17 febbraio 2019 - VI Domenica del T.O.: rallegratevi ed esultate

News del 16/02/2019 Torna all'elenco delle news

Papa Francesco ha preso spunto proprio dalle beatitudini per dare un titolo alla sua Esortazione sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, sostenendo che il Signore ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un'esistenza mediocre, annacquata, inconsistente.

Troppo spesso abbiamo dato alla santità connotati scontati, immagini prevedibili, contorni definiti; siamo propensi a buttare l'occhio sull'eroismo del martirio, la sofferenza della malattia, l'elevazione della preghiera... quando non accompagniamo l'idea di santità a visioni mistiche o fatti che superano la naturalità delle cose. Molto meno presente, nell'idea comune della santità, l'immagine della festa, della gioia, della allegria.

Papa Francesco, invece, ci aiuta a riflettere sul cammino della santità che è alla portata di tutti: I santi della porta accanto.

Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità ?della porta accanto?, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un'altra espressione, ?la classe media della santità? (EeG n.7).

Beati voi - La chiamata alla santità è espressa, in questa pagina del vangelo, con le ?Beatitudini?. Mentre in Matteo il ?discorso della montagna? occupa una parte centrale del suo vangelo, Luca ne fa una occasione di passaggio tra il discorso programmatico nella sinagoga di Nazareth e la lenta salita al calvario. In Luca le parole si fanno dirette, coinvolgenti, non sono generiche affermazioni, in linea di principio ma dirette a ciascuno di noi che oggi ascoltiamo questa parola. Il ?voi? al plurale ci libera da una idea individualistica di santità che è lontanissima dal pensiero di Dio; infatti Dio ha costituito un popolo che fosse custode della Alleanza e si incamminasse sulla via della santità. Non possiamo scoprire l'identità cristiana senza l'appartenenza a un popolo.

Luca non parla di una povertà ?di spirito? ma di essere «poveri» e basta (cfr Lc 6,20), e così ci invita anche a un'esistenza austera e spoglia. In questo modo, ci chiama a condividere la vita dei più bisognosi, la vita che hanno condotto gli Apostoli e in definitiva a conformarci a Gesù, che «da ricco che era, si è fatto povero» (2 Cor 8,9). Essere poveri nel cuore, questo è santità (EeG n.70).

Gesù non loda la situazione di indigenza conseguenza dell'egoismo di altri contro cui bisogna agire, non condanna le gioie di cui possiamo godere nella nostra vita, neppure dirci che la beatitudine sarà qualcosa di cui godremo solo in cielo o qualcosa di solamente spirituale. La beatitudine sfugge alle logiche umane; se si ritiene di essere felici quando si ha tutto ciò che si desidera, al contrario la gioia risiede nel donare tutto. Gesù si mette dalla parte di coloro che lasciarono tutto e lo seguirono (Lc 5,11).

Beati voi, quando gli uomini vi odieranno - Il cristianesimo non si vive quando tutt'intorno ci sono le condizioni favorevoli, la fede non va nella stessa direzione delle cose umane.

In una società alienata, intrappolata in una trama politica, mediatica, economica, culturale e persino religiosa che ostacola l'autentico sviluppo umano e sociale, vivere le Beatitudini diventa difficile e può essere addirittura una cosa malvista, sospetta, ridicolizzata (EeG n.91).

Siamo testimoni, ancora oggi, delle persecuzioni contro i cristiani: ci sono fatti di sangue che in tante parti del mondo si manifestano contro i cristiani, siano essi cattolici, o evangelici o copti... Coloro che perseguitano Cristo nei suoi fedeli non fanno differenze di confessioni: li perseguitano semplicemente perché sono cristiani (papa Francesco 20.11.14). Non è un problema che deriva dall'Islam né alcun'altra religione: cercano di giustificare con la religione i loro atti criminali, ma in realtà è l'infelicità personale a dare le mosse a tale nefandezza.

C'è anche un modo più sottile quando metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame. Passare da persone ridicole, fuori del tempo e della storia è esperienza comune nella nostra società, che magari si è appropriata dei simboli cristiani riducendone la portata. Invettive e parole d'odio sono diventate virali, in una irrazionale crescita del populismo pur sbandierando simboli di amore.

Contro l'individualismo di questa epoca postmoderna che tende a isolarci dagli altri dobbiamo essere gelosi custodi dei piccoli gesti di amore, delle parole capaci di costruire legami, occorre imparare a conoscersi meglio per poter così prendersi cura gli uni degli altri.

Omelia di don Luciano Cantini

 

E' la relazione con Cristo che rende beati

Gesù, sceso in un luogo pianeggiante, alza gli occhi verso i discepoli. In questo duplice movimento cogliamo la divina pedagogia del Maestro, che sceglie di abbassarsi per rendere accessibile a noi la suprema legge dell’amore e nel contempo indica nel nostro elevare lo sguardo al Padre la possibilità di vivere le beatitudini.

Esse restano tuttavia una pagina difficile: perché dovrei sentirmi beato se sono povero, se ho fame, se sto piangendo, se tutti mi odiano e mi insultano? È proprio il contrario di quello che voglio! E, come me, penso che tutti desiderano una vita bella, serena e non complicata. Non ci piace non avere certezze; il solo pensiero di vivere una qualche povertà ci fa sentire persi, perennemente in ansia per il futuro. Non ci piace neanche avvertire i morsi della fame; molto meglio poter saziare subito ogni nostro bisogno. E figuriamoci se vogliamo essere perseguitati... Questo non ci deve mai accadere, non riusciremmo a vivere felici se non ricevessimo le attenzioni e le dimostrazioni di affetto da parte degli altri. Eppure Gesù chiama beati proprio coloro che vivono tali situazioni. Egli, d’altra parte, sembra rivolgere delle invettive contro coloro che gongolano nel benessere, anche se, nell’ottica di misericordia che fa da sfondo a tutta la sua predicazione, possiamo certamente definire i “guai” come dei rimedi che Dio usa contro il male, dei rimproveri che mi permettono di capire dove mi sto incaponendo. Cristo non sta demonizzando la ricchezza, la gioia, il successo, ma sta dicendo che non sono quelle le cose che contano, in quanto oggi ci sono e domani forse no. Mi dice che è sbagliato passare la vita ad accumulare ricchezze e a soddisfare ogni piacere, pensando che basti questo a consolarmi. È sbagliato voler evitare a tutti i costi il dolore, il sacrificio e affannarsi per fare in modo che nessuno possa criticarci, finendo per non agire o per indossare mille maschere pur di accattivarci il consenso della gente. Non è questa la vita! C’è una felicità, di cui Gesù ci parla, che non dipende da ciò che possediamo o da ciò che gli altri pensano di noi, una felicità che resiste persino alle incertezze, alla precarietà di questo mondo, alle lacrime di dolore, una felicità che nessuno potrà mai rubarci perché si fonda sulla relazione vitale con Cristo. È in Lui e con Lui che siamo beati! Infatti Egli dice: «Beati voi… a causa del Figlio dell’uomo». Voi chi? Sta parlando ai discepoli, a coloro che hanno scelto di seguirlo, che hanno lasciato tutto per dare ascolto alle sue parole. Allora mi rendo conto che le beatitudini acquistano senso dalla relazione su cui si fondano. Solo Gesù dà senso a tutto! Lui che è così profondamente reale da farci vivere con i piedi per terra e lo sguardo rivolto al cielo, da non eliminare magicamente la sofferenza e le difficoltà di questa vita, ma da dirci che siamo beati perché esse appartengono solo a questa vita e, addirittura, che già da questa vita possiamo entrare nella realtà del suo regno, se ci facciamo poveri, abbandonandoci alla sua volontà. Dunque il punto non è tanto come faccio a ridere nel pianto, a sentirmi beato se non calcolato dagli altri, ma come faccio a non perdere la relazione con Cristo.

«Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i (falsi) profeti». Alla fine delle quattro beatitudini e dei quattro guai, Gesù indica la persecuzione e l’adulazione come criterio di riconoscimento rispettivamente del vero e falso profeta nella storia di Israele. È come se esistesse una costante nella storia, da cui dovremmo trarre la capacità di discernere nell’oggi il valore dei comportamenti altrui nei nostri confronti. Si tratta di due atteggiamenti opposti, certamente radicali, che tuttavia – sembra dire il Maestro – non devono condizionare la valutazione della qualità della nostra stessa vita. Ancora una volta, essa viene fatta dipendere dall’accoglienza riservata a Cristo. Eppure la memoria di questa solenne dichiarazione di Gesù non sempre viene custodita dal credente odierno, che è spesso smarrito perché incapace di innestarsi in una profezia che lo conduca a interpretare il suo presente alla luce della Parola di Dio. Essere pertanto analfabeti del presente rende impossibile scrivere il futuro in una chiave altrettanto profetica, a meno che non si torni a vivere in totale affidamento alla Parola, secondo la consegna che Paolo ci ha lasciato: «Vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati» (At 20,32).

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA VI DOMENICA DEL T.O. (ANNO C) 17 febbraio 2019

tratto da www.lachiesa.it