29 aprile 2012 - IV Domenica di Pasqua del Buon Pastore... che dà la propria vita per le pecore

News del 27/04/2012 Torna all'elenco delle news

La Chiesa dedica questa domenica, chiamata del Buon Pastore, alla preghiera e alla riflessione per le vocazioni sacerdotali e religiose. Al centro della liturgia della Parola c'è l'appassionato discorso ove Gesù, in piena polemica con la classe dirigente d'Israele, si presenta come il "buon pastore", ossia come colui che raccoglie e guida le pecore sino ad offrire la sua stessa vita per la loro salvezza. E aggiunge: "Chi non offre la vita per le pecore non è pastore bensì mercenario". In effetti, l'opposizione tra il pastore e il mercenario nasce proprio da questa motivazione: il pastore svolge la sua opera per amore, rinunciando al proprio interesse anche a costo della vita, mentre il mercenario agisce per interesse personale e per denaro, ed è quindi logico che nel momento del pericolo abbandoni le pecore al loro destino. L'evangelista, per indicare il pericolo, usa l'immagine del lupo che "rapisce e disperde" le pecore. È una sferzata durissima ai farisei, accusati di "pascere se stessi... e non il gregge" (Ez 34,2), mentre egli è venuto per "raccogliere in unità i figli dispersi" (Gv 11,52).
A guardare bene, l'opera del lupo è congeniale all'atteggiamento del mercenario. Ad ambedue, infatti, interessa solo il proprio tornaconto, la propria soddisfazione, il proprio guadagno e non quello delle pecore; si realizza così una alleanza di fatto tra l'interesse per sé e il disinteresse per gli altri. Ne viene fuori una sorta di diabolica congiura degli indifferenti e degli egoisti contro i più deboli e gli indifesi. Se pensiamo all'enorme numero di persone che hanno smarrito il senso della vita e vagano senza mèta alcuna, se guardiamo i milioni di profughi che abbandonano le loro terre e i loro affetti in cerca di una vita migliore senza che nessuno se ne preoccupi, se osserviamo lo sbandamento dei giovani in cerca della felicità senza che ci sia chi gliela indichi, dobbiamo purtroppo constatare la triste e crudele alleanza tra i lupi e i mercenari, tra gli indifferenti e coloro che cercano solo di trarre vantaggi personali da tali sbandamenti. Scrive il profeta Ezechiele: "Le pecore del Signore si erano disperse su tutta la faccia della terra e nessuno andava in cerca di loro e se ne curava" (Ez 34,6).
Viene il Signore Gesù e con autorità grande afferma: "Io sono il buon pastore, e offro la vita per le mie pecore". Non solo lo ha detto. Lo ha anche mostrato con i fatti, particolarmente nei giorni della Settimana Santa, quando ha amato i suoi fino alla fine, sino all'effusione del sangue. Sì, finalmente è arrivato in mezzo agli uomini chi spezza la triste e amara alleanza tra il lupo e il mercenario, tra l'interesse per sé e il disinteresse per gli altri. Chi ha bisogno di conforto e di aiuto ora sa dove rivolgersi, sa dove bussare, sa dove muovere i suoi occhi e il suo cuore. Gesù stesso lo aveva detto: "Quando sarò elevato da terra, attrarrò tutti a me" (Gv 12,32). Tutto il Vangelo, in fondo, non parla d'altro che di questo legame tra folle disperate, abbandonate, sfinite, senza pastore e Gesù che si commuove per loro. "Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?" (Lc 15,4), dice il Signore. Si attribuisce a san Carlo Borromeo la frase: "Per salvare un?anima, anche una sola, andrei sino all'inferno". Questo è l'animo del pastore: andare sino all'inferno, ossia sino al limite più basso per salvare una persona. Si può comprendere anche in questa prospettiva la "discesa agli inferi" di Gesù nel Sabato Santo. Neppure da morto, potremmo dire, Gesù si è fermato a pensare a se stesso; come buon pastore è andato a cercare chi era perduto, chi era ed è dimenticato, chi era ed è negli inferni di questo mondo che il male e gli uomini hanno creato.
Il Vangelo sembra dire che o si è pastori in questo modo o altrimenti non si può che essere mercenari. È vero, solo Gesù è "buon pastore": o si somiglia a lui o si tradisce la sua stessa missione. Sappiamo bene di essere inadeguati, ed è il suo Spirito effuso nei nostri cuori che ci trasforma perché possiamo avere "in noi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil 2,5). La odierna pagina evangelica - come questa domenica suggerisce - si applica anzitutto a coloro che hanno responsabilità "pastorali" nella Chiesa, in particolare ai vescovi e ai sacerdoti. Ed è opportuno, anzi doveroso pregare, e non solo oggi, perché i "pastori" somiglino sempre più a Gesù vero ed unico "buon pastore". Ed è anche urgente intensificare la nostra preghiera perché il Signore doni alla sua Chiesa giovani che ascoltino l'invito ad essere "pastori" secondo il suo cuore, secondo la sua stessa passione d'amore.
Ogni comunità cristiana è chiamata tuttavia a guardare l'abbondanza della "messe" e la scarsità degli "operai". Potremmo dire che c'è una responsabilità "pastorale" che appartiene a tutti i credenti, non solo ai sacerdoti. Ogni discepolo, infatti, è nello stesso tempo membro del gregge del Signore ma, a suo modo, anche "pastore", ossia responsabile dei fratelli, delle sorelle e del prossimo. In tante altre pagine della Scrittura emerge questa responsabilità "pastorale" di ogni credente. A partire dalle origini dell'umanità quando Dio chiese conto a Caino di suo fratello. E non fu certo esemplare la risposta di Caino: "Sono forse io custode di mio fratello?". Sì, Caino era il custode (in questo senso si può dire che ne era il "pastore") di Abele. E ogni credente deve esserlo per il suo prossimo. La preghiera perché nella comunità cristiana ci siano coloro che ascoltino la chiamata del Signore a servire la Chiesa nel ministero ordinato è parte della spiritualità di ogni credente e di ogni comunità cristiana. Ma è da un terreno pieno di "pastoralità", ossia di credenti che sanno preoccuparsi degli altri, che possono nascere "pastori" per l'oggi. Una comunità appassionata genera pastori. Il buon pastore, infatti, non è un eroe; è uno che ama; e l'amore porta là dove neppure sogneremmo di arrivare.
L'amore inserisce nelle preoccupazioni stesse del Signore: "Ho altre pecore che non appartengono a quest'ovile: anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e si farà un solo gregge e un solo pastore". L'amore di Dio intenerisce il cuore: ci fa commuovere su coloro che vagano nelle nostre città in cerca di un approdo, su quelli che non sanno ove trovare conforto, sui milioni di disperati che coprono la faccia della terra, su quell'uomo o quella donna vicina o lontana che aspetta consolazione e non la trova. Scrive Matteo: "Gesù vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore". E aggiunge subito l'evangelista: "Allora disse ai suoi discepoli: pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe" (Mt 9,36-37). Tutta la comunità cristiana è unita al Signore Gesù che si commuove ancora sulle folle di questo mondo. E con lui prega perché non manchino gli operai per la vigna del Signore. Ma nello stesso tempo, ogni credente, davanti a Dio e davanti "ai campi che già biondeggiano per la mietitura" (Gv 4,35) deve dire con il profeta: "Ecco, Signore, manda me!" (Is 6,8). 

Omelia di mons. Vincenzo Paglia
 

Il Buon Pastore da' la propria vita per le pecore

Il Buon Pastore, l'unico, è Gesù: è Lui che ha dato la propria vita per le sue pecore e il suo nome è il solo che porta la salvezza all'umanità intera. I ministri del Vangelo operano perché il suo Nome sia conosciuto nel mondo come l'unica fonte di salvezza e amano perché il suo Amore sia la forza che trasforma il mondo.
Molto bene richiama il Papa nel suo messaggio che tutto ha origine dall'infinito Amore che Dio ha per ogni sua creatura. Ogni vocazione è una particolare esperienza di Amore: da Lui tutto inizia, dall'infinito Amore del Padre che dona tutto al Figlio che, condividendo tutto dell'uomo, non trattiene nulla per sé, ma riversa tutto nel mondo, facendo dell'amore per il mondo la via per rispondere all'Amore del Padre. Così, la vocazione fondamentale è quella di Gesù, il Figlio Amato, chiamato a ri-amare il Padre e a donare amore a tutti i fratelli e le sorelle: in Gesù, nella sua relazione con il Padre, nella "sua discesa sino alla morte e alla morte di croce" e nella sua "esaltazione", c'è tutto l'infinito dell'Amore accolto e ridonato, che, nel cammino della storia, continua a distendersi perché gradualmente il mondo, lasciandosi afferrare dall'Amore, continui a vivere della vita di Dio. E' Lui, Gesù, la fonte da cui sgorga l'amore per il mondo: i ministri del Vangelo, il "lieto annuncio dell'Amore", sono soltanto la via, il canale, attraverso il quale il suo Amore arriva a tutti gli uomini. Noi, ciascuno di noi, secondo la propria chiamata, siamo solamente i testimoni, che partecipano e comunicano il suo Amore: senza di Lui, noi non sappiamo amare. E la nostra testimonianza rimane sempre fragile, inadeguata: ma è Lui vivo, il Buon Pastore. Non per nulla leggiamo queste pagine del Vangelo di Giovanni nel tempo pasquale: "Io sono?". Egli, adesso, risorto, vivo della pienezza della Vita, può entrare in relazione con noi e renderci partecipi della sua vita nuova.
"Io sono il Buon Pastore": inizia così il brano che oggi leggiamo, Giov.10,11-18. Sullo sfondo è ben presente tutto il messaggio biblico, nel quale è frequente la metafora del pastore e delle pecore: Dio è il pastore che ha guidato il suo popolo attraverso il deserto (Sal.77,21;78,52).
I profeti hanno rivolto forti critiche a coloro che avendo l'autorità, invece di essere strumento della preocupazione di Dio per il suo popolo, lo hanno sfruttato: è proprio il cap.34 di Ezechiele che ispira in modo particolare la parola di Gesù.
"Io sono il Buon Pastore": Gesù proclama con forza che in Lui si compie la speranza del popolo di avere un pastore fedele a Dio. E immediatamente dice il motivo di questa affermazione: "il Buon Pastore dà la propria vita per le pecore". Gesù è il Buon Pastore perché "ha dato" la propria vita, ha dato tutto di sé per le sue pecore. Per cinque volte ritorna in questi pochi versetti il verbo (tithemi) che noi traduciamo con "dare", ma che è ricco di sfumature. Giovanni usa questo verbo nella lavanda dei piedi, quando Gesù depone la sua veste come segno della sua ormai prossima morte (Giov.13,4). E certamente Giovanni pensa a Davide che non teme di "mettere a rischio" la propria vita per salvare le sue pecore (1Sam.17,35): Gesù non cerca la morte, Lui che molte volte si è sottratto a coloro che volevano lapidarlo (8,59; 10,39), ma non ha esitatato a presentarsi a coloro che venivano per arrestarlo, dicendo: "Sono io", per proteggere i suoi discepoli. Il Buon Pastore non cerca nessun vantaggio per sé, agisce nel più puro disinteresse, ama le sue pecore e per questo dà la sua vita, la espone al rischio, la dona perché esse vivano.
La logica opposta è quella del mercenario: "non essendo pastore le pecore non sono le sue". Il mercenario non solo non è il proprietario delle pecore, ma non le sente sue, non è in sintonia con loro. "Vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde": tutto questo, conclude Giovanni, "perché è mercenario e non gli importa delle pecore". Il mercenario vede, pensa a se stesso, abbandona e il gregge si disperde. Il Buon Pastore vede, dona la vita, ama e unisce: questo è Gesù.
Certo Giovanni ha di fronte a sé la comunità chiamata a credere e a gustare l'Amore del Buon Pastore e che nello stesso tempo sperimenta le resistenze, gli ostacoli alla fede, la presenza di mercenari: ma proprio questo è il cammino credente, "la luce risplende nelle tenebre?"
Giovanni ribadisce con forza: su tutte le resistenze del mondo, dentro le tenebre più oscure, dentro l'odio più cieco, irrompe l'Amore del Buon Pastore, ormai inarrestabile, nel profondo del cuore di ogni uomo. Ed è questa la nostra testimonianza: anche nel nostro cuore freddo, anche nelle nostre resistenze e nel nostro egoismo Lui è presente, Lui ci ama. S.Paolo grida: "L'Amore di Cristo ci spinge, dentro; e noi siamo ambasciatori per Lui e andiamo nel mondo ad implorare: lasciate che Dio entri in relazione con voi" (2 Cor.5,21).
"Io sono il Buon Pastore". Gesù è il pastore "buono" (in greco: kalos, bello), perché realizza pienamente il suo ruolo, di mantenere in una vita bella le sue pecore e di difenderle da ogni pericolo. Gesù "Buon Pastore" non ha come suo scopo quello di competere con altri pastori nel momento del mercato delle pecore, ma di essere in relazione personale con ognuna di esse: egli conosce loro e loro conoscono Lui. "Io conosco le mie e le mie conoscono me, come conosce me il Padre e io conosco il Padre": Gesù, il Buon Pastore, è il centro della circolazione di amore, che diventa relazione personale, vita, conoscenza, esperienza, che dal Padre è donata al Figlio e da Lui è comunicata a chi, credendo, si lascia attirare dall'Amore. "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo veramente" (1 Giov.3,1).
Il cerchio dell'Amore non ha confini, deve allargarsi sempre di più: "Io ho altre pecore?anche quelle io devo guidare?" Per Ezechiele si trattava di ristabilire l'unità di un Israele diviso dopo lo scisma. Lo sguardo di Gesù è rivolto a tutti i figli di Dio dispersi nel mondo intero (Giov.11,52): a tutti è rivolto l'Amore senza limite del Padre, perché tutti sono alla ricerca del senso della vita.
"Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore": è il preludio della preghiera di Gesù: "Che siano una cosa sola, come noi siamo uno, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Giov.17,21). In Gesù, nel dono totale della sua vita, si realizza il progetto di Dio sul mondo: l'unità, la comunione. Solo l'Amore spogliato di Gesù può fare del mondo, delle pecore sperdute, comunque e dovunque siano, una comunione: non si tratta di uniformare, di appiattire, di riunire dentro confini definiti di una Chiesa, tutta l'umanità. Si tratta di annunciare l'Amore con cui Gesù ha donato al mondo l'Amore del Padre, di chiedere agli uomini di aprire il proprio cuore a Lui solo, perché il loro cuore si apra agli altri, divenuti ormai fratelli e sorelle. Noi, tutti noi, con la nostra particolare vocazione, siamo solo annunciatori del "suo" Amore. 

Omelia di mons. Gianfranco Poma
  

Liturgia della IV Domenica di Pasqua (Anno B): 29 aprile 2012

Liturgia della Parola della IV Domenica di Pasqua (Anno B): 29 aprile 2012