27 gennaio 2019 - III Domenica del T.O.: Gesù, l'opera scritta e compiuta di Dio

News del 26/01/2019 Torna all'elenco delle news

Il vangelo di Luca ha un solo dichiarato obiettivo: perché tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto (Lc 1,4). Ecco, mi sembra già molto significativa questa semplice annotazione: tornare sempre ad ascoltare il vangelo è fondamentale, perché giorno dopo giorno ci si renda conto che Luca e fratelli evangelisti, con tutti coloro che hanno collaborato a trasmetterci la fede, non ci hanno raccontato frottole. Con tutte le frottole spacciate per verità che oggi si trovano un po' dappertutto, meglio costruire la nostra vita sulle cose solide della fede.

Secondo Luca evangelista, Gesù, all'inizio della sua pubblica manifestazione, si presenta al Giordano in fila con i peccatori per farsi battezzare. Non è che questa cosa dovette subito consolidare la fede di Giovanni Battista, anzi. Poco prima (Lc 3,15-16) Giovanni chiariva che lui non era il messia e che attendeva (come tutti) qualcuno di cui non era nemmeno degno di slegare i lacci dei sandali. Il che, più o meno, equivaleva a dire che non si sentiva nemmeno degno di inginocchiarsi davanti a lui. Però qualche istante dopo troviamo Giovanni "costretto" a battezzare Gesù, il messia che s'inginocchia davanti a lui! Il primo modo per rendere solida la nostra fede è lasciare che l'Autore della stessa scombini un po' le nostre certezze. Come ci sta insegnando Francesco Pontifex. Scrutando nel ministero della sua parola, troviamo come tema ricorrente l'invito a lasciarsi sorprendere da Dio: lo chiama proprio così, "il Dio delle sorprese", perché la sua azione è imprevedibile.

Il vangelo di oggi ci narra di Gesù che rientra nella sua Nazareth, il luogo dove visse per circa 30 anni vivendo una vita così comune, così umana, così poco sotto i riflettori, così semplice che....che era proprio difficile credere che fosse il figlio di Dio e non di Giuseppe! (Lc 3,23) Chi l'avrebbe mai previsto? Lo vedremo meglio domenica prossima, nella seconda parte di questo vangelo, dove gran parte dell'uditorio passerà dalla meraviglia all'incredulità in un brevissimo lasso di tempo. Gesù era solito andare in sinagoga e leggere le Scritture; quel giorno gli toccò il rotolo di Isaia, quel passo dove il messia atteso esprime la sua coscienza di essere inviato, nello Spirito di Dio, ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi e agli oppressi, per proclamare l'anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19). Poi Luca, con poche e magistrali righe ci conduce, come dentro lo zoom di una macchina fotografica, a concentrarci su Gesù che compie i gesti naturali e lenti del riavvolgere e riconsegnare il rotolo per poi sedersi. Sembra quasi che la narrazione rallenti di proposito per creare un clima di grande attesa nel lettore. E' come se Luca ci volesse dire: adesso apri bene l'orecchio a quello che sta per comunicare, sono le prime parole pubbliche di Gesù. La sua omelia fu solamente dire: oggi si è compiuta questa Scrittura che avete ascoltato (Lc 4,21). I nazaretani non si aspettavano quella affermazione così categorica. Il Signore non fece l'esegesi del testo, né fece applicazioni morali su di esso, ma con quelle poche parole attirò l'attenzione di tutti su di sé. In Lui, la parola predicata e il predicatore diventano una sola cosa. Gesù è il messia atteso, l'opera annunciata e scritta da Dio che si è finalmente compiuta. Come dicevano gli antichi padri, tutte le Scritture ci parlano di Cristo e tutto è stato scritto in vista di Lui. Il rotolo del libro profetico di Isaia ora è chiuso. Da allora, chi vuole capire il senso profondo di tutto quanto è stato scritto nella Bibbia, deve guardare a Lui.

L'evangelista sottolinea che Gesù cominciò a dire "oggi...". Cioè, quell'oggi è iniziato con Gesù ma si protrae fino a i nostri giorni: è l'oggi di Dio che compie ancora la sua Parola in chi l'ascolta e la pratica. E' l'anno di misericordia del Signore che, una volta cominciato, non finisce più! Lo Spirito di Dio anche oggi, invita la sua Chiesa a vivere l'anno di grazia, il Giubileo, nella rinnovata missione di dirigersi dove si è diretto per primo Cristo suo capo: verso i poveri e gli emarginati, verso gli oppressi da ogni sorta di male. La Chiesa non è al mondo per condannare, ma per permettere l'incontro con quell'amore viscerale che è la misericordia di Dio. Perché ciò accada, è necessario uscire. Uscire dalle chiese e dalle parrocchie, uscire e andare a cercare le persone la dove vivono, dove soffrono, dove sperano... (Papa Francesco, Il nome di Dio è Misericordia). Per vivere l'anno giubilare con questo spirito, per poter essere veramente un segno tangibile della misericordia divina, c'è una prima cosa fondamentale da non trascurare: gli occhi della chiesa devono stare fissi su Gesù per ascoltarlo e imparare da Lui.

Omelia di don Giacomo Falco Brini

 

A Nazaret il sogno di un mondo nuovo

Tutti gli occhi erano fissi su di lui. Sembrano più attenti alla persona che legge che non alla parola proclamata. Sono curiosi, lo conoscono bene quel giovane, appena ritornato a casa, nel villaggio dov'era cresciuto nutrito, come pane buono, dalle parole di Isaia che ora proclama: «Parole così antiche e così amate, così pregate e così agognate, così vicine e così lontane. Annuncio di un anno di grazia, di cui Gesù soffia le note negli inferi dell'umanità» (R. Virgili).

Gesù davanti a quella piccolissima comunità presenta il suo sogno di un mondo nuovo. E sono solo parole di speranza per chi è stanco, o è vittima, o non ce la fa più: sono venuto a incoraggiare, a portare buone notizie, a liberare, a ridare vista. Testo fondamentale e bellissimo, che non racconta più ?come? Gesù è nato, ma ?perché? è nato. Che ridà forza per lottare, apre il cielo alle vie della speranza. Poveri, ciechi, oppressi, prigionieri: questi sono i nomi dell'uomo. Adamo è diventato così, per questo Dio diventa Adamo. E lo scopo che persegue non è quello di essere finalmente adorato e obbedito da questi figli distratti, meschini e splendidi che noi siamo. Dio non pone come fine della storia se stesso o i propri diritti, ma uomini e donne dal cuore libero e forte. E guariti, e con occhi nuovi che vedono lontano e nel profondo. E che la nostra storia non produca più poveri e prigionieri.

Gesù non si interroga se quel prigioniero sia buono o cattivo; a lui non importa se il cieco sia onesto o peccatore, se il lebbroso meriti o no la guarigione. C'è buio e dolore e tanto basta per far piaga nel cuore di Dio. Solo così la grazia è grazia e non calcolo o merito. Impensabili nel suo Regno frasi come: «È colpevole, deve marcire in galera».

Il programma di Nazaret ci mette di fronte a uno dei paradossi del Vangelo. Il catechismo che abbiamo mandato a memoria diceva: «Siamo stati creati per conoscere, amare, servire Dio in questa vita e poi goderlo nell'eternità». Ma nel suo primo annuncio Gesù dice altro: non è l'uomo che esiste per Dio ma è Dio che esiste per l'uomo. C'è una commozione da brividi nel poter pensare: Dio esiste per me, io sono lo scopo della sua esistenza. Il nostro è un Dio che ama per primo, ama in perdita, ama senza contare, di amore unilaterale.

La buona notizia di Gesù è un Dio sempre in favore dell'uomo e mai contro l'uomo, che lo mette al centro, che dimentica se stesso per me, e schiera la sua potenza di liberazione contro tutte le oppressioni esterne, contro tutte le chiusure interne, perché la storia diventi totalmente ?altra? da quello che è. E ogni uomo sia finalmente promosso a uomo e la vita fiorisca in tutte le sue forme.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Quando ascolti Gesù, comincia la tua liberazione

Quando leggi il vangelo, si compie la tua liberazione? Domande come queste lasciano senza parole, perché non sempre ci approcciamo al testo sacro con la consapevolezza che esso è Parola di Dio, ma lo riduciamo nei fatti a parola solo umana. Luca, invece, si accosta con fede alle attestazioni su Gesù trasmesse da «coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio»; conduce una ricerca appassionata e ordinata per non perdere neanche un ‘iota’ della nuova legge dell’amore istituita da Cristo; offre insegnamenti ‘solidi’ come l’asfalto, che permettano al credente di camminare trovando stabilità. Il destinatario è Teofilo, ossia colui che ama Dio, per indicare che solo chi ha aperto il cuore a Gesù può camminare in questa via nuova di liberazione.

È Lui infatti la vera novità che ha il profumo di casa, perché è l’ambiente a noi familiare quello in cui più facilmente ci raccogliamo per decidere della vita. È a Nazaret che Gesù aveva imparato da Maria e Giuseppe ad ascoltare la Parola e, divenuto a dodici anni ‘figlio del comandamento’, poteva intervenire in sinagoga dopo la proclamazione delle Scritture per spiegarne il senso. Quel Sabato, tornato nel luogo che lo aveva visto crescere nella fede e compiere riti sacri, la sequenza dei gesti è ancor più solenne; in particolare, l’apertura del rotolo allude al fatto che Cristo è l’unico interprete dell’Antico Testamento e di tutta la storia umana. Lo Spirito Santo, che Isaia presenta come dono di consacrazione inviato sul servo di Ywhw, adesso investe Gesù e inaugura la sua missione nella storia. Sono cinque le azioni che compirà il Servo/Figlio, cinque come i libri della Torah, per ribadire che in questa scena madre si inaugura la nuova legge voluta da Dio. Lo Spirito manda il Messia a portare la gioia del vangelo anzitutto ai poveri; essi, che non hanno niente da dare se non se stessi, ci insegnano che la vera felicità consiste nel concepire la propria vita come un dono. Chi è prigioniero aspira ad essere liberato, e anche questa è opera dello Spirito di Cristo. Quante false liberazioni l’uomo sogna! Tra queste spicca l’affrancamento dai presunti tabù imposti dalla Chiesa, considerata come un burocrate che applica ogni forma di censura a condotte morali il cui valore coinciderebbe con la loro libera espressione. Tuttavia il bene non è libertà astratta, ma libertà che si dona ed edifica l’altro; fuori da tale logica, si corre il rischio di rimanere schiavi di se stessi e del peccato. Per questo abbiamo bisogno di occhi per vedere sia il peccato che la grazia e solo lo Spirito può farci dono di uno sguardo profondo sulla nostra vita, permettendo così l’effettiva attuazione di una condizione di liberazione da ogni forma di oppressione. Il discorso di Gesù non è dunque soltanto un racconto edificante che accarezza il cuore, ma realizza ciò che dice, inaugurando un tempo giubilare, l’accesso alla terra promessa di Dio. Tale ulteriore novità è storicamente un evento periodico che permette il libero accesso dei figli alla terra del Padre, rifondando il principio della vera fratellanza tra gli uomini, grazie al cuore di questo Padre che si apre concedendo oltremisura vita e misericordia.

Gesù riavvolge il rotolo perché nessuno dovrà più aggiungere altro a ciò che Egli ha detto. Il suo intervento ha determinato l’ammirazione dei presenti, ma possiamo immaginare lo stupore ancor più marcato quando Egli dichiara il compimento ‘oggi’ di quella Parola. Essa si realizza nella vita di chi l’ascolta ed è capace così di riprodurre il volto di Cristo nei sentimenti e nelle scelte dell’esistenza. Senza tale ascolto la fede non sussiste: «un cristianesimo senza Parola è un cristianesimo inventato» (Luigi Epicoco); chi invece diventa specialista dell’ascolto ne trarrà un frutto istantaneo di pace. L’intero episodio presenta l’intonazione del gaudio per l’opera di Dio, che abbiamo visto essere tutta orientata alla liberazione dell’uomo da ogni condizionamento. Resta il drammatico interrogativo: perché l’uomo non sempre si lascia liberare? Eppure Gesù continua a parlare e ad offrire la sua liberazione continuamente. È importante che ci sentiamo quei poveri, prigionieri, ciechi, oppressi, ‘giubilanti’ menzionati da Isaia e sappiamo cogliere nel nostro oggi l’inizio di una salvezza che progredirà nel tempo, senza la fretta di voler disporre subito di tutti i doni di Dio. Quel giorno fu l’inizio di un annuncio di gioia e di un dono di grazia che sarebbe culminato sulla croce: se vuoi il tutto, sii presente sotto la croce, là dove tutto è donato.

Omelia di don Tonino Sgrò tratto da www.reggiobova.it

 

Da Esdra a Gesù un fiume di parole sante

La terza domenica del tempo ordinario, anno C, ci offre testi importanti della sacra scrittura per valorizzare la metodologia e i contenuti della parola di Dio. Proclamazione, ascolto ed attuazione della parola del Signore è quanto ci viene suggerito nei testi biblici di oggi...(...)Una salvezza che riguarda tutto il popolo santo di Dio, nella pluralità dei doni e carismi ricevuti dal Signore, mediante la discesa dello Spirito Santo su di noi, il Quale fa una la Chiesa, come è uno il corpo umano, pur avendo tante membra, tutte utili e importanti per l'armonia dell'insieme. E così è per il corpo mistico di Cristo, che è la chiesa. Tutti siamo parte integrante e completante di essa. Anche le membra che non si sentono degne di farne parte, in realtà compongono anche nella loro debolezza e fragilità, il volto della Chiesa di Cristo. Anzi, proprio con questa loro limitatezza rendono più vera e autentica la realtà chiesa, fatta di santi e di peccatori, di membra più nobili ed indispensabili e membra meno nobili, ma ugualmente importanti e utili al tutto.

Ecco perché, concludendo la sua riflessione, l'Apostolo Paolo nel brano della prima lettera ai Corinzi, dice: ?Ora voi siete il corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra: apostoli, profeti, maestri, operatori di miracoli, guaritori, assistenti, governanti, oratori, interpreti ed altre figure professionali, ministeriali o ecclesiali tutti concorrono all'armonia generale del corpo di Cristo che è la chiesa, in un servizio amorevole e disinteressato verso di essa e con il cuore colmo di gioia per quello che si può e si deve offrire per la crescita del regno di Dio tra gli esseri umani e credenti.

E noi concludendo le nostre considerazioni, vogliamo ribadire che nella pluralità dei doni ricevuti da Dio, tutti dobbiamo metterci al servizio della Chiesa e dell'umanità, facendoci portori sani di speranza e di gioia, soprattutto in quelle realtà e situazioni in cui c'è più bisogno di riscoprire la gioia, l'amore e la speranza in Dio e nell'umanità. Un'umanità che necessita ricordare e non dimenticare il male che ogni persona più fare ad un'altra. Ed oggi che è la giornata della memoria della Shoà, la parola di Dio ascoltata, sia per tutti, ebrei, cristiani, islamici e di altre religiosi occasione favorevole per favorire la pace e l'accoglienza reciproca, senza discriminazioni o assurde concezioni di superiorità di una razza rispetto all'altra o di una persona rispetto ad un'altra che hanno portato nel corso della storia a stermini, guerre e violenze di ogni genere, da rifiutare, contrastare e debellare sempre.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) 27 GENNAIO 2019

tratto da www.lachiesa.it