29 dicembre 2019 - Festa della Sacra Famiglia: una famiglia ideale o di ideali?

News del 28/12/2019 Torna all'elenco delle news

"Non ci si capisce più: o si è ribaltato il mondo, oppure noi siamo troppo anziani per capire i giovani di oggi. Ad ogni modo, non sono più le famiglie di una volta?".

"Oggi si mettono insieme e si separano con una facilità estrema, come scartare e mettere in bocca una caramella. Anzi, piuttosto che arrivare a questo, nella migliore delle ipotesi, non si sposano nemmeno più?".

"Le famiglie di oggi vanno in sfacelo perché hanno perso la fede! Una volta eravamo più uniti perché non avevamo paura di fare sacrifici, e la fede, in questo, ci dava una mano grossa!?".

"Com'è possibile, oggi, parlare di famiglia, se non si sa bene più chi e quanti siano i papà, le mamme, i fratelli...si è davvero ribaltato il mondo!?".

Chi più ne ha, più ne metta, di queste frasi popolari, da gente della piazza e della strada, che fa queste affermazioni con ovvietà ed estrema facilità: sono frasi talmente facili da pronunciare che rischiano di risultare scontate, quasi banali, ogni volta che pensiamo alla famiglia secondo i canoni classici nei quali è cresciuta la stragrande maggioranza di noi... Non che non siano vere, intendiamoci: anzi, sono di un'evidenza e di una schiettezza disarmanti, quasi sacrali: sono comunque frasi parziali e non sempre del tutto esatte, anche e proprio in riferimento alle diverse epoche storiche. Perché è vero che fino a qualche decade fa (parecchie, ormai... oserei dire quasi una cinquantina d'anni) avevamo modelli familiari più rispondenti agli standard tradizionali, i quali davano anche l'impressione di una maggior unità e coesione all'interno del nucleo familiare, ma occorre anche vedere a che prezzo tutto questo avveniva: basti pensare alla situazione nella quale viveva la donna, la cui considerazione all'interno della famiglia non sempre ne valorizzava le doti e le capacità, per non parlare della scarsa possibilità di emancipazione che le era riservata.

Insomma, la famiglia da Mulino Bianco non è mai esistita né mai esisterà, per cui le luci e le ombre nella famiglia ci sono sempre state in ogni epoca e a ogni latitudine; fare affermazioni lapidarie come quelle che ho citato all'inizio, per quanto - ripeto - possano avere una base di verità, tuttavia suonano come sentenze profetiche che di profetico non hanno nulla, perché non aprono alla speranza della costruzione di una vita familiare più serena. Sappiamo bene che la situazione, oggi, è questa: e invece di gridare allo scandalo o cadere in un nostalgico remake di forme ormai inattuabili, forse è il caso di cercare di reinterpretare l'istituzione familiare alla luce dei segni dei tempi, e soprattutto - partendo da questi segni - non smettere mai di accompagnare, sostenere, avvicinare e far sentire la nostra affettuosa amicizia alla realtà della famiglia, in tutte le forme nelle quali essa si manifesta, senza pregiudizi o ideologie di sorta, da qualsiasi parte esse provengano. A maggior ragione per quanto riguarda noi credenti che - anche ispirati dalla festa liturgica di oggi - cerchiamo nella Santa Famiglia di Nazareth ispirazione, protezione e intercessione.

Cos'abbia vissuto, infatti, la famiglia terrena del Figlio di Dio, ce lo dice anche il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato, che risente ovviamente della matrice ebraica del suo autore, l'evangelista Matteo, il quale - destinando la sua opera a una comunità cristiana di gente proveniente dal giudaismo - aveva come principale preoccupazione quella di mostrare l'identità tra Gesù di Nazareth (ma Matteo meglio direbbe ?di Betlemme?) e il Messia atteso da secoli come realizzazione delle promesse fatte da Jahvè ai loro padri. Ecco allora che il testo di oggi è costruito quasi esclusivamente sulla preoccupazione da parte di Matteo di mostrare Gesù come il nuovo Mosè, venuto nel mondo a stabilire la Nuova Alleanza tra Dio e il suo popolo. La situazione iniziale vede un ribaltamento delle prospettive: se Mosè, minacciato di morte dal faraone, è costretto a fuggire dall'Egitto verso la terra di Madian (per lui terra di pace), ora Gesù è costretto a lasciare la terra promessa per rifugiarsi in Egitto dove le minacce di Erode non possono avere effetto. Entrambi, tuttavia, potranno ritornare alla loro terra solo quando moriranno quelli che cercavano di ucciderli. E in realtà, quello di Gesù, Giuseppe e Maria verso la Palestina non sarà un ?ritorno?, ma una specie di nuovo ingresso (l'angelo del Signore dirà a Giuseppe ?Alzati e va' in Israele?, e non ?torna?, quasi fosse la prima volta; e difatti, subito dopo, si dice che ?entrò nella terra d'Israele?, come se mai ci fosse stato prima di allora): è evidente che Gesù è il nuovo Mosè che entra nella terra promessa per la definitiva alleanza tra Dio e il suo popolo.

Ma se pensiamo che tutto questo avvenga in maniera semplice e lineare, per la Santa Famiglia di Nazareth, ci sbagliamo di grosso: prima le minacce di distruzione e morte, poi la fuga in un paese straniero, poi l'ingresso in un paese che sembra il loro paese, ma in realtà è un paese totalmente diverso da prima, tanto che Giuseppe ha timore di entrare in un paese dove regna Archelao, un re sanguinario che, come suo padre Erode, può mettere a repentaglio la vita della sua famiglia; e allora ripiega verso la Galilea (dove, secondo Matteo, Giuseppe non aveva mai abitato, a differenza di quanto afferma Luca). E in mezzo a tutto questo, non dimentichiamolo, la strage di famiglie innocenti attraverso la quale, nel suo drammatico disegno, Dio preserva la vita della famiglia terrena di suo figlio.

Quante analogie, con le famiglie di oggi, costrette a difendersi dagli attacchi dei potenti di turno che promettono di proteggerle e ?adorarle? come promise Erode, e in realtà attuano scelte e politiche che a tutto puntano meno che a proteggere. E allora, soccombono le più indifese, le più innocenti, quelle che non hanno nessuno che le difenda. Chi vuole salvarsi è costretto a emigrare, non solo nel senso geografico e molto attuale del termine, ma anche e soprattutto nel senso di una spasmodica ricerca di una sistemazione serena e pacifica all'interno della quale la vita possa fiorire. Quanti Egitti e quante Terre Promesse dovranno ancora percorrere o cercare le nostre famiglie di oggi, per trovare serenità? Quale terra, quale realtà esistenziale offrirà un luogo di riparo alle famiglie di oggi? Ci si accontenta anche di una accozzaglia come la Galilea, di una città di Nazaret - da cui, secondo il sentire comune - non potrà mai venire nulla di buono, purché si possa costruire una vita degna di essere chiamata tale!

Ma per fare questo, occorre qualcuno che guidi le nostre famiglie come guidò allora quella di Gesù. E allora, nel silenzio dei dubbi e dei pensieri, e nonostante l'ostilità dei potenti di ieri e di oggi, auguriamo alle nostre famiglie di poter udire sempre la voce di Dio che, come accadde a Giuseppe nel sogno, le prenda per mano e le conduca là dove, pur non esistendo alcun Mulino Bianco, possa quantomeno compiersi il progetto di Dio su di loro.

Omelia di don Alberto Brignoli

 

Giuseppe, un padre concreto e sognatore

Il Vangelo racconta di una famiglia guidata da un sogno.

Oggi noi, a distanza, vediamo che il personaggio importante di quelle notti non è Erode il Grande, non è suo figlio Archelao, ma un uomo silenzioso e coraggioso, concreto e sognatore: Giuseppe, il disarmato che è più forte di ogni Erode. E che cosa fa Giuseppe? Sogna, stringe a sé la sua famiglia, e si mette in cammino.

Tre azioni: seguire un sogno, andare e custodire. Tre verbi decisivi per ogni famiglia e per ogni individuo; di più, per le sorti del mondo.

Sognare è il primo verbo. È il verbo di chi non si accontenta del mondo così com'è. Un granello di sogno, caduto dentro gli ingranaggi duri della storia, è sufficiente a modificarne il corso. Giuseppe nel suo sogno non vede immagini, ascolta parole, è un sogno di parole. È quello che è concesso a ciascuno di noi, noi tutti abbiamo il Vangelo che ci abita con il suo sogno di cieli nuovi e terra nuova. Nel Vangelo Giuseppe sogna quattro volte (l'uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio) ma ogni volta l'angelo porta un annunzio parziale, ogni volta una profezia breve, troppo breve; eppure per partire e ripartire, Giuseppe non pretende di avere tutto l'orizzonte chiaro davanti a sé, ma solo tanta luce quanta ne basta al primo passo, tanto coraggio quanto serve alla prima notte, tanta forza quanta basta per cominciare.

Andare, è la seconda azione. Ciò che Dio indica, però, è davvero poco, indica la direzione verso cui fuggire, solo la direzione; poi devono subentrare la libertà e l'intelligenza dell'uomo, la creatività e la tenacia di Giuseppe. Tocca a noi studiare scelte, strategie, itinerari, riposi, misurare la fatica. Il Signore non offre mai un prontuario di regole per la vita sociale o individuale, lui accende obbiettivi e il cuore, poi ti affida alla tua libertà e alla tua intelligenza.

Il terzo verbo è custodire, prendere con sé, stringere a sé, proteggere. Abbiamo il racconto di un padre, una madre e un figlio: le sorti del mondo si decidono dentro una famiglia. È successo allora e succede sempre. Dentro gli affetti, dentro lo stringersi amoroso delle vite, nell'umile coraggio di una, di tante, di infinite creature innamorate e silenziose. «Compito supremo di ogni vita è custodire delle vite con la propria vita» (Elias Canetti), senza contare fatiche e senza accumulare rimpianti.

Allora vedo Vangelo di Dio quando vedo un uomo e una donna che prendono su di sé la vita dei loro piccoli; è Vangelo di Dio ogni uomo e ogni donna che camminano insieme, dietro a un sogno. Ed è Parola di Dio colui che oggi mi affianca nel cammino, è grazia di Dio che comincia e ricomincia sempre dal volto di chi mi ama.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Un nucleo familiare speciale, unico e irripetibile nella storia dell'umanità

Questa domenica dopo la solennità del Santo Natale è dedicata interamente alla santa famiglia di Nazareth e quindi a tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle consacrata dal vincolo matrimoniale con il sacramento specifico che lega la coppia in un vincolo d'amore unico ed indissolubile....(...)

La santa famiglia di Nazareth sia per tutti modello di armonia, unione, pace, collaborazione e disponibilità a camminare insieme sui sentieri di questo nostro tempo, segnato dalla globalizzazione dell'indifferenza e dalla continua violenza ed abusi sui bambini, sulle donne e sulla famiglia, che vanno stroncati sul nascere, per non far germinare il seme dell'omertà sul male fatto, nei confronti dei più deboli e degli indifesi della società.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

La famiglia è il piano di Dio per l'uomo

Il racconto di Matteo 2,13-23 si divide in tre parti: la fuga in Egitto della Santa Famiglia (13-15), l’uccisione dei bambini di Betlemme (16-18), il ritorno a Nàzaret (19-23). La liturgia omette la parte centrale, concentrandosi sulla fuga e sul ritorno, descritti entrambi secondo un medesimo schema: apparizione dell’angelo che affida un compito a Giuseppe, esecuzione del comando, citazione di un profeta.

L’evangelista, attraverso l’immagine dell’entrata e dell’uscita dall’Egitto e il riferimento alle Scritture, presenta Gesù come Colui che ripercorre il cammino del popolo: Abramo, i figli di Giacobbe e Mosè scesero in Egitto e da lì risalirono; Israele sperimenta proprio in quella terra di schiavitù la sua rinnovata condizione di figlio amato e liberato, come proclama il profeta Osea («dall’Egitto ho chiamato mio figlio»); Cristo è il Messia nel quale si compie definitivamente l’evento della liberazione. Perché ciò accada, anche il Figlio deve attraversare le acque della morte, senza che questa abbia l’ultima parola, e la sua risurrezione sarà l’approdo alla terra promessa del Regno divino che Egli è venuto a realizzare.

Il racconto presenta dunque un marcato richiamo alla Pasqua di Israele e a quella di Gesù, così come alla nostra. Entrare in Egitto anche per noi significa entrare in una qualche morte, ma poiché è il Signore a chiedercelo, tale esperienza diventa il principio di una vita nuova. Infatti ciò che più ci ripugna e che eviteremmo molto volentieri, sacrifici, rinunce e umiliazioni, sono quell’Egitto in cui, soffrendo, possiamo elevare il nostro grido al Padre e tornare a sentirci figli, attendendo con fiducia la sua liberazione. Quando invece stiamo bene, corriamo il rischio di voler fare a meno del Signore, paghi delle nostre illusorie gratificazioni. Nelle situazioni di precarietà, solo l’obbedienza alla Parola ci consente di dare un senso alla nostra morte spirituale. Giuseppe ancora una volta viene presentato come modello di un’obbedienza che si pone a custodia della vita; dalla sua testimonianza risulta infatti che soltanto l’obbedienza al piano di Dio ci rende autentici promotori della vita, altrimenti agiamo solo per istinto, senza traghettare la nostra esistenza e quella delle persone affidate alla nostra responsabilità verso la promessa di Dio. È questa la grande sfida per le famiglie di oggi: dare priorità al piano di Dio e non alle esigenza indotte dalla mentalità odierna.

La Santa Famiglia rimane immigrata in terra straniera per un tempo indefinito, quasi a significare che occorre attendere con pazienza i tempi di salvezza di Dio e non i nostri, che sono in genere frettolosi e possono condurre a scelte premature e controproducenti. Questa pagina è modernissima, in quanto tutte le famiglie che sono state costrette ad emigrare possono rispecchiarsi in essa, sentendosi comprese e appoggiate da Gesù, Giuseppe e Maria, nostri fratelli stranieri. Tale ‘stranierità’ deve permanere come condizione permanente dell’uomo di fede, chiamato continuamente a uscire da se stesso per realizzare la comunione con l’Altro e con l’altro dal volto uguale al mio; essa è condizione necessaria anche per ogni nucleo familiare, in cui i singoli membri devono assumere come prima fondamentale sfida la capacità di andare verso gli altri.

Segue poi l’ulteriore sfida di riconoscere e affrontare i pericoli che attentano alla vita e all’amore della famiglia; una terza sfida consiste nel saper riconoscere i segni che indicano un tempo nuovo di vita nella piena signoria di Dio. Giuseppe raccoglie tutte e tre le sfide e dà questa impostazione di fede alla sua famiglia. La sua doppia obbedienza al messaggero divino si concretizza nel ripetersi entrambe le volte dei medesimi verbi e oggetti: «si alzò… prese il bambino e sua madre».

In tali formulazioni notiamo un primo aspetto significativo, ossia la portata teologica delle espressioni, che menzionano il verbo della risurrezione e la compresenza del bambino e della madre, sempre insieme, come a dire che chi nella vita dà spazio a Gesù e a Maria è certo di risorgere dalle morti che l’esistenza comporta. Ancora, osserviamo come il ricorrere di uguali azioni e soggetti ci richiami al fatto che la santità di una famiglia si costruisce nelle cose ordinarie, che potrebbero apparire banali, ma vissute ogni giorno sempre più consapevolmente e profondamente, consentono di stare alla presenza di un Mistero che rende la famiglia non solo grembo in cui la vita si genera, ma culla in cui l’Amore costantemente si contempla, si vive e si serve. «Andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret»: la Santa Famiglia prende dimora nel luogo stabilito dalle profezie, invitando ciascuno di noi a dimorare nel cuore di una comunione intima con Dio, che non è solo slancio di sentimenti verso Lui ma soprattutto, come insegna Giuseppe, sforzo di adeguare la nostra volontà alla sua. Questo è il Natale!

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA (ANNO A) 29 DICEMBRE 2019