4 novembre 2018 - XXXI Domenica del T.O: l'unica misura dell'amore è amare senza misura

News del 03/11/2018 Torna all'elenco delle news

Qual è, nella Legge, il più grande comandamento? Lo sapevano tutti in Israele qual era: il terzo, quello che prescrive di santificare il Sabato, perché anche Dio lo aveva osservato (Genesi 2,2).

La risposta di Gesù, come al solito, spiazza e va oltre: non cita nessuna delle dieci parole, ma colloca al cuore del Vangelo la stessa cosa che sta nel cuore della vita: tu amerai. Un verbo al futuro, come per un viaggio mai finito... che è desiderio, attesa, profezia di felicità per ognuno.

Il percorso della fede inizia con un «sei amato» e si conclude con un «amerai». In mezzo germoglia la nostra risposta al corteggiamento di Dio.

Amerai Dio con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso. Gesù non aggiunge nulla di nuovo: la prima e la seconda parola sono già scritte nel Libro. La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, la prima. L'averle separate è l'origine dei nostri mali, dei fondamentalismi, di tutte le arroganze, del triste individualismo.

Ma amare che cosa? Amare l'Amore stesso. Se amo Dio, amo ciò che lui è: vita, compassione, perdono, bellezza; ogni briciola di pane buono, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante, un'intuizione illuminante, un angolo di armonia. Amerò ciò che Lui più ama: l'uomo, di cui è orgoglioso.

Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente. Lasciando risuonare e agire la forza di quell'aggettivo «tutto», ribadito quattro volte. Il tutto di cuore, mente, anima, forza. Noi pensiamo che la santità consista nella moderazione delle passioni. Ma dov'è mai questa moderazione nella Bibbia? L'unica misura dell'amore è amare senza misura.

Amerai con tutto, con tutto, con tutto... Fare così è già guarigione dell'uomo, ritrovare l'unità, la convergenza di tutte le facoltà, la nostra pienezza felice: «Ascolta, Israele. Questi sono i comandi del Signore... perché tu sia felice» (Deuteronomio 6,1-3). Non c'è altra risposta al desiderio profondo di felicità dell'uomo, nessun'altra risposta al male del mondo che questa soltanto: amerai Dio e il prossimo.

Per raccontare l'amore verso il prossimo Gesù regala la parabola del samaritano buono (Luca 10,29-37). Per indicare come amare Dio con tutto il cuore, non sceglie né una parabola, né una immagine, ma una donna, Maria di Betania «che seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola» (Luca 10, 38). Gesù ha trovato che il modo di ascoltare di Maria fosse la «scelta migliore», la più idonea a raccontare come si ami Dio: come un'amica che siede ai suoi piedi, sotto la cupola d'oro dell'amicizia, e lo ascolta, rapita, e non lascerà cadere neppure una delle sue parole. Amare Dio è ascoltarlo, come bambini, come innamorati.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Ecco la mappa che orienta la vita

Ancora oggi gli ebrei osservanti recitano ogni giorno una preghiera, che dalla sua prima parola in ebraico è denominata ?Shemà': "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte". E' un passo della Bibbia (Deuteronomio 6,4-9), richiamato dalla prima lettura della Messa odierna perché si collega col Vangelo (Marco 12,28-34) in cui si riferisce il dialogo di Gesù con uno scriba, cioè un esperto nelle questioni religiose.

Studiando la Scrittura, gli esperti di allora ne avevano tratto oltre seicento precetti, alcuni importanti (come quelli dei dieci comandamenti) ma altri decisamente meno (come quello di versare al Tempio la decima parte del valore delle foglie di menta raccolte nell'orto): oltre seicento precetti, persino impossibili da ricordare tutti. Per questo lo scriba, evidentemente preoccupato di osservare almeno la sostanza della Legge divina, chiede a Gesù qual è, tra tutti, il comandamento principale. Gesù gli risponde citando appunto lo ?Shemà': ama Dio! Ma subito aggiunge, non richiesto, un secondo comandamento, anch'esso compreso nella Sacra Scrittura (Levitico 19,18): "Il secondo è questo: ?Amerai il tuo prossimo come te stesso'. Non c'è altro comandamento più grande di questi".

L'accostamento tra l'amore di Dio e l'amore del prossimo costituisce la sintesi della morale cristiana, come è sviluppata in tutti e quattro i vangeli. L'uomo è invitato ad amare Dio, come risposta all'amore che Lui per primo ha riversato su di noi; amare Dio significa onorarlo rispettando la sua volontà, e in particolare amando coloro che egli ama, cioè il prossimo. Chi non ama il prossimo, in realtà non ama neppure Dio; e chi non ama Dio, non ha le motivazioni più forti, vitali e durature per amare il prossimo. In che cosa poi consista l'amore del prossimo, i vangeli lo spiegano ampiamente: basta pensare alle beatitudini, alla parabola del buon samaritano, al metro del giudizio finale. E tutti, in ogni caso, lo intuiscono: la misura minima è non fare del male a nessuno; la misura ottimale è dedicare le proprie risorse, di mente, di cuore, di tempo...e, se occorre e quando se ne hanno i mezzi, di portafoglio, al fine di procurare al prossimo tutto il bene possibile.

Per vivere la fede che diciamo di professare, il duplice precetto dell'amore, per Dio e per il prossimo, costituisce la traccia essenziale, la mappa che orienta tutta la vita. Lo suggerisce anche la prima parola della preghiera ebraica (che è compresa nella Bibbia e quindi vale anche per i cristiani): Shemà, cioè Ascolta! Questo verbo, anche in italiano, ha un significato ben diverso dal semplice sentire; non è l'udire distrattamente o casualmente un discorso, ma il prestarvi attenzione, perché lo si ritiene importante e meritevole di riflessione. Nella Bibbia poi ha un senso ancora più forte: è accoglienza amorosa della divina Parola, per custodirla, meditarla e tradurla nella pratica della vita. Ne è esempio Maria, la quale, dopo aver ascoltato l'impegnativo annuncio celeste sulla sua maternità, risponde: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola". Ne sono esempio tutti i santi, dei quali abbiamo appena celebrato la festa: essi sono santi proprio perché hanno ascoltato la Parola di Dio e ne hanno fatto la guida della propria vita.

Lo scriba del vangelo odierno riconosce giusta la risposta alla sua domanda; amare Dio e il prossimo: nulla vale di più. E allora Gesù lo rassicura: "Non sei lontano dal regno di Dio".

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Chi ha problemi col prossimo ha problemi anche con Dio

A volte il nemico del bene è il bene stesso, ossia un bene secondario che cattura tutte le attenzioni e gli sforzi e ci fa perdere di vista il sommo bene. Qual è la mia priorità nella vita? Bisogna avere il coraggio di farsi questa domanda per non correre il rischio di dedicare le energie a un progetto in sé buono, ma che non è il tuo, perché semplicemente la tua strada è un’altra. È il problema della vocazione, dello stare al posto giusto, perché è in quello stato di vita e non in un altro che riuscirai ad esprimere un amore più grande.

Lo scriba che si avvicina a Gesù per interrogarlo parte dalla priorità della legge ma viene condotto alla priorità dell’amore. La prima può tracciare il cammino della vita, ma solo il secondo ti dà la forza di percorrerlo e di generare altra vita.

Finalmente non si tratta di qualcuno mosso dall’intento di mettere alla prova il maestro per avere di che accusarlo, ma dall’ammirazione per la sapienza che Egli aveva dimostrato nella controversia precedente con i sadducei sulla risurrezione.

In questo interlocutore vi è il bisogno di capire «Qual è il primo di tutti i comandamenti?», poiché non era facile districarsi tra i 613 precetti vigenti, 365 negativi (come i giorni dell’anno, ossia la totalità del tempo) e 248 positivi (come le membra del corpo umano, vale e a dire tutta la vita posta sotto l’osservanza della legge). La risposta di Gesù pone l’ascolto come condizione dell’amore. «Ascolta, Israele!» è la preghiera quotidiana del pio Israelita, il quale sa bene che Dio si è rivelato nella Parola e senza un ascolto assiduo di essa non è possibile conoscere la sua volontà. Dall’ascolto alla conoscenza e quindi all’amore. Ma chi amare? È qui che emerge il tema della vocazione, perché posso amare anche la natura e dedicare tutta l’esistenza alla difesa degli animali, ma se l’oggetto del mio amore fosse solo questo non avrei realizzato il mio progetto di vita. Cristo è inequivocabile nella sua risposta: ama Dio e ama il prossimo; tracciato quest’orizzonte in cui cielo e terra si toccano, ogni uomo potrà con libertà e creatività rispondere all’unica chiamata all’amore. «Dio è l’unico Signore». Lo è davvero? Non intendiamo qui riferirci ai ben noti idoli del potere, del denaro, del sesso, ecc., ma a quel desiderio o comportamento nascosto, che ci si guarda bene dal condividere, perché in fondo al cuore sai che non risponde al criterio dell’amore per Dio e non edifica il prossimo nella carità. Finché permane questa sorta di idolo segreto, Dio non è ancora l’unico nella nostra vita.

Allora bisogna soltanto volere ed esercitarsi ad amarlo «con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza». Il Deuteronomio pone il verbo amare al futuro, «non all’imperativo, perché si tratta di una azione mai conclusa» (Ermes Ronchi), che impegna tutte le facoltà della persona: ‘cuore’, come principio di unità; ‘anima’, come identità sostanziale e storica; ‘forza’ come capacità di azione nella storia.

Il riferimento alla ‘mente’, non presente nel testo dello Shemà, ci richiama alla dimensione razionale dell’amore, che richiede lo studio delle verità per una sua più profonda assimilazione, la conoscenza dei problemi ecclesiali e delle sfide della cultura odierna per meglio dialogare col mondo e testimoniarvi la carità cristiana. «A volte diamo da mangiare al cervello e al cuore insulsaggini, banalità senza un minimo di ragionamento dietro. Quanta gente meravigliosa applica le proprie capacità a fare cose da quattro soldi! C’è gente eccezionale nel lavoro, ma analfabeta coi figli» (Fabio Rosini). Occorre dunque nutrirsi della sapienza dell’amore divino, da cui discende l’amore per il prossimo. Quest’ultimo, già presente nel Levitico, è il criterio di verità dell’amore per il Signore, come attestano le lettere di Paolo e Giovanni. Perché chi ha problemi col prossimo in fondo ha ‘problemi’ anche con Dio? Perché mostra di non aver colto lo spirito della missione di Gesù, che ha sempre difeso e promosso l’uomo in tutte le sue condizioni di vita; inoltre è ancora legato a un amore autoreferenziale, che risulta ben disposto verso l’altro fino a quando riceve un qualche appagamento, mentre la carità autentica implica un completo svuotamento di sé per cercare la felicità nel rendere felici gli altri.

Lo scriba comprende l’insegnamento di Cristo e conclude mettendo in questione una religione dei riti, che però ha perso di vista l’amore. Chi invece sceglie di amare Dio, incontrerà e trascinerà tanti fratelli nella via dell’amore.

Omelia di don Tonino Sgrò, tratta da www.reggiobova.it

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXXI Domeenica del Tempo Ordinario (Anno B) 4 novembre 2018

tratto da www.la chiesa.it