16 luglio 2017 - X Domenica del TO: Ognuno è una zolla di terra, ognuno è anche un seminatore.

News del 15/07/2017 Torna all'elenco delle news

Egli parlò loro di molte cose con parabole. Magia delle parabole: un linguaggio che contiene di più di quel che dice. Un racconto minimo, che funziona come un carburante: lo leggi e accende idee, suscita emozioni, avvia un viaggio tutto personale.

Gesù amava il lago, i campi di grano, le distese di spighe e di papaveri, i passeri in volo. Osservava la vita (le piccole cose non sono vuote, sono racconto di Dio) e nascevano parabole

Oggi Gesù osserva un seminatore e intuisce qualcosa di Dio. Il seminatore uscì a seminare. Non 'un', ma 'il' seminatore, Colui che con il seminare si identifica, perché altro non fa' che immettere nel cuore e nel cosmo germi di vita. Uno dei più bei nomi di Dio: non il mietitore che fa i conti con le nostre povere messi, ma il seminatore, il Dio degli inizi, che dà avvio, che è la primavera del mondo, fontana di vita.

Abbiamo tutti negli occhi l'immagine di un tempo antico: un uomo con una sacca al collo che percorre un campo, con un gesto largo della mano, sapiente e solenne, profezia di pane e di fame saziata. Ma la parabola collima solo fin qui. Il seguito è spiazzante: il seminatore lancia manciate generose anche sulla strada e sui rovi. Non è distratto o maldestro, è invece uno che spera anche nei sassi, un prodigo inguaribile, imprudente e fiducioso. Un sognatore che vede vita e futuro ovunque, pieno di fiducia nella forza del seme e in quel pugno di terra e rovi che sono io.

Che parla addirittura di un frutto uguale al cento per uno, cosa inesistente, irrealistica: nessun chicco di frumento si moltiplica per cento. Un'iperbole che dice la speranza altissima e amorosa di Dio in noi.

Tuttavia, per quanto il seme sia buono, se non trova acqua e sole, il germoglio morirà presto. Il problema è il terreno buono. Allora io voglio farmi terra buona, terra madre, culla accogliente per il piccolo germoglio. Come una madre, che sa quanto tenace e desideroso di vivere sia il seme che porta in grembo, ma anche quanto fragile, vulnerabile e bisognoso di cure, dipendente quasi in tutto da lei.

Essere madri della parola di Dio, madri di ogni parola d'amore. Accoglierle dentro sé con tenerezza, custodirle e difenderle con energia, allevarle con sapienza.

Ognuno di noi è una zolla di terra, ognuno è anche un seminatore. Ogni parola, ogni gesto che esce da me, se ne va per il mondo e produce frutto. Che cosa vorrei produrre? Tristezza o germogli di sorrisi? Paura, scoraggiamento o forza di vivere?

Se noi avessimo occhi per guardare la vita, se avessimo la profondità degli occhi di Gesù, allora anche noi comporremmo parabole, parleremmo di Dio e dell'uomo con parabole, con poesia e speranza, proprio come faceva Gesù.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Ascoltate

La pagina evangelica di oggi ha tre sezioni distinte e diverse sia come origine e tema, raccolte insieme e che è bene considerare separatamente: la parabola del seminatore, il parlare in parabole, l'ascolto della Parola.

Il seminatore È importante soffermarsi sul soggetto della parabola: il seminatore. Gesù sta parlando di se stesso, o meglio dell'azione di Dio nella storia, della presenza e dell'attività misteriosa di Dio nel mondo e nell'uomo per liberarli dal male e condurli a un destino di salvezza. Si dice che il seminatore uscì a seminare:

Da dove uscì colui che è in ogni luogo e riempie l'universo intero? Come uscì? Non materialmente, ma per una disposizione della sua provvidenza nei nostri confronti: si è avvicinato a noi rivestendo la nostra carne. Noi non potevamo andare a lui, perché i nostri peccati ce lo impedivano; allora è stato lui a venire a noi (San Giovanni Crisostomo).

Per noi che vorremmo un Dio giudice, capace si salvare i buoni e di estirpare il male, non è un gran ché comprensibile l'immagine del Seminatore che getta il suo seme con abbondanza dappertutto incurante dei terreni sottostanti. Non toglie i sassi della storia, non estirpa i rovi dell'umanità, solo getta il suo seme lasciandolo a stesso e all'interazione col terreno. È incredibile come l'amore del Signore arrivi a rispettare le situazioni di ciascuno, anche quelle intrise di peccato, come lasci a ciascuno la responsabilità di se stesso e della propria crescita. Non si impone, non converte, non convince ma accompagna, si intrufola nel terreno di ciascuno, cerca una relazione, rischia il fallimento, prova a crescere e produrre frutto.

Dio entra nella storia umana, va a cercare ogni terreno e ogni anfratto, esce da se stesso per essere a noi vicino mentre nella mentalità comune, ancora intrisa di paganesimo, è l'uomo che si illude di cercare Dio e si fa a lui incontro con pellegrinaggi, offerte e doni.

Sarà tolto anche quello che ha La parabola termina con l'espressione: Chi ha orecchi, ascolti. Questa frase serve all'autore del vangelo per introdurre il tema «Perché a loro parli con parabole?».

Le parabole hanno un doppio effetto, da una parte un linguaggio semplice facilmente comprensibile a tutti, dall'altra sospingere ad una riflessione che richiede la capacità di ascoltare oltre le parole. L'ascolto vero provoca una comunicazione profonda tra chi parla e chi pone l'orecchio, dietro le parole ci sono sentimenti, pensieri, idee ma più ancora c'è il cuore; l'ascolto vero mette in comunione i cuori. Lo stare a sentire crea solo illusioni, si ha l'impressione di aver capito e invece di arricchire impoverisce, invece di avvicinare allontana, invece di comunicare divide.

Anche l'ascolto è un dono: Perché a voi è stato dato... Non c'è un merito particolare o una conquista personale, piuttosto la forza della comunione e della libertà. Se non c'è un cuore sensibile, è inutile qualsiasi impegno nel voler capire, chi si fida solo della propria intelligenza si troverà privato di ciò che crede di aver conquistato e raggiunto fidandosi delle sue forze. Tornando all'immagine della parabola quello che conta è l'interazione tra il terreno e il seme, tra colui che ascolta e chi ha seminato.

Ascoltate È proprio il verbo ascoltare che apre la conclusione di questa pagina, ne è il dominante (è ripetuto cinque volte) e il discriminante.

Ai discepoli Gesù chiede di "ascoltare" ciò che hanno già ascoltato. L'ascolto non termina mai perché è come un dono ricevuto che ha bisogno di essere accolto, interiorizzato, approfondito, fatto proprio. Nell'ascolto e nel riascolto il dono si immerge sempre più nel terreno della nostra vita per dare frutto.

L'ascolto trova situazioni diverse tra loro che non possiamo giudicare - troppo facile puntare il dito contro i sassi o i rovi - forse neppure cambiare, piuttosto è necessario prendere coscienza del dono della Parola che abbiamo indiscutibilmente ricevuto e della nostra situazione come persone e comunità perché è in quella situazione che dobbiamo dare frutto.

Nella dinamica della vita tutto può accadere ma non deve diminuire l'impegno ad ascoltare e intravedere, in ogni situazione, la possibilità di dare frutto all'ascolto. La caratteristica del buon ascolto e quella di colui che ascolta la Parola e la comprende. Comprendere dà il senso all'ascolto, e non significa capire, scoprire i significati quanto "contenere in sé, abbracciare, racchiudere [Treccani]". È l'atteggiamento di Maria che custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore (Lc 2,19).

Omelia di don Luciano Cantini

 

L'inesauribile sorgente di senso

La Parola di Dio, per bocca di Paolo, ci invita audacemente ad entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. La nostra identità cristiana rappresenta uno straordinario titolo di nobiltà: ciascuno di noi è figlio di Dio, Dio stesso ci è promesso in eredità, non per donarci soltanto qualcosa, ma se stesso. Nella casa di Dio, ci dice Gesù, noi non siamo servi, ma amici. Il Padre ci accoglie, ci riveste di una tunica, ci mette un anello al dito, dei sandali ai piedi, tutti simboli di una relazione di familiarità con lui. Quindi - come dice Paolo nella prima lettera ai Corinzi - tutto è nostro. Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è nostro! Noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio.

La qualità principale dei figli di Dio è soprattutto questa libertà, il cui garante principale è la Parola di Dio. Tutto ci è dato nella Parola di Dio, tutto è nostro attraverso di essa. Essa è come la pioggia e la neve che scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra. È inviata dal Signore per irrigare il nostro cuore, dare fecondità alla nostra vita, essere nutrimento, dissetare la nostra sete di senso, darci freschezza nei momenti di pesantezza della nostra vita, aiutarci a ritrovare la speranza, farci sentire che non siamo soli.

Questa Parola è sorgente di immensa consolazione. Basta una frase del salmo: Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla, mi guida e mi conduce. Oppure: Ho gridato, ho gridato al Signore ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Oppure la frase di Gesù nel Vangelo di domenica scorsa: Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi darò riposo. Una tale sorgente di acqua sempre fresca, di consolazione sempre nuova, di gioia e soprattutto di pace, è sempre a nostra disposizione. In ogni momento possiamo aprire la Bibbia e ritrovarvi conforto.

Bisogna riconoscere però che, il più delle volte, la nostra relazione con la parola somiglia piuttosto a quanto dice Gesù nel Vangelo: Udrete, ma non comprenderete. Guarderete, ma non vedrete. Il cuore di questo popolo è diventato insensibile. Il nostro cuore è diventato insensibile perché i nostri orecchi e i nostri occhi si sono chiusi alla Parola. Perdere la libertà dei figli di Dio consiste proprio in questo: precluderci per negligenza l'accesso al tesoro, all'eredità che il Signore ha messo a nostra disposizione e che noi lasciamo al chiuso in uno scrigno, senza neanche avere la curiosità di aprirlo per scoprire quali ricchezze contenga.

La libertà cristiana cresce solo se la Parola è accolta, amata, meditata e compresa. Chi vive della Parola di Dio è libero perché può attingere ad una sorgente inesauribile di senso, come Gesù stesso afferma: In verità vi dico, cielo e terra passeranno, tutte le cose che ci sembrano importanti in questa vita, sia quelle positive che quelle negative, passeranno, ma la mia parola non passerà mai. E altrove: Chi ascolta queste parole vivrà in me e io in lui. E ancora: Le parole che io vi dico sono vita eterna.

Nella nostra relazione con la Parola di Dio risiede dunque la sfida fondamentale della vita di fede, la possibilità di preservare la nostra libertà di figli di Dio. Ecco perché il Vangelo ci esorta così vivamente a stare attenti a non lasciare questo seme della Parola cadere lungo la strada: gli uccelli del cielo potrebbero venire a rubarlo. Gesù spiega che questo succede ogni volta che uno ascolta la parola di Dio e non la comprende. Comprendere vuol dire ?prendere-con', avvolgere la parola che riceviamo con l'intelligenza e con il cuore. È come quando ci è dato un tesoro prezioso: lo circondiamo con le nostre braccia e lo mettiamo al riparo vicino al nostro cuore. Il seme della parola di Dio deposto nel nostro cuore va avvolto, serbato, meditato. Siamo invitati a ripensarci e a cercare di aderirvi con il cuore, altrimenti è inevitabile che la prima distrazione la porti via come farebbe un uccello con un seme lasciato incustodito.

Siamo poi invitati a non essere come un terreno sassoso, nel quale c'è giusto terra abbastanza perché il seme germogli, ma non la profondità che gli permette di affondare in noi le proprie radici. Questo è il simbolo dell'incostanza, della mancanza di perseveranza: ci entusiasmiamo quando qualcosa ci parla, ma poi ci lasciamo assorbire dalle altre occupazioni della vita e perdiamo il contatto vivente, quotidiano con la Parola.

Infine ci sono i rovi. La parola di Dio, anche nel cuore di coloro che desiderano accoglierla e che cercano di coltivarla, è soffocata dalle preoccupazioni, dalla spirale di attività che, buone in sé stesse, possono però anche diventare un alibi per fuggire i momenti di silenzio e di raccoglimento necessari perché questa Parola non sia soffocata, perché la fiamma che il Signore accende nel nostro cuore non si smorzi.

Nella qualità del nostro ascolto della Parola è dunque in gioco la nostra libertà cristiana. State saldi -dice Paolo- state attenti a non lasciarvi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Per questo, accogliamo la Parola con un cuore fedele, desideroso, assiduo, che sappia avvolgerla, conservarla e le permetta di dispiegare tutta la sua fecondità.

Omelia di dom Luigi Gioia

 

Convertirsi, cioè predisporsi alla Parola

"E Dio disse e tutte le cose furono fatte". Così si esprime una frase della Genesi che è sulla bocca di tutti e che indica l'onnipotenza della creazione divina, l'immediatezza con cui Dio opera ogni cosa. A creare il tutto è la Parola, che nella Bibbia viene definita il Verbo, cioè il parlare divino che immediatamente si tramuta in azione, per cui quando Dio "parla" contemporaneamente agisce e produce. La Parola di Dio si mostra sempre efficace e foriera di benefici per l'uomo e per il cosmo. Essa non manca mai di apportare i frutti per cui essa viene mandata e attesta sempre la presenza di Dio in ogni opera e in ogni situazione. Anche la storia della salvezza è un processo di parole e atti intrinsecamente connessi, nel quale le parole preannunciano e indicano le opere, mentre queste sono il significato concreto di quelle. "Dicere Dei est facere", osserva Sant'Agostino.

La Parola (o Verbo) di Dio per eccellenza è il Signore Gesù Cristo, che si è incarnato diventando per noi Parola fatta carne che inabita in ciascuno di noi e percorre la nostra stessa strada. In Cristo vi è la Rivelazione completa di Dio, la sua Parola definitiva che, preesistendo con il Padre sin dall'eternità, si è fatta carne per venire ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 2 - 14) e guardando a lui si è certi di comprendere in tutto la volontà del Padre. Se la Parola di Dio è viva ed efficace, Cristo suo Verbo assume maggiore consistenza e la sua efficacia è ulteriormente riscontrabile nelle

La Parola è paragonabile al seme che cadendo può impattare sul suolo sassoso, su spontanee vegetazioni di rovi e pruni, come pure sulla terra buona. Così tutte le volte che la Parola di Dio, disseminata dal Padre sulla terra in Cristo suo Verbo, incontri ostilità e indifferenza nell'animo umano, pur mantenendo la sua efficacia e produttività intrinseca, non potrà mai apportare alcun risultato. Non perché la Parola non sia proficua, ma perché l'uomo tende a rifiutarla, ad usare reticenza e ritrosia nei confronti di quanto essa suggerisce. La Paola di Dio è efficace e penetrante "come una spada a doppio taglio"(Eb 4, 12) ma se il cuore dell'uomo respinge la sua lama impedisce esso stesso che essa abbia la sua efficacia innovativa. Ascolto, meditazione a azione concreta. Sono questi gli elementi che rendono fertile il terreno e rendere produttive o incolte le sue zolle saremo solamente noi stessi, secondo la nostra sensibilità e il nostro grado di volontà.

Anche per questo lo stesso parlare di Dio ci invita innanzitutto ad operare una radicale trasformazione di noi stessi affinché il nostro terreno sia bonificato al punto da lasciare che essa si radichi in noi, si innesti e in noi si sviluppi prendendo forma e vitalità. Ci invita insomma alla conversione, al mutamento radicale di noi stessi, che è indispensabile affinché comprendiamo l'efficacia stessa della Parola e la sua utilità per noi. La conversione è il preambolo della fede, ma di fronte alla prospettiva della Parola di Dio è prerogativa essenziale perché questa Parola possa trovare in noi terreno fertile per la copiosità dei frutti.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 16 luglio 2017

tratto da www.lachiesa.it