12 novembre 2017 - XXXII Domenica del T.O.: nella notte, la voce dello Sposo che risveglia la vita

News del 11/11/2017 Torna all'elenco delle news

Una parabola difficile, che si chiude con un esito duro («non vi conosco»), piena di incongruenze che sembrano voler oscurare l'atmosfera gioiosa di quella festa nuziale. Eppure è bello questo racconto, mi piace sentire che il Regno è simile a dieci ragazze che sfidano la notte, armate solo di un po' di luce. Di quasi niente. Che il Regno è simile a dieci piccole luci nella notte, a gente coraggiosa che si mette per strada e osa sfidare il buio e il ritardo del sogno; e che ha l'attesa nel cuore, perché aspetta qualcuno, uno sposo, un po' d'amore dalla vita, lo splendore di un abbraccio in fondo alla notte. Ci crede.

Ma qui cominciano i problemi. Tutti i protagonisti della parabola fanno brutta figura: lo sposo con il suo ritardo esagerato che mette in crisi tutte le ragazze; le cinque stolte che non hanno pensato a un po' d'olio di riserva; le sagge che si rifiutano di condividere; e quello che chiude la porta della casa in festa, cosa che è contro l'usanza, perché tutto il paese partecipava all'evento delle nozze... Gesù usa tutte le incongruenze per provocare e rendere attento l'uditorio.

Il punto di svolta del racconto è un grido. Che rivela non tanto la mancata vigilanza (l'addormentarsi di tutte, sagge e stolte, tutte ugualmente stanche) ma lo spegnersi delle torce: Dateci un po' del vostro olio perché le nostre lampade si spengono... La risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Andate a comprarlo.

Matteo non spiega che cosa significhi l'olio. Possiamo immaginare che abbia a che fare con la luce e col fuoco: qualcosa come una passione ardente, che ci faccia vivere accesi e luminosi. Qualcosa però che non può essere né prestato, né diviso. Illuminante a questo proposito è una espressione di Gesù: «risplenda la vostra luce davanti agli uomini e vedano le vostre opere buone» (Mt 5,16). Forse l'olio che dà luce sono le opere buone, quelle che comunicano vita agli altri. Perché o noi portiamo calore e luce a qualcuno, o non siamo. «Signore, Signore, aprici!». Manca d'olio chi ha solo parole: «Signore, Signore...» (Mt 7,21), chi dice e non fa.

Ma il perno attorno cui ruota la parabola è quella voce nel buio della mezzanotte, capace di risvegliare la vita. Io non sono la forza della mia volontà, non sono la mia resistenza al sonno, io ho tanta forza quanta ne ha quella Voce, che, anche se tarda, di certo verrà; che ridesta la vita da tutti gli sconforti, che mi consola dicendo che di me non è stanca, che disegna un mondo colmo di incontri e di luci. A me basterà avere un cuore che ascolta e ravvivarlo, come fosse una lampada, e uscire incontro a chi mi porta un abbraccio.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Olio per la lampada

Sarà simile 

Questa parabola è inserita in una serie di parabole che esprimono il medesimo pensiero: il servo fedele (24,45-51), le dieci vergini (25,1-13), i talenti (25,14-20), il giudizio del re pastore (25,21-46). In tutte queste parabole c'è una discriminante: qualcuno è accolto e l'altro è respinto.

Il contesto storico in cui Matteo racconta queste parabole precede immediatamente il momento più fortemente intimo nel vangelo nell'ultima cena con i suoi discepoli; Gesù usa le parabole per parlare ai suoi della sua dipartita, ma anche del suo futuro ritorno.

Le parabole sembrano rispondere alla domanda che i discepoli posero sul monte degli ulivi: «Di' a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo» (Mt 24,3).

La parabola si apre con un verbo al futuro passivo: Il regno dei cieli sarà simile, ed è fortemente proiettata verso le cose future, la fine dei tempi, tecnicamente si parla di escatologia; si conclude con un avvertimento: Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.

Dieci vergini

Parthenos: è il termine per indicare le dieci ?ragazze da marito?. Nell'usanza matrimoniale al tempo di Gesù la sposa stava nella sua casa in attesa dello sposo che veniva a prenderla e portarla nella nuova casa sul far della sera, iniziava un festoso corteo di amiche e amici che terminava nella festa nuziale. Nella parabola non si fa cenno della sposa, è evidente che l'immagine delle dieci vergini è quella della sposa in attesa dello sposo; si sta celebrando il rapporto di amore e di fedeltà fra Dio e la nazione eletta (nell'AT), e tra Cristo e i battezzati (nel NT).

La lampada (più propriamente una fiaccola: un bastone alla cui sommità uno stoppino veniva imbevuto di olio e acceso), ha molti significati: nella Scrittura raffigura la Parola di Dio (Sal 119,105); la Legge o i precetti (Pr 6,23); gli Eletti di Dio (Mt 5,14-16); lo Spirito (Pr 20,27), qui rappresenta la fiamma della fede e l'attesa del ritorno del Signore; la fiaccola senza il combustibile è un bastone inutile.

Tutte le ragazze stanno insieme, si addormentano, si svegliano (letteralmente risorgono), così come succede con il grano e la zizzania (Mt 13,30) o i pesci nella rete (13,47); poi arriva il momento discriminante variamente rappresentato nelle altre parabole che qui è raffigurato dall'olio: le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi.

C'è da domandarsi cosa rappresenti quella piccola riserva di olio che rende le ragazze stolte o sagge: chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia (Mt 7,24)

Discriminante tra la stoltezza e la saggezza è la Parola di Dio messa in pratica. Stolto è colui che ritenendosi credente fa la stessa vita degli altri ma non ha con sé la Parola che gli permette di comprendere la volontà di Dio e affrontare la vita in senso evangelico e costruisce la sua casa sulla sabbia.

Presero anche l'olio in piccoli vasi

A quanto pare procurarsi l'olio all'ultimo momento non giova; è l'olio che rende evidente la saggezza e la stoltezza delle ragazze. Nella Scrittura l'olio è segno della ospitalità: Tu cospargi di olio il mio capo (Sal 23.5), di benedizione e di consacrazione (cfr. Sal 133); Gesù stesso si presenta come il Messia, l'unto, il consacrato. Lui è l'olio per la lampada.

Gli stolti vivono anche di religione, un po' per tradizione o per abitudine compiono gli stessi gesti partecipano alle stesse feste ma senza l'olio, vivono una religione senza Cristo, senza il profumo della sua Parola. 

Da bambini si sono rimpinzati di catechesi, gruppi e attività ma ciò che è raccolto da ragazzi, diventando adulti quando la vita cambia di prospettiva diventa insufficiente, se non si alimenta di amore per Dio e per il prossimo.

L'olio non è cedibile, nessuno può crescere nella relazione con Dio e nell'amore per qualche altro. Abbiamo, sì, la responsabilità della testimonianza: Voi siete la luce del mondo (Mt 5,14), ma ognuno ha la responsabilità delle proprie scelte.

Chi crede in Dio-Amore porta in sé una speranza invincibile, come una lampada con cui attraversare la notte oltre la morte, e giungere alla grande festa della vita. (Benedetto XVI, Angelus, 06.11.2011).

Omelia di don Luciano Cantini

 

Un gusto da scoprire

La saggezza ci cui parla la prima lettura, e che il vangelo attribuisce alle vergini, non si acquisisce con lo studio, non è riservata ai teologi o ai filosofi. ?Sapienza' viene dal latino sapere che vuol dire ?gustare', ?trovare, percepire il gusto delle cose'. Da un punto di vista cristiano, è saggio chi ha sviluppato un gusto per le cose di Dio, chi vive la vita cristiana, prega, legge la parola di Dio non per dovere, ma perché ama farlo, perché ha scoperto il sapore di queste cose, ha scoperto che si tratta di un cibo che non solo nutre, ma è come miele per il palato, piace e dà gioia.

Certo all'inizio non è facile scoprire il sapore delle cose di Dio. Che gusto c'è a interrompere le proprie attività, a chiudere gli occhi, a cercare di raccogliere mente e cuore per restare in presenza di Dio, per cercare di pregare? O ad andare a messa la domenica? O nel ripetere sempre le stesse preghiere, nel partecipare alle stesse liturgie? Che gusto c'è nell'ascoltare sempre gli stessi brani del Vangelo che conosciamo a memoria, o crediamo di conoscere? E potremmo continuare a lungo in questa lista. Spesso la preghiera ci annoia, la messa ci stanca, per non parlare della lettura della parola di Dio che ci sembra così difficile e remota. Siamo come queste vergini che si addormentano: diventiamo abitudinari, siamo sempre distratti, finiamo con il vivere la fede come routine, senza pensare mai al Signore. Dio diventa il grande dimenticato delle nostre giornate.

C'è dunque una ricerca da intraprendere per scoprire il gusto delle cose di Dio. La sapienza, dice la prima lettura, si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano. Il salmista invita a cercarla fin dall'aurora, con desiderio, con sete, si ricorda di essa nel proprio giaciglio, veglia la notte pensando ad essa. Al tempo stesso questa ricerca della sapienza, del gusto delle cose di Dio è già dolce. Ci dedichiamo ad essa perché in questa stessa ricerca è nascosta una gioia.

Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà. La troverà seduta alla porta. Come Gesù nel Vangelo, quando dice: il mio giogo è soave, è dolce, e come il salmo 62 che aggiunge: Come saziato dai cibi migliori, con labbra gioiose ti loderà la mia bocca. Ci dobbiamo lasciar saziare dai cibi migliori, cibi che hanno gusto, cibi che ci invogliano a ritornare a nutrirci.

Di quale gusto, di quale sapore stiamo parlando? Cos'è che ci attira al Signore? Nella prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo afferma: Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell'ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi, come gli altri che non hanno speranza. Il cristiano trova riposo e gusto in una speranza fondata sulla fede. La fede ci offre una consolazione, dà un senso a quello che viviamo, tanto ai momenti di gioia che alle prove e ai momenti di dolore. Ci risolleva quando siamo affaticati sul nostro cammino, ci disseta quando le circostanze della vita ci inaridiscono, raggrinziscono il nostro cuore, ci chiudono in noi stessi. Dando senso alla nostra vita, consolandoci, risollevandoci, nutrendoci, la fede alimenta la speranza. Quale ventata di freschezza, quale riposo nella sofferenza, quale senso inspiegabile di gioia e di serenità la preghiera può inaspettatamente diffondere nel nostro cuore! Basta levare lo sguardo al cielo, invocare il Signore, anche solo con una frase, basta rivolgersi a lui. Basta cominciare a cercare seriamente questa sapienza, questo gusto per le cose di Dio, per trovarla seduta alla nostra porta di casa. Questo vale per la preghiera: è sufficiente pensare un attimo al Signore per scoprire che è al nostro fianco, che non ci ha abbandonati un secondo, che è stato sempre vicino a noi, ma noi non eravamo attenti a lui. Eravamo noi che lo ignoravamo, che non eravamo coscienti della sua presenza.

La più grande consolazione della fede e della speranza è proprio questa: il Signore è con noi, saremo sempre con lui, come dice Paolo riguardo alla vita eterna. Saremo sempre con lui, perché lui è con noi. È già con noi adesso e ci vuole con lui per l'eternità. È venuto per essere il Dio-con-noi, l'Emanuele - perché Emanuele vuol dire proprio questo: ?Dio con noi?, un Dio che trova, come la sapienza nell'Antico Testamento, la sua gioia nell'essere con i figli dell'uomo.

Lasciamo allora questa frase alimentare la nostra preghiera, diventare un test per misurare la nostra sapienza. Ripetendola con il cuore, troveremo piano piano il gusto, il sapore, la gioia che essa contiene e dispensa: Noi saremo sempre con lui.

Omelia di don Luigi Gioia

 

Una vita "accesa"

Non sono un po' tante dieci ragazze per uno sposo? Sono stati contenti di conoscere le tradizioni della terra di Gesù e l'importanza delle "damigelle d'onore" scelte dalla fidanzata per accogliere lo sposo e scortarlo verso la casa della futura sposa. L'abbiamo chiamata la "domenica dell'incontro", perché tutte le letture parlano di questo momento così bello ed importante della nostra vita (La prima lettura ci parla della Sapienza che va incontro a chi la cerca e la desidera; il salmo responsoriale del desiderio dell'incontro; la seconda lettura ci invita a riflettere sul momento in cui saremo "spinti" all'incontro con il Signore; il vangelo ci invita ad uscire incontro allo sposo). L'incontro con qualcuno è sempre fonte di gioia, perché un vero incontro non è mai banale, è sempre, come dice la parola (incontrare = in-con-entrare) un entrare nella vita dell'altro e dall'altro lasciarsi visitare. 

Ci siamo soffermati soprattutto sulla prima lettura e sul brano di Vangelo, su cosa sia la sapienza e su cosa il racconto della parabola suscitava dentro di noi. La sapienza è ciò che ci consente di scegliere di percorrere sentieri di bene. La Sapienza (ci diceva un giorno don Claudio durante la lezione di Sacra Scrittura) è la forza divina che trasforma l'esistenza umana in una esistenza cristiana. Questa sapienza, che per noi è Gesù stesso, la prima lettura ci invita a cercarla: in ogni luogo (lungo il cammino, alla porta delle nostre case), in ogni momento (svegliandoci nel cuore della notte, alzandoci prestissimo) con ogni energia interiore (desiderio, amore, la capacità di progettare).

Il significato semplice delle parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura: scoprire che Dio è nelle nostre vite ancora prima che lo conosciamo o che conosciamo le sue parole. La Sapienza, nel farsi conoscere, previene coloro che la desiderano.

Gli spunti che ci ha dato l'ascolto del brano di vangelo sono stati davvero tanti. Siamo partiti da come Gesù annuncia il regno di Dio, scegliendo sempre immagini di piccolezza, il regno come dieci piccole luci (sono ben poca cosa in una notte di oscurità) oggi, ma come un seme o un po' di lievito in altre pagine di vangelo, comunque sempre qualcosa di "piccolo". Abbiamo continuato poi ringraziando Dio di quella chiamata così bella che ci fa' chiedendoci di andare incontro allo sposo: Ecco lo sposo! Andategli incontro... Un invito ad "uscire", a non stare chiusi, come un invito a respirare, ad aprirsi, a rischiare, ad affrontare la notte camminando insieme, a rischiarare la notte con le nostre piccole luci. Che bello poi ascoltare le interpretazioni di tutti su cosa sia l'olio per tenere accesa la lampada (la fede, l'amore, l'amicizia, la preghiera, il condividere, il Vangelo, la vita...) un qualcosa di così personale che non lo si può prestare. Che cosa è che non possiamo prestare? La nostra vita ha detto Carlos, durante la messa di Cascajal. E' vero, perché non posso chiedere ad altri di vivere al mio posto, di scegliere al mio posto, di credere al mio posto: una vita accesa, capace di illuminare e di riscaldare, oppure una vita spenta, che scorre, senza picchi, senza emozioni, senza entusiasmo. Ci siamo dati proprio questo obiettivo per la settimana che comincia: come la scorsa settimana essere specchio e riflesso della vita di Gesù, che scopriamo oggi come una vita accesa dall'amore per Dio e per i fratelli.

Omelia di don Maurizio Prandi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 12 novembre 2017

tratto da www.lachiesa.it