerare i vantaggi e i benefici di questa grande risorsa che è un dono di Dio.
"Va', la tua fede ti ha salvato", così Gesù congeda il non vedente che lo aveva supplicato di prestargli attenzione e sul quale era intervenuto prodigiosamente concedendogli il recupero totale della facoltà visiva. Con queste parole Gesù afferma di non voler semplicemente compiere un atto di pietà e di compassione nei confronti di un povero malcapitato che ha incontrato quasi casualmente sul suo cammino, di non voler mostrare una benevolenza fittizia con la quale ci si mostra pazienti quanto basta per toglierci di torno una persona molesta e di non aver eseguito un atto di esibizionismo spettacolare nei suoi confronti. Piuttosto Gesù prende atto di quella che è stata la buona disposizione di questo povero cieco, che già sin dall'inizio lo aveva chiamato "figlio di Davide" riconoscendo in lui il Messia Salvatore promesso e atteso dalle genti, la cui Parola e il cui annuncio adesso stanno salvando rivelando il disegno di amore del Padre. Ammira in lui quella che certamente era stata l'apertura del cuore, la sottomissione dell'intelletto e della volontà alla sua Parola, la deliberazione totale per Lui, insomma riconosce e stima in questo povero cieco una fede profonda e indiscussa ed è appunto questa ad avergli meritato il recupero della vista.
Il cieco, che viene identificato con il nome di Baritmeo (in aramaico "figlio di Timeo") dimostra una fede radicata e consolidata dalla sofferenza, che consiste nel credere e nell'affidarsi incondizionatamente al Figlio di Dio. Egli concede tutto se stesso a Colui che ha riconosciuto come il Salvatore e proprio questa premurosa sollecitudine che è la fede gli procura la guarigione fisica. Nella fede egli aveva visto in profondità, osservando la realtà con maggiore dovizia di particolari, ed era arrivato così a concepire la pienezza della Rivelazione e della salvezza realizzata da Dio in Cristo. La fede nel Signore lo aveva condotto a riconoscere il mistero di Dio che si concede agli uomini e a farlo proprio, cosicché egli aveva "visto Gesù" ancor prima che questi giungesse sul posto e questa visione interiore, molto più sviluppata e più capace rispetto a quella dei cosiddetti "vedenti", gli merita non soltanto che Gesù lo ascolti nelle sue richieste, ma addirittura che sia lui stesso a farlo chiamare: "Coraggio, alzati, ti chiama".
In una famosa poesia dedicata alla moglie non vedente, Montale sottolinea come la vista della sua consorte, nonostante la defezione oftalmologica, fosse molto più sviluppata della sua, poiché lei era in grado di vedere e di soppesare molto meglio del marito. Così è in effetti il vedere cristiano: il valicare l'immediato e l'evidente, prescindere da ciò che la sensorialità ci presenta e interpretare ogni cosa sotto l'aspetto della volontà di Dio. Tutto questo è la fede.
Aprire gli occhi ai ciechi vuol dire non solamente guarire in senso fisico ma anche liberare dalla cecità della presunzione e dell'orgoglio che precludono ogni cosa anche a noi stessi. Questa è la promessa divina nel profeta Geremia 31, 8 (I Lettura): "Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla." E anche in Isaia: "Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri?" (Is 42, 6 - 7).
Ottenere la guarigione non corrisponde solamente alla possibilità di distinguere gli oggetti e i colori con le facoltà ottiche, ma sottende anche la prerogativa di saper guardare ogni cosa sotto un'altra ottica. Per questo la Scrittura, mentre parla della volontà decisionale di Dio di intervenire sulla cecità del popolo, insiste sull'apertura del cuore e sulla necessità dell'attenzione da parte di quanti sono raggiunti da Dio: poiché alla libera iniziativa della rivelazione deve corrispondere l'atto altrettanto libero della fede, il saper vedere e distinguere ogni cosa deve essere prerogativa di chi si affida radicalmente a Dio.

Omelia di
padre Gian Franco Scarpitta 
 

Liberi di servire

Gesù arriva a Gerico (10,46). Gerico è una città del deserto di Giuda, alle porte di Gerusalemme, ed è stata la prima città conquistata da Giosuè venendo dal deserto per entrare nella terra promessa. Ma Mc neppure ricorda il passato e il crollo delle mura di Gerico. La liberazione qui non è più materiale ma spirituale: il nemico è dentro, è la cecità, l'inconsapevolezza.
In Mc 8,27 Gesù parte per il suo viaggio verso Gerusalemme. Ma prima di quel brano (Mc 8,22-26) nel vangelo c'è un'altra guarigione di un cieco, il cieco di Betsaida. Nel mezzo, e lo abbiamo visto in queste domeniche, per tre volte gli apostoli rifiutano Gesù e non lo vogliono vedere per quello che è. I ciechi che il vangelo racconta sono proprio loro: loro non riescono a vedere Gesù per quello che è, ma continuano a vedere quello che vogliono che sia.

Gesù giunge a Gerico e poi parte subito. E' strana la cosa. Arriva, non succede niente a Gerico e parte? Gerico era la città che gli ebrei dovettero conquistare per arrivare nella terra promessa. Allora dire Gerico per un ebreo era dire vittoria, un successo, una liberazione. Adesso Gerico però è diventata una terra di oppressione. E come fa Mc per dire questo? Usa lo stesso verbo (ek-poreuomai) dell'esodo dall'Egitto. A volte ciò che ieri ti ha salvato oggi diventa oppressione.

Con Gesù c'è molta gente (Mc 10,46): i discepoli e molta folla. Mc non dice però che lo seguivano ma solo che erano con Gesù (del cieco dirà invece che lo seguiva!).
Gesù, cioè, è attorniato da tanta gente ma in realtà è solo. Questa gente lo accompagna ma non lo segue. Accompagnare è: "finché mi fa comodo ti faccio compagnia e ti accompagno verso Gerusalemme (non manca molto alla Pasqua e questo gruppo può benissimo essere la folla di pellegrini che va a Gerusalemme per la Pasqua); visto che facciamo la stessa strada, facciamola insieme". Seguire invece è: "Io starò con te qualunque cosa succeda".

Ad un certo punto esce il nostro personaggio, il figlio di Timeo, Bartimeo (Mc 10,46).
Mt nel racconto identico ne ha due di ciechi (Mt 20,24-28): Mc se ne è dimenticato uno? No. Vuol dire che il fatto storico passa in secondo piano rispetto al senso del miracolo.
Non si capisce perché prima Mc dica "il figlio di Timeo", in greco e poi Bartimeo che vuol dire la stessa cosa, figlio (bar=figlio) di Timeo, in aramaico. Come se Mc dicesse: Michele, Michel, Michael: sì d'accordo, ma è sempre la stessa persona! Facendo così Mc vuol dirci per prima cosa che questo personaggio non è tanto lui, ma un personaggio rappresentativo, figurato: tutti si possono ritrovare qui, tutti possono essere ciechi come quest'uomo.
E poi che questo uomo è dipendente, schiavo ("figlio") del "timeo", sia esso onori, o figlio il/legittimo o paura. E' un uomo posseduto da questo.
1. In greco infatti timeo significa onore, onorare (timao in greco). Sarebbe allora il "figlio dell'onore o onorato". Gli apostoli cos'avevano chiesto un attimo prima? Onori!: "Sedere alla destra e alla sinistra" (Mc 10,37). Vivere bramando, cercando, desiderando onori è un vivere alla cieca, da inconsapevoli. Tu non percepisci il tuo valore (sei figlio di Dio!) ma il tuo valore è dettato da quanto sei importante dagli altri, da chi frequenti, da chi ti apprezza, da chi ti riconosce.
2. Figlio dell'onore=potrebbe anche voler dire figlio illegittimo o al contrario figlio tanto aspettato (non avere figli era un disonore, una maledizione a quel tempo) e quindi un figlio da cui tutti si aspettavano molto. Il figlio, cioè, doveva dare onore alla sua famiglia.
3. Ma Bartimeo vuol dire anche "figlio della paura". Se la paura è tua madre e tu sei suo figlio allora hai paura di tutto. Se lasci spazio alla paura nella tua vita allora è davvero la fine.
Se hai paura di essere rifiutato dal gruppo allora ti isoli o li rifiuti tu per primo. Se hai paura di essere deluso o di sbagliare o di non riuscire allora non intraprendi mai nulla. Se hai paura di non piacere allora cerchi di piacere a tutti ma diventi qualcosa che non sei tu. Se hai paura di cambiare e di evolvere allora rimani sempre lo stesso e poi dici che sei insoddisfatto.

Il cieco è un mendicante che siede "lungo la strada" (Mc 10,46). Perché a Mc interessa dire che era lungo la strada? In fondo poteva essere dovunque, che cosa c'entra? Cosa era successo "lungo la strada"?
Nella parabole del seminatore il seme che cade "lungo la strada" (Mc 4,4) viene divorato dagli uccelli. E quando Mc spiega la parabola dice che quelli "lungo la strada sono quelli che ascoltano la parola ma poi viene satana e porta via la parola". Satana è il potere, l'ambizione.
Allora: tu puoi essere, come gli apostoli, sempre insieme a Gesù, puoi andare a messa tutti i giorni, ma se dentro sei ambizioso, cioè se nel fare tutto questo ti senti migliore, di più, più bravo degli altri (che magari giudichi), superiore, allora sei come la strada. Tu il vangelo lo ascolti ma non ti entra.
Del cieco si dice che è seduto (Mc 10,46) lungo la strada: cioè, lui crede proprio di essere così. Seduto, vuol dire fissato: è certo che sia così! E' certo di vederci! E' certo di sapere! Peccato sia cieco!
E poi del cieco si dice che è anche mendicante (Mc 10,46). E' cioè dipendente dagli altri. Non è autonomo, è uno che non sa camminare con le sue gambe ma chiede sempre agli altri: "Che cosa devo fare? Che cosa è giusto? Ma se faccio così faccio bene?".

Il cieco sente passare Gesù ma Mc vi aggiunge "Nazareno" (Mc 10,47). Si lo sappiamo che Gesù era da Nazaret, perché lo deve specificare?
Nazaret si trovava in Galilea e la Galilea era una terra di ribelli, di rivoltosi, era il luogo di rifugio dei rifugiati politici. Lì si nascondevano e tendevano agguati ai Romani. Dire ad uno "galileo" era come dirgli rivoluzionario, ribelle, sovversivo.

E come chiama, infatti, il cieco Gesù? Lo chiama più volte "figlio di Davide" (Mc 10,47-48). Ma cosa si intende per "figlio di Davide"? Si intende il Messia davidico, che come Davide, verrà con la forza, con la potenza, con le armi e l'esercito, e imporrà il suo potere.
Il grande re Davide aveva sì unificato le Dodici tribù d'Israele ma lo aveva fatto con un bagno di sangue tremendo. E tutti quelli che si opponevano alla sua scalata, lui risolveva il problema eliminandoli. Tant'è vero che quando vuole costruire il tempio (si sentiva in colpa verso Dio!), il Signore gli dice: "Tu no, hai le mani sporche di sangue per costruire il tempio". Era un uomo spietato e frivolo. E se voleva qualcosa, con le buone o con le cattive se la prendeva.
Chi è accecato dall'ideologia (religiosa o no) non vuole la vita ma la morte, l'eliminazione degli altri. Il fanatico vede solo la "sua" religione, il "suo" guru, le "sue" idee: gli altri sono da eliminare.
Allora: se il cieco lo chiama così vuol dire che in qualche modo un po' lo conosce già. Lui si è già fatto un'idea su Gesù (il Messia forte, figlio di Davide), solo che è sbagliata.
E se osservate, e nel vangelo nulla è a caso, la seconda volta neppure lo chiama "Gesù" (Mc 10,48) ma solo "figlio di Davide!".
Tra l'altro: chi grida nei vangeli? Quelli che sono posseduti da uno spirito immondo! Il cieco è proprio posseduto dal demonio, è un fanatico (=cioè da un'idea sbagliata di Dio). Per questo è cieco.

Il cieco non gli chiede di essere guarito ma di aver pietà di Lui (Mc 10,47-48). Lui è ancora dentro alla sua mentalità e vede Gesù nient'altro come il Messia antico: "Sono cieco (se si era malati, a quel tempo, voleva dire che si era peccatori) perché ho peccato, quindi non avrò la resurrezione, tu Messia, abbi pietà di me e concedimi la resurrezione".
Per lui Gesù non è amore, misericordia, compassione, ma colui che può condannare o salvare. E' cieco: non ha ancora visto chi è davvero Lui.
Sente di essere bisognoso, sente che è un mendicante, ma non ha ancora capito qual è il suo problema. E non si può guarire se non si sa che nome ha la malattia.
Non si può guarire da qualcosa che non si conosce. Bisogna dare un nome (=far esistere) a ciò che si è, a ciò che si ha, allora si può lavorare sulla cosa.

Poi c'è un gioco di "chiamate". Gesù dice: "Chiamatelo!"; lo vanno a chiamare; gli dicono: "Ti chiama!" (Mc 10,49). Qui avviene la chiamata di quest'uomo. Chiamata non è fare questo o quello ma prima di tutto capire e vedere chi Lui è e cosa è per te. Cos'ha fatto per te Gesù?

E cosa fa il cieco? Getta via il mantello (Mc 10,50). Ma cosa c'entra questo particolare? A quel tempo funzionava così: i vestiti definivano la persona. Da come uno era vestito tu capivi la sua condizione. Quando il re voleva dare un regalo importante ad un suo ministro gli dava un vestito di porpora. Vestire di porpora voleva dire essere importanti. Il vestito era la persona.
Allora: gettando via il mantello, il cieco getta via ciò che era prima. Qui avviene la rottura e infatti "balza in piedi" come uno che ci vede e come uno che ci vede "va da Gesù" (Mc 10,50).

Quando arriva da Gesù, Gesù gli chiede: "Che cosa vuoi che ti faccia?" (Mc 10,51). Vi ricordate domenica scorsa? Quando Giacomo e Giovanni andarono da Gesù, Gesù gli chiese la stessa cosa: "Che cosa volete che vi faccia?" (Mc 10,36). Solo che lì Gesù non poté fare niente per loro mentre qui sì.
Perché Gesù non ci ascolta? Perché non ci da quello che gli chiediamo? Perché chiediamo cose che non ci può dare. Chiedigli le cose giuste e le avrai.
Qui l'uomo chiede a Gesù la fede, la fiducia, di cambiare. Questa Gesù te la può dare.
Ma se tu gli chiedi che ti vada bene il compito di questo, che faccia quello, che risolva quell'altro, che elimini questo, che ti mandi una guarigione miracolosa dal cielo per quella cosa, allora gli chiedi cose che Lui non ti può dare. Perché Dio non fa per noi ciò che dobbiamo fare noi.
Ma se a Dio chiedi il desiderio e la forza di cambiare, questa Lui te la può dare. Se gli chiedi la forza di affrontare ciò che c'è da affrontare o il coraggio per scegliere e per andare o la luce per vedere ciò che è difficile o che non vuoi vedere, Lui te lo può dare. Se gli chiedi il fuoco, l'ardore, per percorrere la tua strada fino in fondo Lui te lo può dare.

E il cieco adesso non lo chiama più figlio di "Davide" ma "rabbunì" (Mc 10,51). Rabbunì era un'espressione aramaica che voleva dire: "Mio Signore". Era un modo per riconoscere Dio. Il cieco adesso non vede più il Messia Davidico ma il messia Figlio di Dio.
E non gli chiede più di avere pietà di Lui ma: "Che io riabbia la vista" (Mc 10,51).
Il cieco adesso sa bene cosa vuole (prima solo si lamentava): "Che io riabbia la vista" (Mc 10,51).
Qual è il miracolo di questo uomo? Il suo miracolo è quello di accettare che Gesù non è come quello che gli hanno insegnato al catechismo, come quello che Lui credeva (Messia davidico), che non è quello che suo padre e sua madre gli hanno trasmesso. Ecco il miracolo: 1. Ha dovuto incontrarlo di persona. 2. Ha dovuto perdere le sue certezze (credenze). 3. Ha dovuto accettare di essere cieco, cioè inconsapevole. 4. Ha dovuto accettare che toccava a Lui cambiare.

E il vangelo si chiude meravigliosamente: "E subito prese a seguirlo per la strada" (Mc 10,52). Gli altri accompagnano Gesù solo lui lo segue (akoloutheo). E lo può seguire perché ha visto chi è Gesù. Altrimenti, pensava di seguire Gesù, ma invece seguiva qualcun altro (Messia Davidico).
Molte persone vengono in chiesa e pregano ma non provano nulla, non sanno sentire nella loro vita un po' di tenerezza, di misericordia, di amore. Dio le ama e le accoglierà in ogni caso ma non è il Dio di Gesù.
Molte persone si definiscono cristiane ma il vangelo non cambia minimamente ciò che credono, ciò che fanno, ciò che sentono. Sarà anche un Dio ma non è il Dio del vangelo che vuole la guarigione, la conversione e il coinvolgimento personale.

Pensiero della Settimana: La vera generosità è credere nell'altro

Omelia di don Marco Pedron 

Liturgia della Parola della XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 28 ottobre 2012