14 aprile 2019 - Domenica delle Palme: fattosi carne il Verbo ora entra anche nella morte

News del 13/04/2019 Torna all'elenco delle news

Inizia con la Domenica delle Palme la settimana suprema della storia e della fede. In quei giorni che diciamo «santi» è nato il cristianesimo, è nato dallo scandalo e dalla follia della croce. Lì si concentra e da lì emana tutto ciò che riguarda la fede dei cristiani.

Per questo improvvisamente, dalle Palme a Pasqua, il tempo profondo, quello del respiro dell'anima, cambia ritmo: la liturgia rallenta, prende un altro passo, moltiplica i momenti nei quali accompagnare con calma, quasi ora per ora, gli ultimi giorni di vita di Gesù: dall'entrata in Gerusalemme, alla corsa di Maddalena al mattino di Pasqua, quando anche la pietra del sepolcro si veste di angeli e di luce. Sono i giorni supremi, i giorni del nostro destino. E mentre i credenti di ogni fede si rivolgono a Dio e lo chiamano nel tempo della loro sofferenza, i cristiani vanno a Dio nel tempo della sua sofferenza. «L'essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio crocifisso» (Carlo Maria Martini).

Contemplare come le donne al Calvario, occhi lucenti di amore e di lacrime; stare accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, nella sua carne innumerevole, dolente e santa. Come sul Calvario «Dio non salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza; non protegge dalla morte, ma nella morte. Non libera dalla croce ma nella croce» (Bonhoeffer).

La lettura del Vangelo della Passione è di una bellezza che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato; lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo.

Poi giro ancora la testa, torno a guardare la croce, e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio a me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo. Perché Cristo è morto in croce? Non è stato Dio il mandante di quell'omicidio. Non è stato lui che ha permesso o preteso che fosse sacrificato l'innocente al posto dei colpevoli. Placare la giustizia col sangue? Non è da Dio. Quante volte ha gridato nei profeti: «Io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la carne dei tori», «amore io voglio e non sacrificio».

La giustizia di Dio non è dare a ciascuno il suo, ma dare a ciascuno se stesso, la sua vita. Ecco allora che Incarnazione e Passione si abbracciano, la stessa logica prosegue fino all'estremo. Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne, perché nella morte entra ogni carne: per amore, per essere con noi e come noi. E la attraversa, raccogliendoci tutti dalle lontananze più perdute, e a Pasqua ci prende dentro il vortice del suo risorgere, ci trascina con sé in alto, nella potenza della risurrezione.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Tre parole prima di morire

Domenica delle Palme: quella di oggi, che introduce alla Pasqua, è una celebrazione a due facce. La prima è quella che le dà il nome, con la benedizione e la distribuzione dei rami di palma o d'ulivo, per ricordare il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme, accolto da una folla festante con l'agitare appunto le fronde allora disponibili.

L'altra faccia anticipa il racconto di quanto poi si celebrerà lungo la settimana: seguendo gli ultimi atti della vicenda terrena di Gesù, giovedì si fa memoria della sua ultima Cena, un evento articolato che comprende il tradimento di Giuda, la lavanda dei piedi agli apostoli (in varie chiese compiuta anche in forma fisica, col sacerdote che lava i piedi a dodici persone, rappresentanti appunto gli apostoli) e soprattutto l'istituzione dell'Eucaristia, nonché del sacerdozio che la rinnova a beneficio di tutti i fedeli. Venerdì si ricordano le indicibili sofferenze della Passione (Gesù processato, flagellato, coronato di spine, condotto al calvario portando la croce, crocifisso, agonizzante) seguita dalla morte e dalla sepoltura; e sabato, dopo tutto un giorno di silenziosa attesa, al calare della notte si celebra la veglia in attesa della Risurrezione.

La parte preponderante del lungo passo evangelico di oggi è data dal racconto della Passione, quest'anno nella versione secondo Luca. Nel racconto ogni evangelista presenta particolari propri, scegliendo da una tradizione molto articolata quegli aspetti che meglio rispondono ai propri intendimenti. Luca, ad esempio, è il solo a riferire che prima dell'arresto nell'orto degli ulivi Gesù, consapevole di quanto stava per accadere, visse un'agonia tanto angosciante da fargli sudare sangue. La circostanza rende poi di grande rilievo le (comprensibilmente poche) parole pronunciate da Gesù in croce, tre delle quali sono riportate proprio da Luca: brevi frasi, sulle quali non si riflette mai abbastanza.

La prima frase è riferita a quanti lo stavano inchiodando al legno: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Quale sublimità! Coerente sino all'ultimo con quanto aveva insegnato, Gesù offre qui il massimo esempio dell'amore. Viene da chiedersi se quanti si ritengono suoi discepoli sanno fare altrettanto; se, pur ben lontani dall'essere crocifissi, sanno sempre perdonare le offese ricevute.

La seconda frase è rivolta al cosiddetto buon ladrone: "Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi! L'altro invece lo rimproverava dicendo: Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male. E disse: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: In verità io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso". Parole dette a un brigante, che all'ultimo ha avuto fede in lui; ma parole rivolte anche a chiunque si senta gravato da colpe: e chi, tanti o pochi, non porta simili pesi? Nessuno da solo se ne può liberare la coscienza; ma tutti lo possono fare, rivolgendosi a lui.

La terza frase di Gesù in croce è costituita dalle ultimissime parole, pronunciate prima di spirare: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Nell'apice della desolazione egli non ha perso la fiducia, guarda oltre il momento presente, sa di poter contare sull'infinto amore del Padre. Quel Padre, come egli ha insegnato, che è suo e anche nostro: c'è da chiedersi se noi, che non saremo mai tanto desolati quanto lo è stato lui in croce, abbiamo fiducia, sappiamo guardare oltre, viviamo nella consapevolezza che il Padre suo è anche il Padre nostro.

Padre, perdona loro... Sarai con me nel paradiso... Padre, mi consegno nelle tue mani... Tre frasi, più che eloquenti. Il Figlio di Dio ha condiviso la nostra umanità; ha insegnato come darle senso e valore, e lui per primo, quegli insegnamenti, li ha messi in pratica.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

La Via ardua dei risorti

Il trionfo, le festose acclamazioni, gli osanna, l'esaltante entrata messianica di Gesù a Gerusalemme, la benedizione delle palme e subito dopo, con il racconto della passione, l'inizio della settimana santa, l'ultimo tratto che ci conduce alla Pasqua: tutto questo celebriamo in questa domenica. Il significato della palma è quello della vittoria, dell'ascesa, della rinascita e dell'immortalità. Dopo aver anche noi, con le palme in mano, cantato ed osannato al Re dei re, all'eccelso Signore nostro, giunti all'altare del Sacrificio, ci sopraggiunge un momento di amarra delusione ed un pungente rimprovero: perché qual corteo si è così rapidamente dileguato, perché gli osannanti sono di nuovo tornati tra i dispersi, perché a quegli osanna fa seguito il coro assordante dei ?crucifiggi?, perché il nostro Re e Signore che ha predicato e dato amore, deve morire come un malfattore, vittima dell'odio e della ferocia umana? "Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello!?. L'Onnipotente Signore, fonte inesauribile di vita, vuole darci contemporaneamente la misura della sua infinita misericordia e indurci a comprendere tutto il peso del nostro peccato. Scopriamo così che la passione del Figlio di Dio, nei suoi tratti essenziali, contiene e racchiude in sé tutta la storia del mondo, la storia di tutti e di ognuno di noi; una storia che è intessuta di amore e di odio, di peccato e di ribellioni, di bene e di male, di giustizia, d'innocenza e di condanne e di assurde violenze. Soltanto alla fine della passione possiamo intravedere dalla croce spoglia l'approdo a cui Dio ci vuole condurci. Allora ci è dato di comprendere a pieno il significato di quella solenne dichiarazione di Gesù: ?Io sono la Via?. Seguendolo nel momentaneo trionfo, seguendolo poi coraggiosamente per la via della passione, scoprendo il dono di poter condividere con Lui la nostra personale e umana sofferenza, ci troviamo immessi nella Via, ci caliamo nel mistero di quella morte e sentiamo vivo in noi il pulsare intenso della croce e della vita. Le due passioni, la Sua e la nostra, si sono fuse in un indissolubile connubio. Sì, tutto si volge verso una universale cosmica risurrezione, che è però potentemente personale: è questa la Verità che supera il dolore, la croce, la sofferenza, che dà significato e speranza dopo il percorso breve della vita. Dobbiamo attendere ancora qualche giorno e poi scopriremo esultanti, come, il cero pasquale, la Luce di Cristo, la luce ravvivata della nostra fede, squarcia le tenebre, rischiara il buio della chiesa, rasserena le coscienze e fa brillare le supreme certezze. Illumina di Cielo il nostro mondo!
Afferma la tua fede; "Io credo, risorgerò".

Omelia a cura dei Monaci Benedettini Silvestrini

 

A contatto con la croce, diventi sposa di Cristo

Immagino che un condannato a morte sia così angosciato da perdere già prima dell’esecuzione il contatto con la realtà; oppure può diventare talmente incontenibile da gridare disperatamente il terrore della morte e il bisogno di vita. Niente di tutto questo in Gesù, che in ogni momento della sua passione cerca una relazione con coloro che ancora non comprendono il senso di quel sacrificio; niente di tutto questo in Gesù, che non maledice la propria sorte né cerca un modo per scampare alla morte a qualsiasi prezzo. È costato tanto al Padre il dono del Figlio, ma la felicità di un genitore è vedere il figlio ubbidiente: nel dramma della Pasqua Dio vive la gioia di sapere che il suo Verbo dice tutte le parole e compie le opere che Egli desiderava a favore dell’uomo.

E il racconto della passione inizia proprio con il desiderio di Gesù di «mangiare questa Pasqua con voi». Il pane e il vino separati e offerti costituiscono il sacramento del corpo che muore versando sangue «per voi» e stabilisce così «la nuova alleanza». Cerca la comunione con i suoi il Maestro, con tenacia incrollabile, pur sapendo che nello stesso istante dell’offerta l’uomo lo tradisce. È questo uno degli aspetti paradossali della Pasqua: Gesù è con Giuda e Pietro, annuncia il loro tradimento, eppure li lascia fare, continua ad amarli fino alla fine, rimanendo saldo al suo posto, stando cioè «in mezzo a voi come colui che serve». L’amore serve, facendo a volte finta di non vedere, superando la tentazione di pensare che il sacrificio sia reso vano dall’ingratitudine e dall’indifferenza; l’amore è animato dall’unica consapevolezza che «tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento». Gesù non è solo, ma per percepire la presenza del Padre era necessario che, «entrato nella lotta» del monte degli Ulivi, non staccasse mai mente e cuore da Dio. Pasqua è dunque mistero di comunione con il cielo e la terra, già pronta ad accogliere le «gocce di sudore che cadono» da quel corpo che si prepara a morire; corpo sofferente che però guarisce altri corpi, ricucendo l’orecchio del servo del sommo sacerdote tagliato da un discepolo. A Pasqua, nel nome di Gesù, la Chiesa è chiamata a ricucire ogni strappo: ad offrire un rinnovato perdono a tutti coloro che per rabbia o disperazione hanno ceduto alla violenza; a chiedere perdono a quei figli che ha allontanato per la sua stessa infedeltà al vangelo. Le lacrime amare di Pietro che prende coscienza del rinnegamento devono essere le lacrime della Chiesa che lavano le colpe proprie e di tutta l’umanità e che inondano il mondo di un fiume di grazia da cui rinasce la vita. Come un frutto che dà il succo più dolce quando viene spremuto, Gesù è ora in balia dei soldati che «lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi». Anche il potere religioso e politico lo colpiscono con le armi dell’invidia e della menzogna, della codardia e della brutalità, ma pure in questo caso Cristo darà il miglior frutto di pazienza, verità e amore a Dio e agli uomini. Da qui in avanti quel corpo martoriato incontrerà altri corpi e, come uno Sposo, li toccherà e si lascerà toccare da essi. L’amore infatti si concretizza nell’unione dei corpi e Gesù sul talamo della croce sposa tutti coloro che vengono a contatto con essa: Simone di Cirene, le donne di Gerusalemme, il malfattore accanto a Lui. Tre cifre di umanità rappresentative di ciascuno di noi: siamo Cirenei perché sappiamo ancora commuoverci per chi soffre, e in quei momenti diventiamo la sposa di Cristo; siamo popolo che piange, ma che ha bisogno di dare senso al dolore per evitare che ci schiacci, e in quel momento diventiamo la sposa di Cristo; siamo malfattori che pagano per i loro errori ma nutriamo la speranza di rinascere, e in quei momenti diventiamo la sposa di Cristo! Gesù sul Calvario è sottoposto alla più grande tentazione che possa capitare, quella di salvare se stessi in un modo diverso dal piano salvifico di Dio. Anzitutto è diabolico pensare di essere gli artefici della propria salvezza, la quale, essendo vita in pienezza, come la vita naturale è un dono che si può solamente ricevere. Ancora, è diabolico pensare di trovare salvezza in un modo diverso dalla capacità di donarsi per amore. Se la salvezza è un dono, essa si realizza unicamente nel dono fino all’ultimo respiro: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».

E se anche tu fossi quel condannato a morte? Se ti dicessero che stai per morire, che faresti? Ama! Gesù rende la passione luogo di comunione: chi ama soffrendo diventa sposa degna dello Sposo divino.

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA DOMENICA DELLE PALME (ANNO C) 14 APRILE 2019 

tratto da www.lachiesa.it