16 settembre 2018 - XXIV Domenica del T. O.: Chi sono io per te? Gesù non cerca parole ma persone

News del 15/09/2018 Torna all'elenco delle news

Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. Silenzio, solitudine, preghiera: è un momento carico della più grande intimità per questo piccolo gruppo di uomini. E i discepoli erano con lui... Intimità tra loro e con Dio. È una di quelle ore speciali in cui l'amore si fa come tangibile, lo senti sopra, sotto, intorno a te, come un manto luminoso; momenti in cui ti senti «docile fibra dell'universo» (Ungaretti).

In quest'ora importante, Gesù pone una domanda decisiva, qualcosa da cui poi dipenderà tutto: fede, scelte, vita... ma voi, chi dite che io sia? Gesù usa il metodo delle domande per far crescere i suoi amici. Le sue domande sono scintille che accendono qualcosa, che mettono in moto cammini e crescite. Gesù vuole i suoi poeti e pensatori della vita. «La differenza profonda tra gli uomini non è tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti» (Carlo Maria Martini)

La domanda inizia con un ?ma?, ma voi, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Non accontentatevi di una fede ?per sentito dire?, per tradizione. Ma voi, voi con le barche abbandonate, voi che avete camminato con me per tre anni, voi miei amici, che ho scelto a uno a uno, chi sono io per voi? E lo chiede lì, dentro il grembo caldo dell'amicizia, sotto la cupola d'oro della preghiera.

Una domanda che è il cuore pulsante della fede: chi sono io per te?

Non cerca parole, Gesù, cerca persone; non definizioni di sé ma coinvolgimenti con sé: che cosa ti è successo quando mi hai incontrato? Assomiglia alle domande che si fanno gli innamorati: - quanto posto ho nella tua vita, quanto conto per te?

E l'altro risponde: tu sei la mia vita. Sei la mia donna, il mio uomo, il mio amore.

Gesù non ha bisogno della opinione di Pietro per avere informazioni, per sapere se è più bravo dei profeti di prima, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio. Può fare grande o piccolo l'Immenso. Perché l'Infinito è grande o piccolo nella misura in cui tu gli fai spazio in te, gli dai tempo e cuore. Cristo non è ciò che dico di Lui ma ciò che vivo di Lui. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me. La verità è ciò che arde (Ch. Bobin). Mani e parole e cuore che ardono.

In ogni caso, la risposta a quella domanda di Gesù deve contenere, almeno implicitamente, l'aggettivo possessivo ?mio?, come Tommaso a Pasqua: Mio Signore e mio Dio. Un ?mio? che non indichi possesso, ma passione; non appropriazione ma appartenenza: mio Signore.

Mio, come lo è il respiro e, senza, non vivrei. Mio, come lo è il cuore e, senza, non sarei.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

La croce è vita perché conduce alla risurrezione

Arriva il momento nella vita in cui non puoi più agire solo perché trascinato dagli eventi o per abitudine o con la paura di aprirti al nuovo. È il momento della svolta, in cui sei solo davanti a te stesso e a Dio, dovendo assumerti la responsabilità di una scelta che non sai ancora se sarà quella giusta. È il tempo della maturità, che a volte vorremmo non arrivasse mai, preferendo rimandare decisioni scomode che potrebbero cambiare stili esistenziali su cui ci eravamo comodamente assestati. Se non sei capace di farlo tu, le circostanze o altri sceglieranno per te, ma ciò sarebbe una sconfitta prima ancora di cimentarsi sul campo di battaglia della vita.

Gesù vuole stanare i suoi discepoli da una sequela scialba e poco convinta. Se vai dietro a Lui, non devi avere dubbi sulla sua identità e sorte. Immagino lo sgomento degli apostoli quando il maestro, non accontentandosi di risposte generiche basate su opinioni altrui, guardandoli negli occhi, chiede loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Tu che dici? La risposta non si può delegare perché la vita non si può delegare e da questa risposta dipende la direzione che prende la vita. Pietro, ispirato dal Padre e mosso da un sincero amore per Gesù, ne confessa la messianicità, riconoscendo la sua origine divina. L’ordine immediatamente seguente di «non parlare di lui ad alcuno» rientra nel cosiddetto segreto messianico di Marco, per cui l’identità di Cristo non deve essere svelata per evitare fraintendimenti e solo dopo la Pasqua si comprenderà che il suo messianismo non era politico né obbediva ad altre attese mondane, ma mirava alla riconciliazione degli uomini con Dio e tra loro. Ne deriva che può legittimamente annunciare il vangelo solo chi ha accolto la persona e la missione di Gesù nella loro interezza, senza edulcorare il suo messaggio, altrimenti è meglio tacere, specialmente in un tempo come quello attuale in cui nella giungla mediatica, espressione di uno stile di relazioni umane superficiali e confuse, non si aspetta altro che cogliere in fallo chi si riconosce nella Chiesa per mettere alla gogna l’intera istituzione. Dire di qualcuno, infatti, dovrebbe implicare almeno l’intuirne il mistero che porta dentro, l’essere anche attratti da tale mistero, in quanto partecipe dello stesso mistero divino da cui trae origine. Invece molto spesso nel parlare di qualcuno ci si dimentica di togliersi i sandali dinanzi alla terra santa che l’altro è, trattandolo come un bersaglio delle nostre parole e calpestando la dignità e la bellezza di cui è portatore.

Ecco che Gesù dispiega il suo mistero, svelando il primo annuncio della sua passione, morte e risurrezione. «Faceva questo discorso apertamente», perché il cammino pasquale di Cristo si riproduce nella vita di ciascuno, sia che lo accetti e ne trai un frutto spirituale, sia che lo rifiuti e ti senti maltrattato dalla vita. Nessuno si può sottrarre alle tribolazione dell’esistenza, ma nonostante ciò Pietro intende smarcarsi da questa posizione inaccettabile per quanti sono affezionati all’idea di un Dio che funga da trampolino di lancio dei propri sogni di gloria mondana. È questo il motivo per cui l’apostolo «lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo», perché è come se d’improvviso Gesù facesse saltare i suoi piani, che costituiscono ancora il vero dio di Pietro. Ciascuno di noi, guardando questa irriverente ma del tutto realistica presa di posizione dell’apostolo, dovrebbe chiedersi: amo più me stesso o Dio? Se sai sacrificare la tua volontà allora ami più Dio, altrimenti sei ancora prigioniero di te stesso. Gesù è riuscito a rimettere la propria volontà nelle mani del Padre, perciò è libero e forte dell’ispirazione paterna per poter a sua volta rimproverare Pietro. L’apostolo lo rimprovera per riportare Gesù a sé; Gesù lo fa per riportare Pietro al Padre. Pensare secondo Dio è il modo che Cristo indica per entrare in una autentica novità di vita; significa fidarsi di ciò che non puoi comprendere totalmente e forse non vedrai mai, ma hai l’intima certezza che quella è la via della vita.

Gesù indica tale via subito dopo nella sequela ‘con’ la croce. Tante volte noi pensiamo di dover essere prima perfetti o accettabili e poi poter seguire il Signore. In realtà Gesù ti chiede di seguirlo qui e oggi, con tutto il tuo carico di imperfezione e peccato, mentre sarebbe più semplice rinunciare alla sequela col pretesto di non sentirsi all’altezza. Tutte scuse. Ogni ritardo nel cammino dietro Gesù è un lento rinunciare a vivere. La croce è vita perché conduce alla risurrezione!

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it