12 agosto 2012 - XIX Domenica del Tempo Ordinario: Dio si fa pane per la vita del mondo

News del 10/08/2012 Torna all'elenco delle news

La storia di Elia ci aiuta a interpretare il Vange­lo di oggi. Dio stesso si fa pane e vicinanza, angelo e carezza perché noi, profe­ti troppe volte stanchi, non ci arrendiamo al deserto che ci assedia.
Io sono il pane disceso dal cielo. Io sono il Pane della vi­ta. La mia carne è per la vita del mondo. Tre affermazio­ni che riassumono il brano. Io sono pane: pane indica tutto ciò che ci mantiene in vita, Cristo fa vivere. Fa vive­re con la Parola, con le per­sone, con il giorno che ci do­na, con pane e acqua, un'in­tima luce e angeli che non ci aspettavamo, con se stesso. Pane disceso: il movimento decisivo della storia è di­scendente, è Lui che si in­carna e vuole la comunione con me; è Lui che attraversa deserti e crea sorprese di pa­ne e di carezze, è Lui che invita. È disceso dal cielo per­ché la terra non basta, per­ché a nessun figlio prodigo basteranno mai le ghiande contese ai porci. Ogni figlio ha nostalgia del pane di ca­sa: la nostra casa è il cielo, il nostro pane è Dio.
La mia carne è per la vita del mondo. Tre sole lettere «per» ed è il senso della storia di Gesù, dichiarazione d'amo­re da parte di Dio: per te, mondo, per tutte le tue vite, vale la pena vivere e morire; tu prima di me; la tua vita prima della mia. Neanche Dio vive per se stesso; vive, regna e ama «per noi e per il mondo», seme di fuoco in o­gni cosa, per sempre.
La nervatura di tutto il bra­no è il verbo mangiare. Men­tre le religioni orientali si concentrano sul respiro, il cristianesimo ha come gesto centrale il mangiare: entra in me Pane buono, che rag­giunge e alimenta anche la cellula più lontana. Dio vicino a me, Dio in me, Dio sot­to la mia pelle, che si insedia al centro della mia povertà come un re sul trono. Dio in ogni vena, Dio che mi abita: medicina, guarigione, pro­tezione, salvezza dell'anima e del corpo. Questa è la vita eterna, promessa per circa cento volte nei vangeli. Cer­tezza di una realtà senza prove. Tralcio e vite, una co­sa sola. «Siate imitatori di Dio». O­biettivo impossibile, se l'Amato non diventa la vita di chi lo ama, se non dà forma Lui al nostro sentire, pensa­re, parlare, dare. Siate imita­tori di Dio, fatevi voi stessi pane e angelo, acqua e vici­nanza. Cercate Qualcuno che doni il coraggio di non vivere per se stessi, di diven­tare dono e pane, di diven­tare tutti, gli uni per gli altri, carezza e angelo, compagnia nel deserto, compagnia ol­tre il deserto, su fino al mon­te di Dio. 

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

Mangiare il pane del coraggio e del sollievo

Gesù pane vivo disceso dal cielo è dunque nostro alimento e sostentamento di vita, come bene hanno illustrato le pagine liturgiche delle domeniche precedenti. Se però l'efficacia di un genere alimentare è quello di rifocillare e ridare carica ed energia, il Pane vivo disceso dal Cielo è in grado di rianimare e dare rinnovato slancio quando irrompe la sfiducia e lo scoraggiamento. Disistima, abbattimento, scoramento e arrendevolezza sono insidie che ricorrono spesso nel corso della nostra vita, soprattutto quando abbiamo iniziato ad intraprendere un particolare itinerario nobile e promettente che tuttavia richiede impegno e sacrificio. Il percorso per raggiungere l'obiettivo non è sempre rettilineo, non di rado riserva ostacoli imprevedibili e insidiose difficoltà per cui la sfiducia e la frustrazione sono sempre in agguato e minacciano la nostra perseveranza, tante volte giungendo ad anticipare la sconfitta laddove in realtà non sussiste. Parecchie sono in effetti le mete che si mancano di perseguire a causa di un presunto senso di incapacità e di inettitudine dovuto ad iniziali insuccessi; parecchie volte si getta la spugna solo perché scoraggiati e depressi dagli ostacoli della lotta o perché sopraffatti dalla paura di non essere all'altezza del successo ma proprio il disanimo è altamente lesivo, poiché distoglie dalla possibilità che noi sfruttiamo talenti e prerogative di cui disponiamo lasciandoci vedere solo negatività e difetti in realtà inesistenti. o perché si avverte il falso senso di incapacità e di inerzia di fronte al primo insuccesso. E appunto l'arrendevolezza è l'arma vincente del maligno e come afferma Paolo in qualche luogo la disperazione è l'arma letale del diavolo. Aprire gli occhi sul nemico ben visibile che ci si para davanti non equivale ad essere desti e pronti se poi si dorme su quello invisibile e insidioso della sfiducia e dell'arrendevolezza.
Occorre sempre credere in se stessi e nelle proprie risorse senza scoraggiarsi né deprimersi ai primi ostacoli, che peraltro sono pur sempre prevedibili e regolari e soprattutto non lasciarsi suggestionare dai commenti mortificanti di quanti perdono il loro tempo ad insinuare i nostri limiti e le nostre incapacità di raggiungere lo scopo.
Ad esortarci poi alla fiducia in Dio è la Scrittura di oggi, la quale ci ragguaglia della necessità di perseveranza prima attraverso un personaggio, poi per mezzo di un concetto.
Nella vicenda che accade ad Elia (I Lettura) è il Signore che incute coraggio al profeta invitandolo a perseverare nel suo cammino tortuoso e demoralizzante: sfuggito alla persecuzione della regina Gezabele che voleva la sua morte per aver ucciso 400 profeti di Bal, Elia si ripara sotto un ginepro e, messa da parte ogni possibilità di vittoria e di conquista, si rivolge a Dio con toni di rassegnato abbandono: "Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri." Ma il Signore non si cura neppure di prendere in considerazione i suoi lamenti; piuttosto lo rianima provvedendo per lui un cibo che gli permetterà di camminare per quaranta giorni e quaranta notti verso il monte Oreb, per antonomasia il monte di Dio. Come ben sappiamo, nella Bibbia il numero 40 indica un imprecisato tempo di ansia, lotta, privazione che si trascorre in vista di un obiettivo che riguardi il Signore come nel caso della conversione e della penitenza. Ora, Elia con la forza di questo pane che Dio gli concede si rialza ritemprato e fiducioso, abbatte il muro di ogni frustrazione e di ogni avvilimento, mettendo da parte ogni senso di sconfitta e di debolezza e riprende il cammino lento, faticoso ma costante verso il Signore e verso tutte le altre direzioni verso le quali Egli stesso lo condurrà. Il pane materiale che aveva sostenuto gli Israeliti errabondi nel deserto ora rinfranca e solleva il deperito Elia che si trova in preda al panico e allo scoraggiamento ed è il pane concesso solamente dalla Provvidenza di Dio che non lascia mai soli i suoi fedeli messaggeri.
Si tratta ovviamente del sostentamento materiale, che a sua volta è indice della premura di Dio nei confronti dell'uomo e la cui presenza invita alla riconoscenza e al rendimento di grazie: considerare la disponibilità di alimenti essenziali a necessario sostentamento che ogni giorno ci viene comunque concessa non sarà mai abbastanza, considerando lo stato di miseria e di denutrizione in cui vertono interi popoli abbandonati all'indigenza e alla precarietà materiale e il fatto che in questi ultimi tempi, complice il fenomeno sempre crescente della crisi economica, il costo della vita costringe sempre più famiglie a ridurre la spesa all'essenziale e a rinunciare ai divertimenti e alle voluttà, non può non farci considerare come di fatto tutto quello che abbiamo non ci appartiene. Il pane materiale proviene solamente dalla misericordia provvidente di Dio e nulla possediamo noi che non ci sia stato donato.
E accanto al pane materiale per il quale recitiamo anche la famosa preghiera del Padre nostro (Dacci oggi il nostro pane quotidiano), anzi proprio in ragione di esso, scopriamo il nostro fabbisogno di pane spirituale, che non si corrompe ma che risana l'uomo mentre corrompe se stesso, insomma del pane vivo disceso dal cielo che è Gesù Cristo. Di questo Pane avvertiamo inconsapevolmente la necessità, perché la fame di cui l'uomo soffre quanto ad orientamento di vita è ancora più assillante di quella materiale. Del Verbo incarnato che è Dio fatto uomo inavvertitamente sentiamo il bisogno, come pure la necessità che questo pane ci sostenga perennemente e nella misura in cui noi si avverte questa necessità, tanto più lo stesso Cristo pane vivo ci si propone deliberatamente e senza riserve e ci invita per l'appunto a mangiare di Lui. Magiare di lui significa effettivamente assumerlo, assimilarlo, conformarci a lui costantemente quale quale criterio irrinunciabile di vita; ma nel Sacramento dell'Eucarestia siamo invitati a consumarlo anche materialmente, mangiando il suo Corpo reale nelle apparenze del pane perché egli stesso continui ad incutere in noi quello stesso coraggio di perseveranza nella lotta che rianimava Elia motivandolo nel cammino.
Il Sacramento domenicale è alimento di fiducia e di costanza e perseveranza nella prova e chi lo assume con fede incondizionata mettendosi alla sequela attenta dello stesso Signore troverà lo sprone, il sostegno e la forza per proseguire nei propri obiettivi per quanto cavillosi possano essere evitando le trappole dello scoraggiamento e dell'arrendevolezza.  

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

Liturgia della XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 12 agosto 2012

Liturgia della Parola della XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 12 agosto 2012