31 marzo 2019 - IV Domenica di Quaresima "Laetare": a Dio basta il primo passo, non importa perché torni

News del 30/03/2019 Torna all'elenco delle news

La parabola più bella, in quattro sequenze narrative.

Prima scena. Un padre aveva due figli. Nella bibbia, questo incipit causa subito tensione: le storie di fratelli non sono mai facili, spesso raccontano drammi di violenza e menzogne, riportano alla mente Caino e Abele, Ismaele e Isacco, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli, e il dolore dei genitori.

Un giorno il figlio minore se ne va, in cerca di se stesso, con la sua parte di eredità, di ?vita?. E il padre non si oppone, lo lascia andare anche se teme che si farà male: lui ama la libertà dei figli, la provoca, la festeggia, la patisce. Un uomo giusto.

Secondo quadro. Quello che il giovane inizia è il viaggio della libertà, ma le sue scelte si rivelano come scelte senza salvezza («sperperò le sue sostanze vivendo in modo dissoluto»). Una illusione di felicità da cui si risveglierà in mezzo ai porci, ladro di ghiande per sopravvivere: il principe ribelle è diventato servo.

Allora rientra in sé, lo fanno ragionare la fame, la dignità umana perduta, il ricordo del padre: «quanti salariati in casa di mio padre, quanto pane!». Con occhi da adulto, ora conosce il padre innanzitutto come un signore che ha rispetto della propria servitù (R. Virgili). E decide di ritornare, non come figlio, da come uno dei servi: non cerca un padre, cerca un buon padrone; non torna per senso di colpa, ma per fame; non torna per amore, ma perché muore. Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in cammino, a lui basta il primo passo

Terza sequenza. Ora l'azione diventa incalzante. Il padre, che è attesa eternamente aperta, «lo vede che era ancora lontano», e mentre il figlio cammina, lui corre. E mentre il ragazzo prova una scusa, il padre non rinfaccia ma abbraccia: ha fretta di capovolgere la lontananza in carezze. Per lui perdere un figlio è una perdita infinita. Non ha figli da buttare, Dio. E lo mostra con gesti che sono materni e paterni insieme, e infine regali: «presto, il vestito più bello, l'anello, i sandali, il banchetto della gioia e della festa».

Ultima scena. Lo sguardo ora lascia la casa in festa e si posa su di un terzo personaggio che si avvicina, di ritorno dal lavoro. L'uomo sente la musica, ma non sorride: lui non ha la festa nel cuore (R. Virgili). Buon lavoratore, ubbidiente e infelice. Alle prese con l'infelicità che deriva da un cuore che non ama le cose che fa, e non fa le cose che ama: io ti ho sempre ubbidito e a me neanche un capretto... il cuore assente, il cuore altrove.

E il padre, che cerca figli e non servi, fratelli e non rivali, lo prega con dolcezza di entrare: è in tavola la vita.

Il finale è aperto: capirà?

Aperto sull'offerta mai revocata di Dio.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Con l'umiltà del cuore chiediamo perdono e ricominciamo

Con la quarta domenica di Quaresima, detta della letizia entriamo nel vivo del cammino di conversione verso l'annuale Pasqua di morte e risurrezione di Cristo, ma anche della nostra risurrezione spirituale in Cristo, mediante la gioia di ritornare al Lui con tutto il cuore, pentiti, come il figliol prodigo del Vangelo di questa domenica. Si tratta di un cammino spirituale ed interiore al quale nessuno di noi può sottrarsi. Ci obbliga il nostro essere battezzati e il nostro essere consacrati alla passione, morte e risurrezione di Cristo.

Questo cammino, spero, che ognuno di voi l'abbia intrapreso da tempo. Siccome i avvicina la Pasqua 2019, se questo cammino di ritorno non è neppure iniziato, sia questo il momento favorevole per farlo, in quanto Dio ci attende a braccia aperte, fin quando non ritorniamo a Lui, come ci ricorda sant'Agostino, in una delle sue più celebri aforismi: O Signore, il mio cuore è inquieto, finché non riposa in Te?. Facciamo riposare questo nostro travagliato, agitato ed afflitto cuore nella bontà e nella tenerezza di Dio, che si fa misericordia e si fa dono per tutti noi, peccatori sinceramente pentiti e riconoscenti a Dio. Prendiamo ad esempio il pentimento del figlio prodigo che ritorna al Padre e chiede di essere nuovamente accolto nel suo cuore e nella sua casa, cioè nella sua misericordia e nella sua chiesa.

Il figliol prodigo che va via dalla casa del Padre è il peccatore che esce dalla comunione con Dio e rompe ogni legame con il Signore, in attesa del ripensamento e del ritorno.

Dio non si stanca di aspettare, fino all'ultimo istante questo ritorno al piena comunione con lui nella grazia nell'amicizia.

E lui ci attende non solo sull'uscio della chiesa, per dargli il perdono qui su questa terra, mediante il sacramento della confessione; ma lo attende sull'ingresso del paradiso, per donargli la felicità senza fine. E' tempo di ritorno e non possiamo più attendere per convertirci tutti a Dio,

Sta a noi entrare in questo cammino di ritorno a Dio da celebrare continuamente con una forte comunione di grazia e in grazia con Lui.

Il modo per farlo è mettersi nella condizione di quel che realmente siamo: peccatori e perciò bisognosi di perdono e di misericordia di Dio.

Non illudiamo noi stessi e gli altri: siamo tutti peccatori e perciò stesso abbiamo bisogno del suo perdono.

Quel Padre attende con pazienza, ma spera sempre che il ritorno inizi davvero e lo fa scrutando l'orizzonte della storia e del mondo, scrutando l'orizzonte del nostro cuore, spesso privo di quel rosso di sera, che fa ben sperare per l'alba e l'inizio di un nuovo giorno pieno di sole e di grazia del Signore.

Facciamo nostre le parole del figlio pentito: "Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". Si alzò e tornò da suo padre".

Ci vogliamo rialzare dalla nostra debolezza interiore, frutto di una mancato assorbimento dei nutrienti essenziali alla vita dello spirito, che sono la preghiera, la penitenza e la carità sincera.

Non bisogna crogiolarsi nei peccati; anzi bisogna riemergere da essi prima che sia troppo tardi, prima che si abbia toccato il fondo del disastro morale più grave.

Non dobbiamo attendere i tempi del figliol prodigo per rinsavire dalle nostre condotte non buone e immorali, oltre che malvagie. Sia ricorrente questa preghiera del cuore, che ci sprona alla conversione: ?O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina?.

E non diciamo mai, e poi mai: io sono senza peccato. Che peccato faccio o posso fare? Non dimentichiamo che nessuno di noi è senza peccato e come tali non possiamo giudicare gli altri o scagliare la pietra della condanna che uccide anche i sinceramente pentiti.

Nel cammino verso la Pasqua, ci incoraggi quanto scrive Giosuè nel suo Libro, in merito al popolo eletto: «Oggi ho allontanato da voi l'infamia dell'Egitto». La celebrazione della Pasqua a Gàlgala al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico fu motivo per andare avanti nel cammino dell'esodo. Infatti, il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan?. Dio premia sempre la buona volontà di ogni uomo della terra. D'altra parte nel brano della seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, ci vengono ricordati alcuni concetti teologici di base: se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Siamo, dunque, ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Noi siamo i portavoce di Dio, i trombettieri dell'Altissimo, i maestri di musica divina che fanno cantare perfettamente i coristi di quanti credono in Dio. Facciamo sì che questa gioia di vivere e testimoniare il vangelo arrivi attraverso di noi ai nostri fratelli vicini e lontani.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

L'amore ti lascia libero

Un genitore può essere soddisfatto o deluso di un figlio. Nel primo caso gli attribuirà il riconoscimento che si merita; nel secondo troverà un modo equilibrato per stimolarlo a far meglio tenendolo al riparo da ogni forma di scoraggiamento paralizzante. Nell’immaginario collettivo un padre non cambia mai, è sempre fedele all’amore per i figli, anche a rischio di non essere ripagato nell’anzianità di tutto il bene profuso nell’arco della vita; i figli invece rappresentano un’incognita e possono riservare sempre sorprese. Il padre della parabola si trova dinanzi a due prese di posizione tanto sconcertanti quanto inattese.

Presumiamo che egli abbia educato i figli col medesimo metro, stabilendo un dialogo schietto e trasfondendo loro i valori della condivisione, libertà e responsabilità. Colpisce anche il fatto che egli parli col cuore in mano, facendo trapelare la pienezza dei suoi sentimenti di gioia e tenerezza. In questo senso, risulta chiaro che questo padre è anche una madre, peraltro mai menzionata nel racconto; egli rappresenta la pienezza dell’essere genitore, come accade in quelle famiglie in cui, in assenza di uno dei due, l’altro coniuge funge da padre e madre insieme. A fronte di tanta sincerità e magnanimità, appare inspiegabile la presa di distanza dei figli dalla casa e dalla mentalità paterna, ma possiamo iscrivere tale scelta nel mistero della libertà umana e del desiderio di autonomia tipico dei giovani, che a un certo punto vogliono camminare con le proprie gambe e farcela da soli, percependo come indebita ingerenza e attentato alla propria indipendenza un consiglio non richiesto o addirittura la semplice presenza del genitore. Ciò risulta evidente per il figlio minore, la cui richiesta di eredità spinge fino all’estremo il bisogno di autonomia, poiché presuppone che il padre sia come morto. «Pochi giorni dopo…raccolte tutte le sue cose», la partenza. Come avrà vissuto questo figlio i giorni tra la decisione presa e la sua attuazione? Ripensamenti e incertezze sul da farsi o capillare programmazione della nuova vita? Il dirigersi verso «un paese lontano» fa trapelare l’assenza di qualsiasi travaglio interiore; eppure se in quel frangente avesse dialogato col padre piuttosto che ascoltare solo la propria ‘pancia’, sarebbe potuto crescere senza farsi male. Se sorprende il cambio di atteggiamento del ragazzo, espresso solo adesso ma probabilmente covato da tempo, ancor più strabiliante è l’inerzia del padre. Perché non ha fatto nulla per fermarlo? Eppure, considerata la sua esperienza di vita e la conoscenza del figlio, aveva sicuramente previsto che questi si sarebbe perso. C’è una libertà umana insondabile, ma esiste anche una libertà divina altrettanto oscura per noi. Non che un genitore approvi la rovina dei figli, ma questo genitore celeste rispetta la libertà umana malata fino al punto da considerare Dio l’origine dei propri mali e rinnegarlo. Che tristezza vedere oggi tanta gente che tratta Dio da avversario della propria libertà: la parabola mostra proprio il contrario! Eppure immaginiamo che il Padre dissemini il sentiero del figlio, e persino il burrone nel quale precipita, di nostalgie, richiami, appelli alla conversione. È la mancanza di pane che induce il giovane e ‘convertirsi’; non è la sua una conversione morale o l’assunzione responsabile del ruolo di figlio, ma il bisogno più stringente, quello di mangiare, che lo fa rialzare e mettere in cammino. Il Padre accetta un cambiamento del tutto acerbo e interessato: a Dio non importa se hai le carte in regola, ma che ti lasci guardare e amare da Lui. Probabilmente, tra la vergogna e la paura, il figlio non guardò il padre negli occhi, mentre questi lo vide da lontano e con la sua corsa colmò la distanza che il figlio aveva creato e che non avrebbe più potuto colmare. Qui capiamo l’eccedenza della misericordia: certe fratture che noi creiamo sono per sé insanabili e solo per volere divino esse si ricompongono; il segno di tale guarigione è la dimensione della festa. È proprio in questa festa, organizzata personalmente dal padre, che il figlio maggiore non sa e non vuole entrare. Egli era rimasto col genitore, ma il suo cuore era lontano da lui. Distanti dal Padre, siamo preda dei peggiori sentimenti che distruggono la fraternità, come l’invidia. Per chi ne è vittima, l’antidoto che Dio propone è sempre la gioia, perché Egli sa che i figli ribelli sono in realtà figli richiedenti amore. Il finale è aperto, come fino all’ultimo sarà aperta la nostra vita ad accogliere il suo amore che perdona.

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA IV DOMENICA DI QUARESIMA "LAETARE" (ANNO C)

tratto da www.lachiesa.it