18 marzo 2018 - V Domenica di Quaresima: la vita come un chicco di grano

News del 17/03/2018 Torna all'elenco delle news

Vogliamo vedere Gesù. Grande domanda dei cercatori di sempre, domanda che è mia. La risposta di Gesù dona occhi profondi: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce, sintesi umile e vitale di Gesù. Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Una frase difficile e anche pericolosa se capita male, perché può legittimare una visione doloristica e infelice della religione.

Un verbo balza subito in evidenza per la sua presa emotiva: se non muore, se muore. E pare oscurare tutto il resto, ma è il miraggio ingannevole di una lettura superficiale. Lo scopo verso cui la frase converge è ?produrre?: il chicco produce molto frutto. L'accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono. Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: sembra un guscio secco, spento e inerte, in realtà è una piccola bomba di vita. Caduto in terra, il seme non marcisce e non muore, sono metafore allusive. Nella terra non sopraggiunge la morte del seme, ma un lavorio infaticabile e meraviglioso, è il dono di sé: il chicco offre al germe (ma seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa) il suo nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il chicco ha dato tutto, il germe si lancia verso il basso con le radici e poi verso l'alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora sì che il chicco muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente.

La seconda immagine dell'auto-presentazione di Gesù è la croce: quando sarò innalzato attirerò tutti a me. Io sono cristiano per attrazione, dalla croce erompe una forza di attrazione universale, una forza di gravità celeste: lì è l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso.

Con che cosa mi attira il Crocifisso? Con i miracoli? Con lo splendore di un corpo piagato? Mi attira con la più grande bellezza, quella dell'amore. Ogni gesto d'amore è sempre bello: bello è chi ami e ti ama, bellissimo è chi, uomo o Dio, ti ama fino all'estremo. Sulla croce l'arte divina di amare si offre alla contemplazione cosmica.

«A un Dio umile non ci si abitua mai» (papa Francesco), a questo Dio capovolto che scompiglia le nostre immagini ancestrali, tutti i punti di riferimento con un chicco e una croce, l'umile seme e l'estremo abbassamento:

Dio ama racchiudere

il grande nel piccolo:

l'universo nell'atomo

l'albero nel seme

l'uomo nell'embrione

la farfalla nel bruco

l'eternità nell'attimo

l'amore in un cuore

se stesso in noi.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Per vedere Gesù, guarda il chicco di grano che muore e rinasce

Sgrò.

 

«Vogliamo vedere Gesù». È l’aspirazione del cuore umano, anche se non sempre consapevole, perché il desiderio di Gesù coincide con il desiderio di bene. Chi invece non cerca il bene ma solo lo ‘star bene’, difficilmente incontrerà Cristo. Un gruppo di pellegrini greci consegna a Filippo questa attesa del cuore, perché non si arriva a Gesù da soli; anzi, affidandosi unicamente a buoni propositi e sforzi personali, si rischia di rimanere dentro schemi religiosi che non accrescono l’amore per Dio. Chi ha fatto esperienza del Signore, invece, ti mette in contatto con Lui, facendosi garante della genuinità di questo incontro.

 

 

La risposta di Gesù è l’occasione per affermare una delle più grandi verità per l’uomo: vede Dio chi accetta di morire per passare così a una vita nuova, come il chicco di grano che deve morire per produrre il frutto sperato. Una vita nella pace e capace di generare bene nasce dal distacco del cuore da ogni possesso per entrare nella logica del dono di sé. Solo «questa logica è liberante: libera dalla tirannia del proprio “io”, della riuscita a ogni costo, dell’affermazione di sé a scapito degli altri, del vedere sempre e solo se stessi» (Luciano Manicardi). Come è difficile, tuttavia, accettare la sofferenza! È qualcosa che non vorremmo mai provare, che ci blocca, ostacola, indebolisce la volontà e condiziona la libertà. Spesso, quando la sofferenza abita la nostra vita di fede, ci mette a disagio, ci scandalizza e in tutti i modi cerchiamo di schivarla o allontanarla. Ma non funziona così. Gesù è venuto non per eliminare il dolore ma per dargli un senso. Esso fa parte della nostra vita, tutti ne facciamo esperienza ma, paradossalmente, chi si decide per Dio va incontro alla sofferenza molto più di chi ne rimane lontano. Ciò accade perché «il principe di questo mondo» non vuole che gli uomini vivano in comunione con Dio e fa di tutto per suscitare nel cuore di chi ha scelto di seguirlo dubbi, pensieri e bisogni che creano turbamento e spingono a cercare delle gratificazioni immediate pur di non dover vivere questo travaglio interiore.

Mentre noi insisteremmo sul dolore, poiché l’uomo nella sofferenza spesso non riesce a vedere oltre, prigioniero delle proprie paure, Gesù pone l’accento sull’esito di questo processo, che «produce molto frutto» solo se la perdita è accettata incondizionatamente. Per superare il muro dell’angoscia che uccide la speranza è necessario rimanere con Gesù: anch’Egli ha provato l’angoscia mortale del Getsemani, che qui già scorgiamo, ma è sempre stato sostenuto dalla certezza della risurrezione. Rimanendo con Lui, riceveremo il suo stesso sguardo, saremo nel suo stesso sentire carico di speranza, perché «dove sono io, là sarà anche il mio servitore». Seguire Gesù perdendo la propria vita, ossia spendendola interamente per gli altri, ci rende servitori del suo regno. Dunque c'è da attraversare anche l’ora della sofferenza, ma attraversandola diventa l’ora della glorificazione. Il Padre dal cielo fa sentire la sua voce, come nella Trasfigurazione, per confermare che il Figlio immolato è il chicco di grano già trasformato in spiga rigogliosa. La folla non comprende la voce, perché soltanto con la luce della Pasqua si potrà riconoscere Gesù sulla croce come il vincitore di ogni morte. Lì il desiderio di tutte le genti di vedere il Signore sarà appagato, e non per gli sforzi umani, ma per la forza attrattiva e convincente della stessa croce.

Gesù ha descritto un itinerario «che va dalla morte alla vita, a differenza del nostro che va dalla vita alla morte» (Silvano Fausti). È questa la conversione radicale, l’accettare di andare oltre la nostra logica di conservazione delle posizioni sociali, economiche ma soprattutto affettive acquisite, perché forse la maggiore tentazione è attrarre a sé l’altro in quanto compensa il mio vuoto interiore, invece di lasciare che sia attratto dal progetto di Dio sulla sua vita. «Cosa conta: stare bene, passare di soddisfazione in soddisfazione, o imparare l’arte di abbandonarsi nelle mani del Padre e amare i fratelli?» (Fabio Rosini), liberandoli da ogni nostra pretesa di tenerli sotto controllo? E quando giungerà l’ora di entrare in questa logica, saremo preparati, accetteremo di morire come il chicco di grano? Pensare che ogni giorno siamo chiamati a rinnovare la nostra fedeltà al Padre, che ha scelto di sacrificare il Figlio per rimanere fedele all’uomo, ci prepara ad esprimere una fedeltà più grande nell’ora della prova, mortificando ciò che in noi è inferiore per aprirci ad una vita più alta.

 

Liturgia e iturgia della Parola della V Domenic