25 marzo - V Domenica di Quaresima: Cristo, chicco di grano che muore per dare la vita all'uomo

News del 23/03/2012 Torna all'elenco delle news

La parola di Dio ci porta già alla vigilia della passione di Cristo. Sono questi gli ultimi giorni della Quaresima durante la quale siamo stati invitati a percorrere lo stesso itinerario del Cristo, ritirato nel deserto, tentato e resistente ad ogni tentazione, capace di grandi gesti umani di rinuncia e di coraggio, uomo della penitenza, del silenzio e della preghiera. A conclusione, la chiesa ci invita a concentrarci maggiormente sul mistero della Passione e morte di nostro Signore. E lo fa proponendoci un brano della Vangelo di Giovanni, nel quale si parla di Cristo quale chicco di grano, che per legge naturale se non muore, non dà frutto. Gesù morirà sulla croce e dalla sua morte nasce la vera vita per l'umanità. La misericordia di Dio entra con la sua potenza nella storia dell'umanità.
Chi comprende che in Gesù scopriamo il volto misericordioso di Dio capisce il senso più vero della Passione. Una Passione, quella del Cristo, che si presenta drammatica all'orizzonte fin da questo primo annuncio. E' Gesù stesso che si rivolge al Padre chiedendo di salvarlo da quell'ora tremenda del dolore. Un grido di aiuto che spiega tutti le grida di aiuto che da ogni persona e da ogni parte del mondo si alzano a Dio, quando la sofferenza, più terribile e incomprensibile, soprattutto dei bambini innocenti, tocca persone di ogni ceto sociale e condizione minandone l'integrità fisica, ma soprattutto spirituale. Tutti vorrebbero rifuggire dal dolore, ma il dolore non sempre è rimovibile dalla vita dell'uomo. Un dolore che si comprende alla luce della croce, che è anche glorificazione e primariamente amore.
Il dramma di Cristo sulla Croce è espresso in modo lapidario e con accenti forti nel breve brano della Lettera agli Ebrei. L'obbedienza di Cristo è modello di obbedienza alla volontà di Dio per tutti gli uomini, anche quando questa obbedienza ci invita a salire il Calvario e a metterci ai piedi del Crocifisso non solo per compiangere il suo soffrire, ma per completare quanto manca alla sua passione.
E' il profeta Geremia che nel brano della prima lettura che ci dà la chiave interpretativa di tutto ciò che la parola di oggi ci invita a meditare sulla speranza, sui tempi nuovi e messianici, in cui Dio stipulerà una nuova alleanza con il suo popolo. E' l'alleanza del Monte Calvario, non più del monte Sinai. Il passaggio del Mar Rosso per il popolo di Israele è un lontano ricordo, in quanto un nuovo più importante passaggio l'umanità viene chiamata a compiere, quello dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà. Cristo che muore e risorge come il chicco di grano è la grande speranza, anzi è la certezza che l'uomo non è abbandonato a se stesso, ma Dio è con lui e Dio e per lui. Un Dio che dona il suo Figlio sulla Croce, perché dalla Croce gli uomini riabbiano la gioia di una vita in Dio, nella sua amicizia e nell'amicizia con tutti i suoi fratelli.
Nel Salmo responsoriale di oggi, tratto dal Salmo 50, c'è questa elevazione di preghiera a Dio per ottenere la sua misericordia davanti al peccato individuale e soggettivo e al peccato collettivo e oggettivo: "Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro".
Di fronte ad un mondo che ha perso il senso di Dio e di conseguenza anche la coscienza del peccato, delle proprie debolezze, il forte richiamo che ci viene dalla parola di Dio di oggi alla misericordia è un invito a ripartire da quella esperienza di fede che ci fa sperare nella salvezza, ma non ci fa abusare della misericordia di Dio. E' tempo di conversione, è tempo di pentimento, è tempo, soprattutto, di iniziare una vita nuova vera in Cristo, che per noi ha accettato la Croce come autentica via di liberazione, in quanto via dell'amore e dell'oblazione. Il Signore ci illumini a prendere coscienza dei nostri peccati e per quanto è nelle nostre facoltà di togliere il peccato dalla nostra vita, per vivere nella grazia e nell'amicizia con Dio.
Ecco perché possiamo doverosamente e legittimamente pregare così in questo giorno di festa e di speranza per tutti: Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi. Amen. 

Omelia di padre Antonio Rungi 
 

Giorni che esigono riflessione

Fin dall'inizio, nella Chiesa vi è stata la consuetudine, in questa domenica così vicina alla Pasqua, di contemplare, nel loro tragico sviluppo, i giorni del dolore, che si fa dono, per creare spazi di gioia negli uomini, proiettandoli nella realtà della resurrezione pasquale.
Davvero si rimane sbalorditi, se si riflette sul serio e si è disposti a seguire Gesù con tutto il cuore e la vita, pensando alla Sua passione, morte e resurrezione, che ha ridato nuova speranza alla storia di Dio con l'uomo. La Resurrezione è l'azione di Dio che, dopo aver cancellato tutto il male di noi uomini - e a che prezzo! - ci fa dono di rinascere a quella vita nuova che da sempre aveva pensato per noi, prima del peccato originale dei nostri progenitori.
E', questo, non solo il sogno di un Dio che ci ama tanto, ma è il Suo dono concreto, sempre che facciamo della vita un atto libero di amore a Lui, come era nell'intenzione del Padre, creandoci.
A rifletterci bene, c'è davvero da impazzire di gioia, pensando quanto Dio ci ama e quanto sia disposto a donarci per averci vicino a Sè!
Ma chi siamo perché Dio ci voglia tanto bene?
Dovrebbe, questo pensiero, invitarci a fare di questa Quaresima, il tempo del ritorno ad essere veramente degni figli del Padre.
Ma saremo capaci di cogliere questo immenso bene che ci viene offerto ancora una volta in questa Quaresima che ci accosta alla Pasqua di Resurrezione?
C'è nell'aria un assuefarsi alla normalità di una vita che confessa il vuoto di un'esistenza senza la presenza del Padre, che vorrebbe, con la Sua Pasqua - giorno veramente offerto per lasciare alle spalle le conseguenze del peccato originale - farci nuovamente respirare la dolce aria del Paradiso, per cui Lui ci ha creati ..
Se osserviamo la vita di tanti, troppo spesso dobbiamo ammettere che ci troviamo di fronte a cristiani che vivono alla giornata, accontentandosi di ciò che offre la 'terrà, che, se va bene, a volte concede qualche soddisfazione, ma nulla che abbia a che vedere con la pienezza di chi vive la santità, ieri e oggi.
Occorre davvero che ciascuno di noi, in questi giorni di 'passione di Gesù', il più grande Dono, l'amore di Dio trovi posto nel nostro quotidiano.... anche se è difficile, confusi come siamo dal chiasso del mondo e delle sua vanità.
Inutile sognare un mondo di pace, di bontà, di serenità, senza entrare nello Spirito di Dio che ci trasforma. E' in fondo il vero ed unico modo di vivere questo tempo di 'passioné, se vogliamo conoscerne il dono e accoglierlo.
Ci indica la strada per una conversione o se volete per una 'nostra partecipazioné profonda e vitale alla Pasqua, il Vangelo di Giovanni di oggi, un discorso duro che è il prezzo della nostra possibile santità. "Chi mi ama, - dice Gesù - perderà la sua vita, e chi odia la propria vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna"
Un discorso davvero esigente, ma necessario, che ci fa intravedere come ciascuno di noi, che vuole seguire Cristo, dovrà portare la sua croce, seguendo le orme del Maestro.
Sono tante le croci che si affacciano nella vita, in ogni ambiente.
Basta guardare il mondo che ci circonda e sembra davvero una selva di croci.
Tutti hanno da raccontare le proprie, e tutte hanno la loro ragione nella precarietà della vita qui in terra, ma hanno anche il pregio di essere la via della nostra santificazione, se accolte come prova del nostro amore a Dio.
Vi sono poi le croci che l'uomo si crea con le sue stesse mani.
E ci sono poi le croci quotidiane, che camminano con ogni vita, come le malattie, la fatica del lavoro, la passione della famiglia, le difficoltà di ogni genere: realtà 'ferialì che altro non sono che schegge più o meno gravi di quella croce quotidiana che segna la nostra esistenza, ma possono diventare sprazzi di luce se accolte e vissute con Cristo, in Cristo e per Cristo.
E' proprio grazie alla Croce di Gesù, questo 'sì' al Padre, uscito dal Suo Cuore, che ogni uomo può conoscere il senso della propria stessa croce: trono della nostra gloria con Dio.
La croce di Cristo è proprio la testimonianza dell' Amore di un Dio che vuole salvarci, percorrendo Lui stesso il sentiero del Calvario.
Chi può evitare di percorrere nella sua vita questo 'sentierò?
E' un sentiero che si cerca di ignorare, ma si disegna come un'ombra, che, solo se vogliamo, può essere illuminata da Cristo, che ci precede e segna la strada.
Tutti abbiamo la nostra croce, ma non tutti sappiamo scorgere in lei la via dell'amore che si fa dono e misura di amore.
Occorre davvero voler ritornare alla scuola di Gesù, seguendo i Suoi passi e i Suoi insegnamenti, via sicura per tanti veri credenti, santi.

Omelia di mons. Antonio Riboldi
 

Dal nulla il frutto di una vita nuova

Se il chicco di grano ca­duto in terra non muo­re, rimane solo; se in­vece muore produce molto frutto. Il centro della frase non è il morire, ma il molto frutto. Lo sguardo del Si­gnore è sulla fecondità, non sul sacrificio. Vivere è dare vita. Non dare, è già morire. Tuo è solo ciò che hai dona­to. Come accade per l'amo­re: è tuo solo se è per qual­cuno.
Un chicco di grano, il quasi niente: io non ho cose im­portanti da dare, ma Lui prende questo quasi niente e lo salva, ne ricava molto frutto. Sarò un chicco di gra­no, lontano dal clamore e dal rumore, caduto nel silenzio, seminato giorno per giorno, senza smania di visibilità e di grandezza, nella terra buona della mia famiglia, nella ter­ra arida del mio lavoro, nel­la terra amara dei giorni del­le lacrime. Chicco di grano che prendi in mano e sem­bra una cosa morta, una co­sa dura e spenta, mentre è un nodo di vita, dove pulsa­no germogli. Così è ogni uo­mo: un quasi niente che però contiene invisibili e im­pensate energie, un cuore pronto a gemmare di pane e di abbracci.
Chi vuole lavorare con me, mi segua. Seguire Cristo, u­nico modo per vederlo. Per rispondere alla richiesta che interpella ogni discepolo:
vogliamo vedere Gesù. L'uni­ca visione che ci è concessa è la sequela. Come Mosè che vede Dio solo di spalle, men­tre passa ed è già oltre, così noi vediamo Gesù solo cam­minando dietro a lui, rinno­vando le sue opere, collabo­rando al suo compito: por­tare molto frutto.
Gesù, uomo esemplare, non propone una dottrina, rea­lizza il disegno creatore del Padre: restaurare la pienez­za, la gloria dell'umano. Glo­ria dell'uomo è il molto frut­to di vita, gioia, libertà. Glo­ria di Dio è una terra che fio­risce, l'uomo che mette gemme di luce e di amore.
L'anima mia è turbata, Pa­dre salvami. Mi possono to­gliere tutto il Vangelo, ma non i turbamenti di Gesù, il suo amore inerme e lucido, il suo amore inerme e virile insieme. Mi danno tanta for­za come per uno trovare un tesoro. Perché mi dicono che ha avuto paura come un coraggioso, che ha amato la vita con tutte le sue fibre; che non è andato alla morte col sorriso sulle labbra, ma con un atto di fede.
Poiché è uomo di carne e di paure, e ama a tal punto, in lui splende la gloria del Pa­dre e la gloria dell'uomo. In­nalzato, attirerò tutti a me.
Alto sui campi della morte, Gesù è amore fatto visibile. Alto sui campi della vita, è a­more che seduce. E mi atti­ra, dolce e implacabile, ver­so la mia casa, verso la mia gloria, verso il molto frutto. 

Omelia di padre Ermes Ronchi 
 

Dio delll'amore, Dio della croce

Il profeta Geremia preannuncia la novità dell'alleanza definitiva di Dio con il popolo d'Israele, che sarà liberante e innovativa per la vita dei singoli e dell'intero popolo. Essa riguarderà, accanto alla liberazione dall'oppressione dell'esilio babilonese, la nuova vita fondata non più sulla tassatività della legge scritta, ma sui radicali imperativi che scaturiscono dal cuore e dall'intimo, dalla consapevolezza cioè di aver instaurato una familiarità intima con Dio. La liberazione e la nuova alleanza raggiungeranno tutto il popolo, lo beneficeranno e lo renderanno edotto dell'efficacia dell'amore di Dio che può apportare ogni sorta di pace, di giustizia e di bene a partire dal rinnovamento profondo del singolo soggetto umano.
Così Dio fa anche in questi Greci, uomini del tutto differenti dal pensiero e dal costume Giudaico, perché provenienti da una forma mentis pagana e refrattaria alla trascendenza e alla possibilità del sacro. Probabilmente essi dovevano essere dei neofiti approdati al cristianesimo o uomini in ricerca, fatto sta che adesso vogliono vedere Gesù. La loro richiesta ci ricorda l'atteggiamento creativo di Zaccheo che salì sul sicomoro perché, nel mezzo della folla che si accalcava per la via, "voleva vedere quale fosse Gesù: anche lui era differente da Giudei e Cristiani perché era "capo dei pubblicani e ricco", cioè peccatore e refrattario.
Nell'uno e nell'altro caso, la richiesta viene soddisfatta dallo stesso Signore che si mostra e si propone. Nel caso dei Greci, Gesù offre loro se stesso annunciando non il Dio della sapienza o del raziocinio che essi si sarebbero aspettati, non il sottile ragionatore o il dotto sapiente, ma il Figlio dell'Uomo che sarà glorificato per mezzo della morte e della risurrezione. Annuncia loro insomma il Dio crocifisso, lontano dalla concezione pagana e filosofica ma esplicito nella sua concretezza poiché è il Dio che appunto nel supplizio della croce mostrerà il suo potere salvifico a vantaggio dell'uomo. Come dirà poi Paolo: "E mentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio (1 Cor 1:22-24). Gesù insomma presenta in se stesso un Dio del tutto diverso da quello che i pagani e i miscredenti o altre religioni potrebbero aspettarsi, perché si tratta di un Dio che salva non nel nascondimento; non in quello che comunemente viene da noi definito sapienza e persuasione, ma al contrario in ciò che per l'uomo comune suona strano e assurdo, come appunto il fatto di un Dio che si lascia uccidere e crocifiggere. La crocifissione si paragona in questo caso all'oscurità della terra nella quale viene collocato un seme perché muoia per recare frutto: è una tappa che deve necessariamente trasformarsi in gloria e segna la necessità di una morte che sarà per la vita. Il Padre stesso avalla questo assunto con la teofania della glorificazione del proprio Figlio: "L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!" e questo annuncio è allusivo alla salvezza di tutti gli uomini, poiché in questo programma sono inclusi tutti coloro che si immedesimano nel mistero del Dio vivente nel Risorto.
Si preannuncia insomma il passaggio necessario dalla morte alla vita nel quale si evidenzia che la prima tappa è necessaria per la seconda. Come pure è necessario che il Cristo affronti la sua "ora", cioè il momento propizio della sua auto consegna per la realizzazione del piano di salvezza da parte del Padre. Come scrive Alphonse Karr, "Io credo nel Dio che ha creato gli uomini, non nel Dio che gli uomini si sono creati" e appunto per questo il Dio che si rivela nella croce (e nella resurrezione) è molto più grande del Dio sopraffino dei Teisti e di tutte le divinità e i miti speculativi e razionalisti: un Dio troppo palese e garante che soddisfi immediatamente la nostra volontà di possederlo con tutti i mezzi non è un vero Dio, ma forse solamente un idolo. Il Dio della rivelazione è invece il Misterioso che si dispone per l'uomo e che lo serve fino in fondo e che nella sua onnipotenza è capace di amare fino alla morte di croce per raccogliere tutti nella gioia della risurrezione. Tale amore si palesa solamente in Gesù, Figlio di Dio fatto uomo che libera, salva e chiama a nuova vita passando egli stesso dalla morte alla vita. La croce e la resurrezione si equivalgono quindi per il comune denominatore che esse mostrano nell'essere proprie di un Dio che può tutto per l'uomo, ma la cui onnipotenza è sinonimo di amore.
L'amore non è tale se non racchiude in un certo qual modo il sacrificio e l'oblazione di se stessi e questo rende ancora attendibile il Dio della croce e della risurrezione nel quale l'amore è del tutto sacrificale e oblativo. E' amore capace di soccombere alla morte perché la morte soccomba all'Amore. 

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta 

Liturgia della V Domenica di Quaresima (Anno B): 25 marzo 2012

Liturgia della Parola della V Domenica di Quaresima (Anno B): 25 marzo 2012