La visione del Cielo

News del 23/05/2009 Torna all'elenco delle news

La festa dell'Ascensione di Gesù ci rende più presente, vorrei dire più attuale, la visione del "cielo".
Potrebbe suonare semplicistico dire che si pensa troppo a questa vita terrena e poco a quella celeste. Tutti pensiamo che la vita terrena sia una cosa e quella del cielo totalmente un'altra. In realtà, la Scrittura ci suggerisce una continuità della vita, sebbene ci sarà una cesura alla fine dei tempi. Ed è in questa prospettiva che nel Credo si parla di "vita eterna" e non semplicemente di vita futura o dell'aldilà. È come dire che questa vita già da ora deve essere impastata di eternità; e lo è sia nel bene che nel male. Il paradiso e l'inferno iniziamo a costruirli da questa terra e in questo nostro tempo.
Pertanto, la nostra vita terrena sarebbe trasformata di molto se avessimo lo sguardo rivolto verso il futuro, verso il cielo. L'Ascensione viene a mostrarci qual è il futuro che Dio ha riservato ai suoi figli: quello raggiunto da Gesù. Ecco perché abbiamo bisogno di "vedere" già il cielo, sebbene "in speculum et in enigmate" come dice l'apostolo Paolo, per poter vivere bene già su questa terra.
Il mistero dell'Ascensione, appena accennato dal Vangelo di Marco, è narrato con maggiore ampiezza dagli Atti degli Apostoli. Gesù, scrive l'autore degli Atti, al termine dei suoi giorni, dopo aver parlato ai discepoli, "fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo". Fu un'esperienza straordinaria per quel piccolo gruppo di credenti. Possiamo immaginare il misto di stupore e di tristezza per la separazione; tanto che rimasero a guardare il cielo. Mentre erano fissi in questa posizione, "ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù... tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo". Normalmente si interpreta questo testo come una sorta di dolce ma fermo rimprovero ai discepoli perché non si fermino a guardare le nubi del cielo, ma ritornino con il loro sguardo e soprattutto con il loro impegno nell'orizzonte della vita di tutti i giorni. Del resto non è stato Gesù stesso ad esortare gli apostoli, proprio un momento prima di lasciarli, dicendo: "andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16, 15-20)? Tutt'altro quindi che restare a guardare il cielo.
Ma c'è anche una verità nel tenere gli occhi fissi al cielo. Non che i cristiani debbano essere un gruppo di esoterici, fermi a contemplare dottrine astratte, magari per evadere la complessa e talora durissima vita quotidiana. Tenere gli occhi fissi verso il cielo vuol dire tenere ben ferma la mèta ove dobbiamo condurre noi stessi e il mondo, le nostre comunità e l'intera storia umana.
L'apostolo Paolo sembra insistere perché i credenti guardino oltre il presente: "La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo" (Fil 3, 20). Del resto, chi non vede quanto sia necessario far salire più in alto, appunto verso quel cielo che Gesù ha riaperto, questo nostro mondo spesso sbattuto così tragicamente in basso? Questo nuovo millennio è iniziato senza utopie, senza sogni, con ciascuno ripiegato su se stesso. E le guerre e le violenze continuano ad avere un predominio incontrastato. Per di più sembra affermarsi la ragione della forza piuttosto che quella del diritto, del dialogo e del confronto pacifico.
La festa della Ascensione è un dono per esortarci ad alzare gli occhi più in alto del nostro orizzonte abituale. E ci viene offerto il futuro della storia umana, anzi dell'intera creazione.
L'Ascensione è il mistero della Pasqua visto nel suo compimento, scorto dalla fine della storia. 
Non siamo più immersi in una storia senza orientamento, vittime del caso o di forze oscure e incontrollabili. Il Signore è il nostro cielo e la nostra sicurezza. Egli ci attrae verso il futuro che Lui ha già raggiunto in pienezza.

testo di  Mons. Vincenzo Paglia
testo integrale

testo di don Roberto Rossi:Testimoniare sulla terra che siamo fatti per il cielo
 

Liturgia e commento a cura di Enzo Petrolino, diacono