4 febbraio 2018 - V Domenica del Tempo Ordinario: il cuore "aperto" di Gesù cura la debolezza umana

News del 03/02/2018 Torna all'elenco delle news

Dalla casa di Dio alla casa dell’uomo, dalla sinagoga di Cafarnao all’abitazione di Simone. Due spazi ben definiti nella loro identità, quasi invalicabili se qualcuno decide di lasciarli chiusi, che tuttavia risultano accessibili a quanto di più estraneo possa risiedere in loro: l’impurità. Gesù, però, col suo passaggio dall’uno all’altro, assimila i due ambienti accomunati impropriamente dal male, restituendo ad entrambi vita e salvezza.

Come domenica scorsa aveva liberato l’uomo e la sinagoga dalla presenza del Maligno, così nel vangelo odierno guarisce la suocera di Pietro e con lei tutta la casa. Sì, perché quando in una casa la mamma sta male, è la famiglia intera a fermarsi. Una semplice febbre, che non determinerà un miracolo eclatante, ma rivela la ricchezza di umanità con cui la divinità incontra la nostra debolezza. Sembra un paradosso, ma Dio si accosta all’uomo da uomo fino in fondo, ossia da persona che non si sottrae al contatto con l’uomo che non riesce ad essere se stesso. Questa donna infatti risulta immobilizzata nella sua capacità di servire ed è figura di tutti i mali che ci fanno ripiegare su di noi, impedendoci di amare gli altri. Dinanzi ad una umanità bloccata, diventa decisivo che qualcuno la presenti a Gesù, altrimenti, senza di Lui, «ricorriamo a dei rimedi che, invece di guarire, peggiorano la malattia» (Fernando Armellini). È la maternità della Chiesa, che interpreta le nostre febbri come la premessa per l’incontro con Cristo e riconosce in Lui l’unico in grado di intervenire efficacemente contro il male. Egli non pronuncia neanche una parola, perché i discorsi sul senso della sofferenza sono quasi sempre insopportabili per chi vive il dolore e cerca soltanto un contatto amorevole, come un bambino rassicurato unicamente dalla presenza della mamma. Il medico divino “fa risorgere” la donna e la prende per mano, trasferendole così la sua potenza di vita. Anche noi dobbiamo “farci prendere la mano” da Gesù, non per essere trascinati da Lui contro la nostra volontà, ma per tornare al senso vero della nostra libertà, che per condurci al bene è chiamata ad obbedire alla verità di Cristo. L’intervento di Gesù rigenera la vita e riaccende la luce di casa, perché il primo gesto della donna sarà di servire. La vera guarigione allora consiste nell’uscire da sé e occuparsi della felicità altrui, assumendo tale stile di servizio nella normalità dell’esistenza. L’altra conseguenza della guarigione è infatti che Dio non viene ad estraniarci dalla vita, ma ci restituisce alla normalità delle nostre occupazioni, permettendoci di stare nelle nostre cose, perché per chi è nella prova è già una grande conquista vivere la normalità. Da questo miracolo “privato” si passa poi alla dimensione pubblica. Alla sera, finito il sabato e superata la proibizione di spostarsi e di portare pesi, la gente raduna davanti alla porta di quella casa tanti “pesi” umani, uomini derelitti, che fino a quel momento avevano trovato tante porte chiuse. Tale raduno è determinato dalla fede di chi crede che oltre quella porta c’è la forza di una parola che cura ogni febbre. Tranne il lebbroso, l’emorroissa e la sirofenicia, tutti gli altri malati nel vangelo sono accompagnati a Gesù da qualche fratello che ancora una volta riconosce in Lui l’unico Salvatore. Gente che sta davanti a una porta che si apre, paragonabile al cuore di Cristo cui bussare e che poi si squarcerà completamente sulla croce, garantendo a tutti gli uomini che scelgono di attraversarlo l’apertura verso il regno del Padre. I demoni non sono autorizzati a parlare, pur conoscendo Gesù, perché una conoscenza di Lui prima della croce e contro la logica della croce è diabolica. Ma all’improvviso, di buon mattino, uno stacco: il tempo della preghiera. Gesù è maestro anche per questo, perché ci insegna che dialogare col Padre permette di riscoprirsi figli e di comprendere il cammino da compiere. Mi ricordo chi sono quando mi ricordo chi è mio Padre e il contatto con la fragilità umana è possibile solo se è preceduto dal contatto intimo col Padre. I discepoli quasi inseguono Gesù e Pietro lo rimprovera per la sua assenza perché in realtà cerca l’uomo di successo. Ma Gesù non si lascia imprigionare, va altrove per annunciare a tutti il regno. Egli è venuto per andare altrove, e così facendo spinge anche l’uomo ad andare oltre se stesso per seguire l’amore: «altro è vedere la storia come una serie di cose che ci devono appagare e altro è vederla come la storia di una formazione costante all’arte di amare» (Fabio Rosini).

 

Ristoro dell'anima: la preghiera notturna del Signore

 

Gesù esce dalla sinagoga e va nella casa di Simone: inizia la Chiesa. Inizia attorno ad una persona fragile, malata: la suocera di Simone era a letto con la febbre.

Gesù la prende per mano, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può occuparsi della felicità degli altri, che è la vera guarigione per tutti.

Ed ella li serviva: Marco usa lo stesso verbo impiegato nel racconto degli angeli che servivano Gesù nel deserto, dopo le tentazioni. La donna che era considerata una nullità, è assimilata agli angeli, le creature più vicine a Dio.

Questo racconto di un miracolo dimesso, così poco vistoso, senza neppure una parola da parte di Gesù, ci può aiutare a smetterla con l'ansia e i conflitti contro le nostre febbri e problemi. Ci può ispirare a pensare e a credere che ogni limite umano è lo spazio di Dio, il luogo dove atterra la sua potenza.

Poi, dopo il tramonto del sole, finito il sabato con i suoi 1521 divieti (proibito anche visitare gli ammalati) tutto il dolore di Cafarnao si riversa alla porta della casa di Simone: la città intera era riunita davanti alla porta. Davanti a Gesù, in piedi sulla soglia, luogo fisico e luogo dell'anima; davanti a Gesù in piedi tra la casa e la strada, tra la casa e la piazza; Gesù che ama le porte aperte che fanno entrare occhi e stelle, polline di parole e il rischio della vita, del dolore e dell'amore. Che ama le porte aperte di Dio.

Quelle guarigioni compiute dopo il tramonto, quando iniziava il nuovo giorno, sono il collaudo di un mondo nuovo, raccontato sul ritmo della genesi: e fu sera e fu mattino. Il miracolo è, nella sua bellezza giovane, inizio di un giorno nuovo, primo giorno della vita guarita e incamminata verso la sua fioritura.

Quando era ancora buio, uscì in un luogo segreto e là pregava. Un giorno e una sera per pensare all'uomo, una notte e un'alba per pensare a Dio. Perché ci sono nella vita sorgenti segrete, alle quali accostare le labbra. Perché ognuno vive delle sue sorgenti. E la prima delle sorgenti è Dio. Gesù, pur assediato, sa inventare spazi. Di notte! Quegli spazi segreti che danno salute all'anima, a tu per tu con Dio.

Simone si mette sulle sue tracce: non un discepolo che segue il maestro ma che lo insegue, con ansia; lo raggiunge e interrompe la preghiera: tutti ti cercano, la gente ti vuole e tu stai qui a perdere tempo; hai avuto un grande successo a Cafarnao, coltiviamolo.

E Gesù: no, andiamo altrove. Cerca altri villaggi, un'altra donna da rialzare, un altro dolore da curare. Altrove, dove c'è sempre da sdemonizzare l'esistenza e la fede, annunciando che Dio è vicino a te, con amore, e guarisce tutto il male di vivere.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Per questo sono venuto

Gesù predicava nelle sinagoghe, ma passava molto tempo del suo ministero anche nelle case. Il vangelo di oggi ci dice che uscendo dalla sinagoga di Cafarnao subito si recò in casa di due dei suoi primi chiamati (Mc 1,29). E' bello sapere che Gesù non era legato al luogo ?ufficiale? in cui ci si riuniva, ma che la sua parola e la sua azione si diffondevano dappertutto: non c'era luogo in cui il Signore non potesse istruire e compiere prodigi. Infatti, dopo la liberazione dell'uomo posseduto dal demonio in sinagoga, vediamo che Gesù guarisce la suocera di Pietro con la febbre (Mc 1,30-31). Ci si aspetterebbe, all'inizio del vangelo, un miracolo più ?miracoloso?. E invece niente di strabiliante. Ma allora perché Marco riporta con tale puntualità, sia pur breve, questa guarigione? Per lo stesso motivo per cui alla fine, prima del discorso escatologico e del racconto della passione-morte e resurrezione del Signore, ci narra l'episodio di una povera vedova inosservata da tutti, ma additata da Gesù come sua discepola e testimone autentica (Mc 12,43-44). Il Signore non è venuto sulla terra per compiere miracoli davanti a tutti e dimostrare chi è e di cosa è capace. Fosse stato così, non avrebbe sempre intimato ai demoni, qui e altrove, di non rivelare la sua identità (Mc 1,34). L'episodio è dunque molto istruttivo. Se i miracoli sono sempre segni mai fini a se stessi, ma servono per edificare la fede rimandando piuttosto a realtà spirituali superiori, allora questo piccolissimo segno ha una grandezza di significato su cui conviene soffermarsi attentamente. Cioè Marco qui ci vuole dire che il significato di tutti i miracoli che seguiranno nel suo racconto è sempre lo stesso: Gesù guarisce per restituire a ciascuno la cosa più importante, che è la capacità di servire ovvero di amare. In un certo senso, il vero grande miracolo che il Signore è venuto a compiere per gli uomini non ha nulla di sensazionale. Eppure amare/servire è l'unica realtà che ci rende immagine e somiglianza sua!

Sul personale e iniziale cammino di conversione, Gesù ha posto una realtà ecclesiale che mi ha aiutato molto a risvegliare la fede proprio attraverso l'esercizio di carismi che producevano clamorose guarigioni. Ho visto improvvisamente il vangelo passare ad essere da un libro lontano nel tempo e senza vita a una pagina di storia contemporanea percorsa da una forza misteriosa. Quel che però mi ha più colpito nell'arco dei miei primi anni di cammino, è stato lo scoprire progressivo di come taluni esercitavano un carisma straordinario in un modo molto umile, amoroso e compassionevole, verso l'umanità dolente che accorreva in preghiera. E tanti altri invece esercitare lo stesso carisma circondati da un alone di sacralità, di inaccessibilità, accompagnati da un curriculum di poteri particolari e letteralmente inavvicinabili, se non per mezzo di particolari intercessioni di coloro che costituivano il proprio ?entourage?. Quali di essi agivano veramente da discepoli di Gesù, penso di averlo intuito solo retrospettivamente, man mano che approfondivo la sua storia nei vangeli. Perché se non si diventa come la suocera di Pietro che riacquista la salute per donarla subito agli altri, oppure come la povera vedova capace di lasciare il tutto della sua vita a Dio in quella monetina offerta al tesoro del tempio, guarire gli ammalati e liberare gli indemoniati ci serve a poco: non è questo che ci salva!

Cosa ne pensate voi che leggete? Perplessi? Andate a dare uno sguardo a Mt 7,21-23 e 1Cor 13,1-3. Poi magari ne riparleremo qui o in altri contesti. Comunque il brano di oggi, nella parte centrale, ci ricorda come nel ministero di Gesù guarire malati e indemoniati fosse al centro della sua azione (Mc 1,32-34), e come la sorgente di essa fosse sempre la preghiera, il suo incontro con il Padre (Mc 1,35). Cosa estremamente rilevante per noi uomini della società occidentale che da un lato continuiamo a professare una certa identità o una certa fede, e dall'altro offriamo e teniamo in piedi stili di vita che si propongono come se Dio non ci fosse. Il vangelo di oggi ci interroga: la preghiera è per noi fonte e termine di tutto ciò che facciamo? Un accenno importante all'ultima parte del vangelo. Pietro e gli altri rintracciano Gesù per portargli un'eco: tutti ti cercano! (Mc 1,37). Lo fanno in buona fede, pensano che sia bene corrispondere a tutti i bisogni della gente, per amore del successo apostolico del loro maestro. Comincia qui velatamente quell'incomprensione che caratterizzerà la successiva relazione tra i discepoli e Gesù. Si presenta ancora qui al Signore, la prima tentazione nel deserto: cercare il successo personale anche nell'operare il bene. Ma Gesù non è venuto per avere successo nel fare il bene. Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto! (Mc 1,38). La missione di Gesù è rivelare il volto e l'amore di Dio per ogni uomo. Questa è la buona notizia, il cuore del vangelo che Gesù, e poi i suoi discepoli, devono annunciare uscendo anche fuori dai propri confini. Questa missione incontrerà nel tempo anche insuccessi, ma non si fermerà mai davanti ad essi se veramente, come comunità dei discepoli, non cercheremo quello che Gesù ha scartato nelle sue tentazioni.

Omelia di don Giacomo Falco Brini