23 aprile 2017 - Ottava di Pasqua o Domenica della Divina Misericordia: praticare la misericordia per ricostruire il tempio di Dio che è in noi

News del 22/04/2017 Torna all'elenco delle news

Ci riempiamo spesso la bocca di essere misericordiosi e di praticare la misericordia, forti dell'insegnamento che ci viene dal Signore Risorto che, apparendo agli apostoli, nella sera stessa della sua risurrezione, conferisce loro il mandato del perdono e della riconciliazione, ma in realtà non siamo affatto misericordiosi, né viviamo la misericordia come condizione fondamentale dell'essere cristiani. I fatti lo dimostrano e la vita conflittuale in cui ci troviamo spesso non depongono a favore del perdono. Questa seconda domenica di Pasqua, che san Giovanni Paolo II, ha istituito per annunciare e vivere la misericordia di Dio nella Chiesa e fuori della Chiesa, ci invita a recuperare questo aspetto fondamentale dell'essere e vivere da cristiani nel mondo, soprattutto, oggi, dove la misericordia deve essere effettivamente vissuta per portare al mondo la pace e la riconciliazione di fronte a tanti conflitti, guerre e divisioni.

Nella preghiera iniziale della celebrazione dell'eucaristia di questa Domenica in Albis, ci rivolgiamo a Dio con queste parole: "Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati a una speranza viva mediante la risurrezione del tuo Figlio, accresci in noi, sulla testimonianza degli apostoli, la fede pasquale, perché aderendo a lui pur senza averlo visto riceviamo il frutto della vita nuova".

Prima condizione. La misericordia di Dio va vissuta nella comunità dei credenti. Dobbiamo ripartire dalle nostre comunità, sull'esempio di tutti i battezzati della prima comunità di Gerusalemme che, come ci ricorda la prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli apostoli "erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere".

Seconda condizione. La misericordia nasce dalla conoscenza della parola di Dio, nella condivisione dei progetti, nella frazione del pane, ovvero dalla partecipazione all'eucaristia e dalla preghiera". Insegnamento, comunione, ovvero koinonia, eucaristia e preghiera sono i quattro pilastri dell'edificio spirituale su cui si poggia la misericordia all'interno della comunità dei credenti. Questo modo di essere e di vivere dei cristiani, fa miracoli, come ci ricorda il testo della prima lettura di oggi: "un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli".

Terza condizione. La comunione e la condivisione dei beni diventa un fatto spontaneo, senza forzature o pressioni, leggi e norme da dettare per arrivare a questo fine, come purtroppo avviene da sempre in tanti ambiti, anche ecclesiali: "Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno". La legge dell'amore, della carità e della solidarietà che nasce dal cuore, supera tutte le leggi scritte dagli uomini e tutte le norme che si stabiliscono, di volta in volta, per togliere dalle tasche dei poveri, quel poco che hanno, per darlo ai ricchi che continuano ad arricchirsi a danno dei poveri.

Quarta condizione. La misericordia passa attraverso la giustizia ed un'equa distribuzione dei beni. Lo stesso salmo 117 che accompagna la preghiera della comunità, oggi in questa domenica della divina misericordia, ci invia a rendere grazie al Signore, perché è buono e il suo amore dura in eterno. Questo dire grazie è soprattutto quando il Signore ci è vicino nella prova e nella sofferenza, quando la vita ci appare difficile e Lui la rende facile, perché nostra forza e nostra gioia è il Signore. Anche quando, come Lui, siamo scartati ed esclusi, alla fine ritorna a nostra utilità spirituale la via dell'umiltà, del silenzio e dell'esclusione.

Da queste strade si riparte per ricostruire il tempio di Dio che è in noi. Infatti, nel brano della seconda lettura di oggi, tratta dalla prima lettera di San Pietro apostolo, il principe degli apostoli rende lode al Signore per la grande misericordia che ha concesso, mediante il mistero della morte e risurrezione di Gesù Cristo, all'umanità intera. Rigenerati nella vita della grazia, mediante il battesimo, siamo chiamati ad essere uomini e donne della gioia, della speranza, della fede che travalica i confini di ogni limite umano. "Perciò - scrive san Pietro - siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po' di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell'oro - destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco -, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime". Una fede nel Risorto che non può passare assolutamente attraverso la verifica della conoscenza umana e scientifica, della dimostrabilità delle cose reali, ma che si fonda sull'amore e guarda verso gli orizzonti della vita eterna. Nell'abbondono totale alla parola di Dio, nell'affidarci, confidarci e fidarci del Signore dobbiamo superare "la logica tommasea", che pur comprensibile umanamente e legittimata su un piano scientifico, non trova ragion d'essere di fronte alla Parola del Signore, che è parola vera e certa e che va accolta con la fede.

Convinti che fede e ragione devono camminare insieme, siamo consapevoli che dove non arriva la ragione, la fede è quell'ala indispensabile per volare verso il cielo, per incontrare il Dio vero ed eterno.

Perciò, nel Vangelo della domenica della Divina Misericordia, troviamo il brano dell'evangelista Giovanni che ci racconta dell'apparizione di Gesù agli apostoli nel giorno stesso della risurrezione e otto giorni dopo, mentre stavano nel cenacolo, tutti paurosi ed in attesa di segni nuovi.

Nella prima apparizione, con i segni della sua passione, quando non era presente Tommaso (fatto emblematico), Gesù dà mandato agli apostoli e li invia nel mondo quali messaggeri e ministri del perdono, dicendo loro queste parole: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi»...«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

L'Evangelista Giovanni evidenzia che "Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù". Tutti gli apostoli dissero a Tommaso: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Entra in campo la razionalità umana, la critica, la discussione, il dubbio. Tommaso ha bisogno di verificare e non a caso è passato alla storia e alla cultura come l'apostolo del credere dopo aver costatato di persona. Cosa che di fatto avvenne, "otto giorni dopo, quando i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Messaggio più bello e invito più autentico non poteva venire dalla bocca del Risorto con i segni della Passione: credere e basta, ma credere su una parola, quella del Figlio di Dio che ha dato la sua vita per noi.

Non è una filosofia la sua, non è una nuova scienza matematica o naturale, la sua scienza è la sapienza della croce e della risurrezione, è la scienza dell'amore e del dono.

Credere è affidarsi a questa sapienza. Credere significa aprire il cuore, il mio, il nostro cuore, alla misericordia per chiedere misericordia e perdono e per dare misericordia.

Nella Domenica della Divina Misericordia, inginocchiamoci davanti al Signore Crocifisso e Risorto per chiedere perdono per i nostri peccati e quelli del mondo intero. Peccati che nascono dalla presunzione e dall'orgoglio di mettere il nostro io al posto del vero ed unico Dio.

Omelia di padre Antonio Rungi (La Chiesa della misericordia per praticare la misericordia)

 

Credere, via che dona vita e libertà

I discepoli erano chiusi in casa per pau­ra dei Giudei. Hanno tradito, sono scappati, hanno paura: che cosa di me­no affidabile di quel gruppetto allo sban­do? E tuttavia Gesù viene. Una comunità dove non si sta bene, porte e finestre sbar­rate, dove manca l'aria. E tuttavia Gesù viene. Non al di sopra, non ai margini, ma, dice il Vangelo «in mezzo a loro». E dice: Pa­ce a voi. Non si tratta di un augurio o di u­na promessa, ma di una affermazione: la pace è. È scesa dentro di voi, è iniziata e viene da Dio. È pace sulle vostre paure, sui vostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulle insoddisfazioni che scolorano i gior­ni. Poi dice a Tommaso: Metti qui il tuo di­to; tendi la tua mano e mettila nel mio fian­co.

Gesù va e viene per porte chiuse, nel ven­to sottile dello Spirito. Anche Tommaso va e viene da quella stanza, entra ed esce, li­bero e coraggioso. Gesù e Tommaso, loro due soli cercano. Si cercano.

Tommaso non si era accontentato delle parole degli altri dieci; non di un raccon­to aveva bisogno ma di un incontro con il suo Maestro. Che viene con rispetto tota­le: invece di imporsi, si propone; invece di ritrarsi, si espone alle mani di Tommaso: Metti, guarda; tendi la mano, tocca.

La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra del­le ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare: quelle fe­rite sono la gloria di Dio, il punto più alto dell'amore, e allora resteranno eterna­mente aperte. Su quella carne l'amore ha scritto il suo racconto con l'alfabeto delle ferite, indelebili ormai come l'amore stes­so.

Il Vangelo non dice che Tommaso abbia davvero toccato, messo il dito nel foro. A lui è bastato quel Gesù che si ripropone, ancora una volta, un'ennesima volta, con questa umiltà, con questa fiducia, con questa libertà, che non si stanca di venire incontro. È il suo stile, è Lui, non ti puoi sbagliare. Allora la risposta: Mio Signore e mio Dio. Mio come il respiro e, senza, non vivrei. Mio come il cuore e, senza, non sa­rei. Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Grande educatore, Gesù. Educa alla li­bertà, ad essere liberi dai segni esteriori, e alla serietà delle scelte, come ha fatto con Tommaso. Che bello se anche nella Chie­sa, come nella prima comunità, fossimo e­ducati più alla consapevolezza che all'ub­bidienza; più all'approfondimento che al­la docilità. Queste cose sono state scritte perché cre­diate in Gesù, e perché, credendo, abbia­te la vita. Credere è l'opportunità per es­sere più vivi e più felici, per avere più vita: «ecco io carezzo la vita, perché profuma di Te!» (Rumi).

Omelia di padre Ermes Ronchi

Liturgia e Liturgia della Parola della Domenica della Divina Misericordia (Anno A) 23 aprile 2017

tratto da www.lachiesa.it