5 novembre 2017 - XXXI Domenica del T.O.: Gesù apprezza la fatica, ma rimprovera l'ipocrisia

News del 05/11/2017 Torna all'elenco delle news

Il Vangelo di questa domenica brucia le labbra di tutti coloro ?che dicono e non fanno?, magari credenti, ma non credibili. Esame duro quello della Parola di Dio, e che coinvolge tutti: infatti nessuno può dirsi esente dall'incoerenza tra il dire e il fare.

Che il Vangelo sia un progetto troppo esigente, perfino inarrivabile? Che si tratti di un'utopia, di inviti ?impossibil?, come ad esempio: «Siate perfetti come il Padre» (Mt 5,48)?

Ma Gesù conosce bene quanto sono radicalmente deboli i suoi fratelli, sa la nostra fatica. E nel Vangelo vediamo che si è sempre mostrato premuroso verso la debolezza, come fa il vasaio che, se il vaso non è riuscito bene, non butta via l'argilla, ma la rimette sul tornio e la riplasma e la lavora di nuovo. Sempre premuroso come il pastore che si carica sulle spalle la pecora che si era perduta, per alleggerire la sua fatica e il ritorno sia facile. Sempre attento alle fragilità, come al pozzo di Sicar quando offre acqua viva alla samaritana dai molti amori e dalla grande sete.

Gesù non si scaglia mai contro la debolezza dei piccoli, ma contro l'ipocrisia dei pii e dei potenti, quelli che redigono leggi sempre più severe per gli altri, mentre loro non le toccano neppure con un dito. Anzi, più sono inflessibili e rigidi con gli altri, più si sentono fedeli e giusti: «Diffida dell'uomo rigido, è un traditore» (W. Shakespeare).

Gesù non rimprovera la fatica di chi non riesce a vivere in pienezza il sogno evangelico, ma l'ipocrisia di chi neppure si avvia verso l'ideale, di chi neppure comincia un cammino, e tuttavia vuole apparire giusto. Non siamo al mondo per essere immacolati, ma per essere incamminati; non per essere perfetti ma per iniziare percorsi.

Se l'ipocrisia è il primo peccato, il secondo è la vanità: «tutto fanno per essere ammirati dalla gente», vivono per l'immagine, recitano. E il terzo errore è l'amore del potere. A questo oppone la sua rivoluzione: «non chiamate nessuno ?maestro? o ?padre? sulla terra, perché uno solo è il Padre, quello del cielo, e voi siete tutti fratelli». Ed è già un primo scossone inferto alle nostre relazioni asimmetriche. Ma la rivoluzione di Gesù non si ferma qui, a un modello di uguaglianza sociale, prosegue con un secondo capovolgimento: il più grande tra voi sia vostro servo. Servo è la più sorprendente definizione che Gesù ha dato di se stesso: Io sono in mezzo a voi come colui che serve. Servire vuol dire vivere «a partire da me, ma non per me», secondo la bella espressione di Martin Buber. Ci sono nella vita tre verbi mortiferi, maledetti: avere, salire, comandare. Ad essi Gesù oppone tre verbi benedetti: dare, scendere, servire. Se fai così sei felice.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Quale è il mio posto?

Quale è il mio posto del mondo? Quale è il posto che vorrei occupare, o che vorrei mi fosse riconosciuto? Ed ecco che la nostra società (da sempre non solo oggi) produce posizioni sociali, podi e classifiche, scale gerarchiche, ordini di arrivo, classi economiche, titoli, onorificenze e riconoscimenti...

E così misuriamo il nostro valore e la nostra identità in base alla nostra collocazione dal punto di vista sociale, in base ai premi che ci vengono riconosciuti, ai titoli che abbiamo, in base al livello economico raggiunto...

Questo vale in ogni ambiente sociale, istituzioni religiose comprese.

Abbiamo appena celebrato con il 1 novembre il Paradiso con tutti i Santi. Anche lì, nel nostro immaginario umano, abbiamo tentato di imporre schemi umani di gerarchie, avendo una visione dove c'è chi è più santo di altri. In realtà l'insegnamento della Scrittura ci fa intravedere una situazione di armonia così perfetta in Dio, che ogni gerarchia è annullata, e tutti vivono ugualmente nell'amore di Dio, senza che ci sia uno più distante o più vicino, privilegiato o declassato.

Ma la situazione in terra non è così, e anche Gesù lo sa bene. Per questo insegna ai suoi discepoli a non replicare nella loro piccola comunità gli schemi umani che portano alla separazione degli uomini tra di loro. I rappresentanti religiosi del popolo (farisei e scribi) avevano un buon insegnamento che portava a Dio, ma la loro vita (l'insegnamento della testimonianza concreta) portava da un'altra parte. I segni di potere e privilegio che essi ostentavano contraddicevano l'insegnamento di Dio. Gesù vuole che tra i suoi discepoli non sia così, e insegna loro di riprodurre il più possibile in terra quello che in cielo è normale: niente segni e titoli che dividono, giudicano e creano gerarchie. L'obiettivo è che la comunità dei cristiani sia segno di una fratellanza universale che ha in Dio l'unico Padre e in Gesù l'unico maestro e guida.

Tutti, prima di ogni posizione sociale, religiosa, prima di ogni titolo e onorificenza, siamo fratelli!

E per farci capire che il suo non è un insegnamento solo a parole (come spesso accade a noi anche oggi) Gesù stesso si è fatto fratello di tutti, si è messo a livello della terra più bassa (l'humus che è dentro la parola ?umiliazione?) per farci comprendere che proprio dal basso arriva la risalita verso Dio operata da Dio stesso. Gesù vero uomo, che vive la vita e le sofferenze umane, viene esaltato, portato all'altezza di Dio proprio dal Padre, che in questo lo ama infinitamente.

Quale è il mio posto? Se sono veramente cristiano e mi fido del Vangelo, allora il mio posto è proprio quello di Gesù, partendo dal basso e non avendo paura di non poter scalare tutte le scale gerarchiche che la storia mi impone.

Dal basso, cioè facendo i conti con quello che sono realmente, con i miei pregi e limiti, con tutte le mie capacità e fallimenti, con la mia umanità vera non gonfiata, posso vedere il punto di vista altissimo di Dio, che è amore.

Solamente dal basso posso solo guardare in alto e vedere il cielo sopra e dentro di me.

Omelia di don Giovanni Berti

 

L'ostentazione che distrugge il cuore e i fondamenti della religione

La parola di Dio di questa XXXI domenica del tempo ordinario ci offre alcuni testi di importanza capitale per comprendere come, chi ha responsabilità religiose, sacerdotali, pastorali e di guida, debba comportarsi nei confronti degli altri, del popolo, dei fedeli, della gente comune e semplice in modo coerente con il vangelo.

Il forte rimprovero ai sacerdoti dell'Antico Testamento e ai sacerdoti del suo tempo da parte di Gesù, può riguardare anche tutti i sacerdoti in cura di anime, che hanno la responsabilità di pastori, e che devono essere buoni, generosi, attenti e coerenti con la loro missione. Chi è stato chiamato a questo servizio e ha detto il suo "sì" a Dio, ha una responsabilità grande di fronte a chi attende l'insegnamento piuttosto con lo stile di vita che con la sola parola.

Si è credibili in tutti gli ambienti e soprattutto in quelli religiosi ed ecclesiali quando la santità della vita parla da se stessa, senza fare i grandi discorsi e sermoni, per caricare i fedeli di altri pesi, che chi li mette sulle spalle degli altri, non ne conosce neppure la consistenza, la difficoltà e la impossibilità a portarli.

Denuncia coraggiosa, quindi, da parte Gesù nei confronti dei farisei e degli scribi, verso i quali dimostra una grande riserva bmorale e concettuale. Non si tratta di pregiudizi, ma di costatazione di fatti: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito?.

Sappiamo benissimo, cosa significasse in quel tempo tutto questo e cosa significhi oggi la stessa affermazione che Gesù ripete a noi oggi nel testo del Vangelo di Matteo. Ci sono persone che hanno il potere decisionale, i quali costringono a fare tante cose, pesantissime da tutti i punti di vista, agli altri e loro si godono la vita, si ritagliano eccezioni, permessi ed autorizzazioni, si confezionano privilegi che altri non hanno assolutamente. Basta guardarsi intorno, in tutti gli ambienti, compresi quelli ecclesiastici, cioè nei nostri ambienti, per rendersi conto di quanto cammino di purificazione dobbiamo fare tutti, papa, vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici in questo campo di moltiplicare leggi e norme per gli altri e osservarne poche o nessuno da parte di chi le inserisce nel sistema giuridico di ogni tipo. Cose che continuamente ci ricorda Papa Francesco.

Le nome morali che riguardano la coscienza individuale e al proprio stato di vita e che ci aprono la porta della vera salvezza, vanno osservate e vanno tenute in debita considerazione da chi crede e opera in ragione della fede.

Non bisogna imitare persone che dicono e non fanno, che non danno buona testimonianza nella vita. Infatti ?tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati ?rabbì? dalla gente?. Va rifiutato in toto questo comportamento. Per i veri discepoli di Gesù, la prospettiva è diversa e il comportamento è di altro genere e stile: ?Ma voi non fatevi chiamare ?rabbì?, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate ?padre? nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare ?guide?, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Bisogna rifuggire l'autoesaltazione e bisogna stare molto attenti e vigilanti alle esaltazioni occasionali delle persone, che mentre ti portano alle stelle, poi ti buttano nella stalla. Dalle stelle, come dice un antico proverbio, alla stalla. Ed è così per tutti, in quanto l'arroganza, la presunzione, la superbia, l'orgoglio e quanto di negativo ci possa essere nel comportamento umano, regge poco e con il tempo si logora e non ha nessun valore ed incidenza nel comportamento proprio ed altrui.

Seguiamo la vita dell'umiltà e saremo beati in questa vita e nell'eternità. D'altra parte non si può non considerare quanto viene detto nella prima lettura di oggi, tratta dal profeta Malachìa: ?Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su voi la maledizione?.

La motivazione di questa minaccia sta scritta nei versi successivi che devono far riflettere tutti coloro che non si comportano bene, in qualsiasi ambiente: ?Voi invece avete deviato dalla retta via e siete stati d'inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete distrutto l'alleanza di Levi?.

La conseguenza di questo comportamento lo troviamo scritto dal profeta con queste parole: ?vi ho reso spregevoli e abietti davanti a tutto il popolo, perché non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento?.

L'invito all'unità, all'uguaglianza, alla giustizia, alla fede unica di tutti e per tutti è detto con grande precisione, anche se ci proviamo di fronte ad una serie di interrogativi, ai quali ognuno deve dare la sua risposta convinta: ?Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l'uno contro l'altro, profanando l'alleanza dei nostri padri??

Chiedersi del male del mondo, fatto dall'uomo con perfidia e con un preciso studio a tavolino è il minimo indispensabile per avviare a soluzione alcuni drammi che stiamo vivendo anche noi credenti e cristiani del XXI secolo.

Ci aiuti, in questo itinerario di recupero e ripristino della moralità personale e sociale, quanto ci suggerisce di fare l'Apostolo Paolo nel testo della seconda lettura di oggi: ?Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l'avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti?.

Paolo ci chiede un doppio impegno e lavoro: quello fisico per guadagnarsi da vivere e per non essere di peso a nessuno e quello apostolico, che è finalizzato alla propagazione del Vangelo della salvezza e della vita per tutti. Le fatiche in tutti i campi vanno condivise e distribuite in ragione delle proprie forze e dei propri carismi. Per cui, nel ringraziare il Signore per tutto quello che ci dona, ci rivolgiamo a Lui con queste parole: O Dio, creatore e Padre di tutti, donaci la luce del tuo Spirito, perché nessuno di noi ardisca usurpare la tua gloria, ma, riconoscendo in ogni uomo la dignità dei tuoi figli, non solo a parole, ma con le opere, ci dimostriamo discepoli dell'unico Maestro che si è fatto uomo per amore, Gesù Cristo nostro Signore.

Omelia di padre Antonio Rungi
 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 5 novembre 2017

tratto da www.lachiesa.it