18 giugno 2017 - Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo: Così Gesù si fa pane vivo nella «messa del mondo»

News del 17/06/2017 Torna all'elenco delle news

Io sono il pane vivo: Gesù è stato geniale a scegliere il pane. Il pane è una realtà santa, indica tutto ciò che fa vivere, e che l'uomo viva è la prima legge di Dio.

Che cosa andremo a fare domenica nelle nostre celebrazioni? Ad adorare il Corpo e Sangue del Signore? No. Oggi non è la festa dei tabernacoli aperti o delle pissidi dorate e di ciò che contengono.

Celebriamo Cristo che si dona, corpo spezzato e sangue versato? Non è esatto. La festa di oggi è ancora un passo avanti. Infatti che dono è quello che nessuno accoglie? Che regalo è se ti offro qualcosa e tu non lo gradisci e lo abbandoni in un angolo?

Oggi è la festa del prendete e mangiate, prendete e bevete, il dono preso, il pane mangiato. Come indica il Vangelo della festa che si struttura interamente attorno ad un verbo semplice e concreto "mangiare", ripetuto per sette volte e ribadito per altre tre insieme a "bere".

Gesù non sta parlando del sacramento dell'Eucaristia, ma del sacramento della sua esistenza, che diventa mio pane vivo quando la prendo come misura, energia, seme, lievito della mia umanità. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui.

Mangiare e bere la vita di Cristo non si limita alle celebrazioni liturgiche, ma si dissemina sul grande altare del pianeta, nella "messa sul mondo" (Theilard de Chardin). Io mangio e bevo la vita di Cristo quando cerco di assimilare il nocciolo vivo e appassionato della sua esistenza, quando mi prendo cura con combattiva tenerezza degli altri, del creato e anche di me stesso. Faccio mio il segreto di Cristo e allora trovo il segreto della vita.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Determinante è la piccola preposizione: "in". Che crea legame, intimità, unione, innesto, contiene "tutta la ricchezza del mistero: Cristo in voi" (Col 1,27). La ricchezza della fede è di una semplicità abbagliante: Cristo che vive in me, io che vivo in Lui. Il Verbo che ha preso carne nel grembo di Maria continua, ostinato, a incarnarsi in noi, ci fa tutti gravidi di Vangelo, incinti di luce.

Prendete, mangiate! Parole che mi sorprendono ogni volta, come una dichiarazione d'amore: "Io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita".

Qui è il miracolo, il batticuore, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola, con la stessa vocazione: non andarcene da questo mondo senza essere diventati pezzo di pane buono per qualcuno.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Io sono il pane vivo

Nella solennità del Ss.mo Corpo e Sangue di Cristo, leggiamo un piccolo brano del cap.6 del Vangelo di Giovanni (6,51-58) che inizia con l'autoproclamazione di Gesù: "Io sono il pane vivo". Il tema centrale del messaggio di Gesù nel quarto Vangelo è la sua stessa persona: l' espressione privilegiata di questa autorivelazione è la formula "Io sono" che riprende quella di cui nell'A.T. Dio si serve per rivelarsi. Gesù in questo modo si presenta come il volto di Dio per gli uomini. Nel Vangelo di Giovanni, per sette volte ritorna la formula "Io sono" con un predicato: "Io sono il pane di vita" (6,35.51); "la luce del mondo" (8,12); "la porta" (10,7.9); "il buon pastore" (10,11.14); "la risurrezione e la vita" (11,25); "la via, la verità e la vita" (14,6); "la vigna" (15,1.5). I sette predicati dicono ciò che l'uomo cerca per gustare la pienezza della vita: l' "Io sono" di Gesù, per il Vangelo di Giovanni, è la risposta alla ricerca dell'uomo. In lui, l'offerta di "vita eterna" diventa evento concreto, qui e ora: per accedervi è richiesta solo la fede.

Giov.6 è tutto incentrato sulla domanda: "Come trovare Gesù?" Ma occorre che chi lo cerca si chieda prima perché lo cerca: perché in lui ha trovato l'abile moltiplicatore del pane, o l'atteso nuovo Mosè che ricostruisce il popolo politicamente distrutto? Gesù sfugge ad ogni interpretazione riduttiva e deviante, ad ogni tentativo di cattura a vantaggio di interessi parziali: egli guida anzitutto la ricerca della verità interiore e radicale dell'uomo. Gesù, "la Parola che si è fatta carne", all'uomo che sperimenta che la sua carne fragile aspira ad una vita che il pane materiale non basta a nutrire, rivela: "Io sono il pane vivo". "La Parola si è fatta carne e noi abbiamo visto la sua gloria": il Vangelo di Giovanni, dall'inizio annuncia che Gesù, nella concretezza della sua umanità, è la rivelazione della Gloria di Dio. Egli chiama i suoi discepoli ad andare, vedere, rimanere in Lui per vedere la Gloria di Dio ed entrare nella pienezza della vita. "Io sono il pane vivo che discende dal cielo": la Parola che si è fatta carne, adesso si fa pane vivo. Occorre che la carne di ogni uomo, come la sua, viva della Gloria di Dio: Gesù non chiama i suoi discepoli per insegnare loro una dottrina, perché vivano una morale, ma per renderli partecipi della vita del Padre di cui egli vive: "Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". La Gloria di Dio discende nella carne umana di Gesù sino all'oscurità della Croce, per farsi carne da donare al mondo, per amare il mondo. La Gloria di Dio è l'Amore che si dona, che si fa carne per farsi pane, per donare vita piena. Adesso (6,51) Gesù identifica il pane che dà la vita, con la sua carne: mangiare il pane vivo disceso dal cielo, diventa "mangiare la carne" di Gesù (precisamente "mordere", "masticare", per sottolineare il realismo della partecipazione personale). "Mangiare la carne del Figlio dell'uomo" e "bere il suo sangue", sono espressioni che appartengono chiaramente al linguaggio eucaristico: ormai la prospettiva del Vangelo è quella della comunità postpasquale che si chiede "come trovare Gesù" per appropriarsi del valore salvifico della sua morte, dono senza limite dell'Amore di Dio: "mangiare la carne...bere il sangue..."; "questo è il mio corpo...prendete, mangiatene tutti". È il senso dell'eucaristia, esperienza viva della relazione di Amore che attraverso la concretezza della carne di Gesù che si dona sino alla morte, risorge nella carne dell'uomo che crede per renderla partecipe della bellezza della sua vita nuova. Attraverso l'eucaristia, si attua una relazione piena tra Gesù e il credente perché possa sperimentare quel Dio che ha tanto amato il mondo da dare il proprio Figlio, perché il mondo viva. "Mangiare il pane vivo...mangiare il corpo...": mangiare la carne, mangiare l'Amore, mangiare Dio: tutto è estremamente concreto e tutto è di una densità infinita. Mangiare l'Amore incarnato di Dio perché Dio continui ad incarnarsi e la carne dell'uomo sperimenti la vita di Dio: l'amore dell'uomo diventi l'Amore di Dio risplenda, la sua Gloria. Tutto è Dio e tutto è così concretamente umano. Tutto è stupendo: tutto richiede "soltanto" il coraggio di credere l' "Amore" infinito di Dio nell'oscurità della Croce di Gesù.

Giov.6 mostra che la rivelazione sempre più profonda del mistero di Gesù coincide con la riduzione del numero dei discepoli: prima i Giudei si misero a mormorare, poi i discepoli "si ritirarono e non camminavano più con Lui", infine anche tra i Dodici si fa strada l'incredulità. Nonostante la magnifica confessione di Pietro, il Vangelo termina con una nota inquietante: "Giuda stava per tradirlo, ed era uno dei Dodici..." L' Eucaristia è l'esperienza intima, concreta dell'Amore di Dio con noi, in noi, per noi: abbiamo, noi, il coraggio di affidarci totalmente a Lui?

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

L'imperfezione di Dio

Celebriamo una bella festa. Bella perché (mi piace ripeterlo tutti gli anni), è legata a quanto di più umanamente nostro possa esserci: il corpo. E' la celebrazione del Corpo del Signore Gesù che questa sera portiamo in processione nel segno del pane. Un gesto di grande importanza e bellezza lasciatemi dire, perché vede coinvolti in un modo unico durante l'anno il corpo di Gesù che è l'Eucaristia e il corpo di Gesù che è la chiesa. Una comunità che porta Gesù e lo porta a chi è impossibilitato a venire in chiesa. Per questo celebriamo la messa tra case e condomini, per questo con l'Eucaristia percorriamo alcune vie delle nostre comunità.

Torna, in questa solennità del Corpus Domini l'idea del cammino. Domenica scorsa abbiamo visto che l'unica preghiera possibile per Mosè, l'unica richiesta possibile verso Dio era questa: Cammina in mezzo a noi Signore! Guardando alla prima lettura di oggi possiamo scoprirci contenti di aver bisogno: è necessaria la manna, il pane, ma è necessaria la Parola; è necessario il comando, ma è necessaria anche la Presenza. Questa è una cosa di grande importanza per chi ha una responsabilità educativa: c'è il comando, ma da parte di Dio ci sono anche la presenza e l'accompagnamento. Un Dio che non ci lascia a noi stessi!

E oggi ci viene detto che Dio ha camminato in mezzo al suo popolo, che non si è tirato indietro e che il cammino non è piano ma complesso, difficile. Ci sono ombre, prove, trasgressioni e in questa complessità che passa anche attraverso elementi negativi c'è l'esperienza del nostro camminare, del cammino di un popolo, del cammino di Dio in mezzo al suo popolo. C'è la fatica, ma c'è l'acqua, c'è la fame ma c'è la manna, c'è il deserto ma c'è anche la compagnia di Dio. Questo cammino-presenza conosce il suo apice, il suo punto più alto in Gesù che per primo, ci dice l'apostolo Paolo, si è umiliato facendo suo quel percorso di umiliazione tanto sottolineato in questa prima lettura. Fondamentale questa umiltà, perché altrimenti non si può riconoscere e ricordare quello che Dio opera nella nostra vita; non si innalzi il tuo cuore, Gesù è così, è uno che non ha innalzato il suo cuore anzi! Gli evangelisti, (scriveva don Pozzoli), sono rimasti molto colpiti quando ha detto: "Imparate da me che sono mite ed umile di cuore..." non ha detto di imparare a fare i miracoli, a compiere cose straordinarie, ma imparate da me la dolcezza e l'umiltà. Dolcezza che è capacità di accogliere, di essere recettivi, aperti nei confronti di tutto ciò che esiste. Umiltà che viene da una parola latina che è humus, che vuol dire terra. Bello: essere umili è essere come la terra, cioè in quell'attitudine che permette di accogliere e di lasciare che ogni seme di bontà possa germinare. Accogliere allora in noi l'Eucaristia come la terra buona accoglie il seme. Lasciarsi trasformare profondamente nel nostro modo di vivere la vita, i nostri affetti, le nostre speranze, per capire ciò che veramente conta ed è essenziale.

Un Dio che non si stanca di guidarci, di prenderci per mano, di farci percorrere strade e cammini, un Dio che ci propone il viaggio più bello, quello all'interno della sua Parola, del suo Vangelo, che diventano il pane necessario per la vita di ogni giorno. Un Dio, (e mi pare bellissimo), che vuol conoscere il cuore di ognuno di noi, un Dio innamorato che assomiglia a quegli innamorati che mettono alla prova il proprio fidanzato/a.

Questa sera sono presenti i fanciulli che hanno ricevuto la Prima Comunione e quando penso a quella celebrazione, trovo che al suo interno accada una cosa davvero molto bella: durante l'omelia si riesce, tutti insieme, a dire qualcosa di molto semplice sull'Eucaristia, rispettando così la semplicità del segno che Gesù ha scelto per dirci: Questo sono io. Una cosa che invece resta difficile è poter dire qualcosa sulla "presenza reale" di Gesù. Mi veniva in mente però che quando si fa un dono, accade qualcosa di bello e significativo: in ogni dono autentico è contenuta la persona, la presenza, l'amore del donatore. Quando doniamo qualche cosa agli amici, in realtà vogliamo donare noi stessi. E il dono è il segno che porta la nostra presenza, la nostra amicizia: è per questo che ogni anno i bimbi offrono, il giorno della loro Prima Comunione l'oggetto più caro che hanno, perché così è come se offrissero la loro propria vita. Lo stesso vale per l'Eucaristia-Dono: lì c'è Dio, in quella semplicità, in quel nutrimento, in quella povertà, in quella debolezza e fragilità, c'è Dio!

Tra poco andremo in processione e fedeli a quell'intuizione che ci guidava la terza domenica di Pasqua non porteremo un'ostia rotonda, perfetta, quasi fosse concepita dalla mente di un pitagorico, ma porteremo un'ostia spezzata, alla quale per di più manca un pezzo perché, ricordate, la perfezione del pane non sta nell'essere bello a vedersi o nell'essere cotto a puntino o nella fragranza del suo profumo appena uscito dal forno. La perfezione del pane sta nell'essere spezzato, sta nel fatto che a quel pane ne manca un pezzo perché lo hai dato a qualcuno. La perfezione di Dio non sta nel fare qualcosa di eclatante o di mirabolante per farsi riconoscere, la perfezione di Dio sta in quello che noi consideriamo imperfetto: sta nell'umiltà come dicevamo prima, sta nelle ferite, sta in un pane al quale manca un pezzo.

Omelia di don Maurizio Prandi

 

 Commento su Giovanni 6,51-58

La solennità del "Corpo e sangue del Signore" - come quella della Santissima Trinità -, posta al limitare tra il ciclo liturgico della Quaresima/Pasqua e la ripresa delle domeniche del Tempo Ordinario, ha una funzione non anzitutto storica, bensì catechistica illustrando il mistero dell'Eucaristia attraverso i testi biblici.

Il brano del Deuteronomio presenta l'insegnamento di Mosè al popolo d'Israele che si apprestava a entrare nella terra promessa. I quarant'anni nel deserto sono stati il "cammino che il Signore ti ha fatto percorrere"; è stato Lui che "ti ha condotto" nelle difficoltà del cammino, nel quale "ti ha nutrito di manna", "per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore". L'Esodo come metafora della storia della Chiesa: cammino nel deserto, guidato dal Signore, che nutre il suo popolo con un pane che è esclusivo dono del suo amore. Profezia, questa, del pane eucaristico che Gesù darà al nuovo popolo perché, con la forza di questo pane, cammini nella storia fino alla patria celeste.

Nel Vangelo, Giovanni narra l'adempimento della profezia; il pane che nutrirà il nuovo popolo di Dio è annunciato da Gesù nel confronto con la gente nutrita con la moltiplicazione dei pani: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Una cosa incomprensibile per chi ascolta. Ma Gesù non demorde; ritiene irrinunciabile questo "cibo": "Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita". E annuncia i frutti di questo pane: la garanzia della vita eterna, la certezza della risurrezione nell'ultimo giorno, la possibilità di "rimanere" in lui e di vivere per Lui. Con l'aggiunta: "Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda... Chi mangia questo pane vivrà in eterno". La realizzazione dell'antica profezia viene qui annunciata, per essere poi resa concreta con l'istituzione dell'Eucaristia nell'ultima cena.

La prima lettera ai Corinzi conclude l'insegnamento, indicando gli effetti di salvezza dall'Eucaristia: il calice e il pane eucaristici sono "comunione con il sangue di Cristo" e "comunione con il corpo di Cristo" e creano comunione tra i cristiani: "Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane". Dopo la profezia e il compimento, ecco i frutti di salvezza: nasce la Chiesa.

La celebrazione eucaristica - sottolinea la Costituzione "Lumen Gentium" del Concilio Vaticano II - è "fonte e culmine di tutta la vita cristiana"; mentre la Chiesa "fa/celebra" l'Eucaristia, ecco che l'Eucaristia "fa/costruisce" la Chiesa.

Commento a cura di Agenzia SIR

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Solennità del SAntissimo COrpo e SAngue di Gesù (ANNO A) 18 giugno 2017

tratto da www.lachiesa.it