16 ottobre 2016 - XXIX Domenica del Tempo Ordinario: la lezione della preghiera che non si arrende

News del 15/10/2016 Torna all'elenco delle news

Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre. E a noi pare un obiettivo impossibile da raggiungere. Ma il pregare sempre non va confuso con il recitare preghiere senza interruzione, Gesù stesso l'ha detto: quando pregate non moltiplicate parole. Vale più un istante nell'intimità che mille salmi nella lontananza (Evagrio il Pontico). Perché pregare è come voler bene. Infatti c'è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami sempre. Così è con Dio: «il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre» (S. Agostino).

Il Vangelo ci porta a scuola di preghiera da una vedova, una bella figura di donna, forte e dignitosa, che non si arrende, fragile e indomita al tempo stesso. Ha subito ingiustizia e non abbassa la testa.

C'era un giudice corrotto. E una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario!

Gesù lungo tutto il Vangelo ha una predilezione particolare per le donne sole, perché rappresentano l'intera categoria biblica dei senza difesa, vedove orfani forestieri, i difesi da Dio.

Una donna che non si lascia schiacciare ci rivela che la preghiera è un "no" gridato al "così vanno le cose", è come il primo vagito di una storia nuova che nasce.

Perché pregare? È come chiedere: perché respirare? Per vivere. La preghiera è il respiro della fede. Come un canale aperto in cui scorre l'ossigeno dell'infinito, un riattaccare continuamente la terra al cielo. Come per due che si amano, il respiro del loro amore.

Forse tutti ci siamo qualche volta stancati di pregare. Le preghiere si alzavano in volo dal cuore come colombe dall'arca del diluvio, ma nessuna tornava indietro a portare una risposta. E mi sono chiesto, e mi hanno chiesto, tante volte: ma Dio esaudisce le nostre preghiere, si o no? La risposta di un grande credente, il martire Bonhoeffer è questa: «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse». E il Vangelo ne è pieno: non vi lascerò orfani, sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine del tempo.

Non si prega per cambiare la volontà di Dio, ma il cuore dell'uomo. Non si prega per ottenere, ma per essere trasformati. Contemplando il Signore veniamo trasformati in quella stessa immagine (cfr 2 Corinzi 3,18). Contemplare, trasforma. Uno diventa ciò che contempla con gli occhi del cuore. Uno diventa ciò che prega. Uno diventa ciò che ama.

Infatti, dicono i maestri dello spirito «Dio non può dare nulla di meno di se stesso, ma dandoci se stesso ci dà tutto» (Santa Caterina da Siena). Ottenere Dio da Dio, questo è il primo miracolo della preghiera. E sentire il suo respiro intrecciato per sempre con il mio respiro. 

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

La violenza della preghiera

Credo sia capitato a diversi di noi di trovarci a chiedere con insistenza qualcosa a Dio: una grazia, un aiuto, un favore, un sostegno nei momenti di difficoltà. Ci sta, il fatto di essere insistenti con Dio: è anche sinonimo di fiducia in lui, nella stragrande maggioranza dei casi, e in fondo non è che stiamo chiedendo chissà cosa. Noi siamo limitati, poveri, mortali, incapaci e indifesi, di fronte agli attacchi della vita: e allora, se non ci dà retta lui, chi ci dà retta? Quindi, se notiamo un certo silenzio da parte sua, non dobbiamo aver paura a farci avanti esigendo ciò che ci spetta. In fondo, assumiamo il medesimo atteggiamento della vedova del Vangelo, che insiste presso il giudice irriguardoso perché le faccia giustizia, secondo quanto le spetta per diritto. Per inquadrare correttamente la parabola che abbiamo ascoltato, non vanno dimenticate due cose riguardanti l'ambiente giudaico.

Innanzitutto, la figura della vedova: insieme all'orfano, nella Bibbia è la categoria maggiormente abbandonata dalla società, e di essa è direttamente Dio - e chi agisce in suo nome - a farsi carico. Quindi, in una società in cui tutto è retto dalla volontà di Dio, anche e soprattutto la legge, la vedova in questione non sta chiedendo favori particolari al giudice, sta solo reclamando il diritto di essere difesa, perché nessun altro lo fa per lei. E qui entra in campo la seconda figura, quella del giudice, che essendo l'uomo che fa rispettare la legge (intesa però come legge di Dio, e non degli uomini), è tenuto a essere non un arbitro imparziale, ma colui che esercita la giustizia in nome di Dio, una giustizia che salva e libera chi - come la vedova - è sfruttato e oppresso. Quindi, il giudice non può essere imparziale di fronte alla legge, perché la legge di Dio è parziale, fa preferenze: difende sempre i poveri e gli oppressi. Per il nostro ordinamento giuridico e per la nostra mentalità cresciuta sulla base del diritto romano, una cosa di questo tipo è inconcepibile e profondamente ingiusta: la legge è uguale per tutti, va applicata per ciò che è, e il giudice deve essere arbitro imparziale che fa rispettare la legge a chiunque. Per la mentalità biblico-giudaica, un giudice che "non teme Dio", e che nemmeno per gli uomini "ha riguardo" è totalmente inconcepibile. È un giudice ingiusto, anche se imparziale di fronte alla legge.

Dicevo all'inizio che pure a noi è capitato di essere insistenti, nelle nostre preghiere, con un Dio che a volte pare faccia fatica ad ascoltarci, quasi fosse pure lui un giudice - imparziale e ingiusto allo stesso tempo - che non fa caso a chi si rivolge a lui per essere aiutato. Ma credo onestamente che a nessuno di noi sia mai balenato per la mente di "fare un occhio nero a Dio" per colpa della sua apparente sordità alle nostre suppliche... prendercela con Dio può pure starci, ma senza l'intenzione di fargli del male o di arrivare a minacciarlo... sarebbe quantomeno grottesco! Eppure, con il beneficio d'inventario che la comparazione della parabola ci esige, la vedova del Vangelo arriva a essere talmente insistente con il giudice che questi si sente minacciato fisicamente! Sì, perché questo è il significato originario del termine greco che traduce la frase "perché non venga continuamente a importunarmi": la preoccupazione del giudice di non dover girare con un occhio nero era forse dovuta al fatto che si sentiva minacciato fisicamente da chi avrebbe potuto prendere le difese della vedova, cosa che probabilmente non era così infrequente, ma che soprattutto avrebbe causato un crollo della sua reputazione professionale. E così, per pura convenienza, fa giustizia alla vedova oppressa e sfruttata adottando gli stessi criteri di Dio; il quale, invece, non ha bisogno che l'umanità giunga a minacciarlo perché egli eserciti la giustizia, perché "egli fa giustizia prontamente ai suoi eletti che gridano giorno e notte a lui".

Il problema, allora, non è il silenzio di Dio di fronte alle ingiustizie, ma il nostro silenzio, la nostra inedia, la nostra accidia, il nostro disinteresse, che non denota altro se non una mancanza di fede in un Dio che può veramente ribaltare le sorti del mondo, se ci si affida a lui. Diamine! Un giudice irriguardoso riesce a ribaltare la sorte di una povera vedova condannata all'ingiustizia per via della sua insistente e quasi minacciosa preghiera, volete che Dio non sappia ascoltare il grido e l'anelo dell'umanità? Il problema è che l'umanità, oggi più che allora (ecco perché Gesù usa un verbo al futuro), denota di non avere più la minima dose di fede in un Dio che può veramente instaurare un regno di giustizia, se l'umanità gli dimostra di crederci veramente pure lei.

Se l'umanità dimostrasse di credere veramente in un mondo più giusto e più solidale, farebbe di tutto per ottenere da Dio la forza necessaria per cambiare il mondo; se l'umanità dimostrasse di credere in un Dio giusto e difensore dei poveri, non si farebbe nessun riguardo a pregarlo, a implorarlo giorno e notte, a chiedere a lui di indicargli la via giusta perché il suo Regno di giustizia si instauri nel mondo! Se l'umanità avesse fede, e la dimostrasse, e la coltivasse, invece di implorarla da Dio come fosse un distributore automatico di grazie (non dimentichiamoci: "Aumenta la nostra fede!, è il grido privo di responsabilità dei discepoli all'inizio di questa dottrina lucana sulla fede), allora l'unica violenza che userebbe per ottenere giustizia, l'unica arma per "fare un occhio nero" a chi non ha riguardi per il povero sarebbe quella della preghiera, della semplice preghiera di abbandono e di fiducia in Dio.

Non furono le armi di Israele a sconfiggere Amalek: furono le braccia alzate di Mosè, alzate con insistenza da Cur e da Aronne...vorrà pur insegnarci qualcosa, tutto questo?

Omelia di don Alberto Brignoli

 

Tre buoni motivi per continuare a pregare

"La salvezza si ottiene mediante la fede", ricorda oggi Paolo al suo discepolo (seconda lettera a Timòteo 3,15): quella fede, dice il vangelo (Luca 8,18), che trova espressione nel modo in cui preghiamo. Per illuminarci in proposito, Gesù narra una breve parabola.

"In una città viveva un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario! Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho riguardo per nessuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi".

Lo scopo per cui Gesù ha narrato il caso è spiegato dalla premessa ("Una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi") e dalla conclusione: se persino un disonesto si piega alle richieste, "Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano notte e giorno verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?"

Domanda misteriosa e inquietante, quella che chiude il brano, come inquietante è che un giudice faccia il suo dovere solo per togliersi un fastidio A parte ciò, sul tema del discorso ("pregare sempre, senza stancarsi mai") par di sentire l'obiezione di molti (A che serve? Tante volte ho pregato e ripregato, ma non ho ottenuto quanto chiedevo...), accampata per giustificare il loro non pregare più. A chi lamenta di non essere stato esaudito, danno risposta altre indicazioni di questo stesso brano.

Primo, occorre pregare con fede autentica, e non è detto che la nostra sempre lo sia; talora somiglia a quella che canta Ornella Vanoni: "proviamo anche con Dio, non si sa mai". Questa non è fede, ma superstizione; Dio non è un'opzione tra le altre, non è il tappabuchi che può risolvere quanto non si è riusciti a ottenere in altro modo: a lui ci si rivolge con la piena, incondizionata fiducia che egli è Padre, premuroso ma anche sapiente; lui sa che cosa va bene per noi, e non sarebbe un buon padre se ci desse quello che, nell'immediato o in futuro, egli sa che ci sarebbe non di vantaggio ma di danno.

In altre parole - ed è la seconda indicazione offerta da questo brano - Dio "fa giustizia", cioè fa ciò che è giusto. Possiamo chiedergli quello che a noi pare opportuno o conveniente, ma con la fede di chi si rimette al suo giudizio, si mette nelle sue mani, accetta la sua volontà anche quando discorda dalla nostra. Così Gesù ci ha insegnato, invitandoci a chiedere nel "Padre nostro" che "Sia fatta la tua volontà", e così ci ha insegnato con l'esempio, quando nell'orto degli ulivi, nell'imminenza della sua passione, ha pregato dicendo: "Padre, se possibile passi da me questo calice; però non come voglio io, ma come vuoi tu". Sublime modello! La preghiera autentica non sta nel tentare di piegare Dio al nostro volere, ma nel cercare di mettersi nella sua ottica, inserendosi nel progetto che egli ha sul mondo e su ciascun uomo, convinti che si tratta di un progetto di bene per i singoli e per l'intera umanità.

La terza indicazione deriva dalla frase finale. La vera piena giustizia si attuerà "quando il Figlio dell'uomo - cioè lo stesso Gesù - verrà" a prenderci da questa vita e, se ci troverà aderenti alla fede, ci trasferirà là dove tutti e per sempre sono felici di fare la volontà di Dio. La perfezione non è di questo mondo, inquinato dal male: per guarire il quale tuttavia egli ci ha dato la ricetta, riassumibile appunto nel fare la sua volontà. Se tutti gli uomini si preoccupassero di questo, ad esempio osservando i comandamenti, cadrebbero tante nostre richieste, perché non ci sarebbero più soprusi, violenza, miseria eccetera. Questo mondo non sarebbe già il paradiso, ma ci andrebbe vicino.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 16 ottobre 2016

tratto da www.lachiesa.it