2 ottobre 2016 - XXVII Domenica del Tempo Ordinario: Amore, servizio, soprattutto gratuità, è qui che si gioca la nostra vita di fede!

News del 02/10/2016 Torna all'elenco delle news

Ai suoi discepoli Gesù chiede una fede disinteressata proprio perché movimento di abbandono generato dall'amore di Dio, riconosciuto e accolto, a cui si tenta di dare una risposta.

1. Questa e la prossima domenica si concentrano sulla fede del credente. Il giusto vivrà per la sua fede può essere il tema di oggi. Il cristianesimo in particolare è chiamato ad essere religione della fede: atto di fiducia in Gesù che rivela il Padre. Su questo atto di fiducia si fonda l'esistenza cristiana che proprio per questo non è anzitutto adesione a una dottrina, ma adesione a una persona. 

2. Rispondeva allo stile della predicazione di Gesù, profetico e sapienziale al tempo stesso, il richiamare l'attenzione dei suoi ascoltatori attraverso immagini e situazioni che colpivano la fantasia di costoro, vuoi per la loro più dimessa quotidianità (le parabole), vuoi per la loro accesa paradossalità (l'iperbole). Tanto la parabola quanto l'iperbole erano finalizzate a rappresentare, a rendere cioè presente un aspetto del mistero del Regno. Qual è l'elemento di contiguità tra un granellino di senapa, un gelso sradicato e trapiantato nel mare e la fede? Il seme della senapa si distingueva per le sue dimensioni microscopiche, divenute proverbiali. Stupefacente è poi la sua capacità di sprigionare un arbusto alto fino a tre metri. In questa irrefrenabile dinamicità di un elemento in sé minimo, Gesù coglie la forza della fede a prescindere dalla sua "taglia". 

Ma Gesù cosa intendeva per fede? Non certo un insieme, più o meno organico, di formulazioni dogmatiche (le nostre "verità di fede"), ma un atteggiamento di obbedienza nei confronti di Dio, una disponibilità interiore a eseguire anche esteriormente la sua volontà. Questa obbedienza era motivata dalla fiducia nel Dio dell'esodo e dell'alleanza, il rispetto della quale comportava una vita gioiosa per il singolo e per il popolo. Avere fede in Dio, quindi, equivaleva a essergli fedeli e fidarsi di lui e, in conseguenza di ciò, a godere una ‘solidità' esistenziale. Questa concezione affondava le sue radici nel terreno composto da alcuni brani dell'Antico Testamento, tra cui quello che oggi costituisce la 1ª lettura. 

Luca imprime alcuni tratti alla parabola di Gesù capaci di farci cogliere anche una valenza ecclesiale. Molti verbi indicano il ministero nella comunità: uscire nel campo, cioè svolgere l'attività missionaria; pascolare il gregge, ovvero reggere la comunità dei credenti; mangiare e bere, ossia presiedere la cena eucaristica. In tutto ciò i responsabili esercitano il loro servizio alla comunità in virtù di un mandato del Signore. Nel fare tutto ciò i ministri non devono accampare diritti nei confronti di Dio, né trarre motivo di vanto rispetto agli altri fedeli. Il loro modello rimane Gesù, signore perché si è fatto servo di tutti. È, in fondo, la medesima intenzione che anima le raccomandazione contenute nella 2ª lettura. 

3. Il tema della fede e della fiducia intesse il brano evangelico di oggi, aperto dalla domanda dei discepoli: "Signore, aumenta la nostra fede!". Gesù risponde con due immagini folgoranti: il granellino di senapa e la disponibilità del servo. 

Il gelso - sembra dire Gesù - è un albero che ha radici ben radicate nella terra, è resistente ai venti eppure... la fede, anche se piccola e ridotta al lumicino, anche se simile al microscopico seme della senapa, ha la forza di strappare ciò che è consolidato, ha la capacità di ribaltare i destini, di trasformare la storia, di trapiantare nel mare ciò che può vivere solo nella terra come il gelso. La fede da granellino di senapa: non quella sicura e spavalda, ma quella che nella sua fragilità ha ancora più bisogno di Dio, che nella sua piccolezza ha ancora più fiducia in lui. È la fede che ci dà la capacità di guardare con ottimismo le vicende della vita, che anima la nostra speranza, che ci rende capaci di accettare anche i momenti di sofferenza, perché chi ha fede sa che il male non trionferà mai definitivamente, che ci aiuta a vivere e a lottare per la giustizia. 

"Se aveste fede quanto un granellino di senape...". Come posso sapere se ho fede? Gesù risponde indicando qual è la misura della fede: essere servo. E lo fa con una parabola, a prima vista un po' fastidiosa, che sembra essere dominata dalla figura di un padrone egoista e indifferente. Ma non è lui il centro della parabola; il soggetto dominante, invece, è il servo con il suo atteggiamento. L'uomo di fede nei confronti di Dio deve scegliere un comportamento di totale disponibilità, senza calcoli o contratti o limiti. Salta, quindi, la concezione "economica" della religione; il rapporto tra Dio e l'uomo non è quello che intercorre tra un datore di lavoro e un salariato, con clausole, diritti ed esigenze di giustizia ben precise e necessarie. L'uomo deve donarsi a Dio con amore; il rapporto è molto più simile a quello dell'amore nuziale in cui la donazione è libera e totale e non conosce ore e tempi, premi e ricompense. "Siamo servi inutili...". "Inutile" in origine significa "senza pretese, senza esigenze, senza rivendicazioni", siamo servi che di nulla hanno bisogno se non di essere se stessi, la loro gloria è di aver servito. Quanto c'è da cambiare nella nostra vita di fede! La fede, come l'amore, non recrimina, non accampa diritti, non è il contraccambio offerto a Dio in seguito a un suo dono, ma è la risposta che il dono divino ha acceso e provocato in noi. Quanta mentalità di contabilità matematica bisogna cancellare! 

Quanti cristiani tengono una contabilità minuziosa delle loro opere e la considerano una sicura garanzia per il paradiso che li attende. Hanno una coscienza notevole dei loro meriti e della gratitudine che Dio deve nutrire nei loro confronti. E talora scappa loro di bocca qualche recriminazione per non essere stati trattati adeguatamente, come si meriterebbero... Alla religione dell'obbligo e del minimo necessario - spesso presente nelle nostre comunità - Gesù sostituisce l'adesione della fede; alla spiritualità del precetto, Gesù sostituisce quella della libertà gioiosa, al calcolo del merito, Gesù sostituisce il primato della grazia. 

Ai suoi discepoli Gesù chiede una fede disinteressata proprio perché movimento di abbandono generato dall'amore di Dio, riconosciuto e accolto, a cui si tenta di dare una risposta. Questa fede ci chiede Gesù. E non ne esige nemmeno una grande quantità. Ne basta tanto quanto un granello di senapa - il più piccolo tra i semi, quasi invisibile - per produrre effetti inattesi e meravigliosi. È la fede che accetta le responsabilità, ma sa allontanarsene per lasciare il posto agli altri. Con la serenità e la bontà di sempre.

Omelia di don Antonio Mastantuono (Tratto da "Il Pane della Domenica". Meditazione sui Vangeli Festivi, Ave, Roma 2009)

 

La fede, un «niente» che può «tutto»

Gesù ha appena avanza­to la sua proposta 'uni­ca misura del perdono è perdonare senza misurà, che agli Apostoli appare un obietti­vo inarrivabile, al di là delle lo­ro forze, e sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede. Da soli non ce la faremo mai.

Gesù però non esaudisce la ri­chiesta, perché non tocca a Dio aggiungere, accrescere, au­mentare la fede, non può farlo: essa è la libera risposta dell'uo­mo al corteggiamento di Dio.

Gesù cambia la prospettiva da cui guardare la fede, introdu­cendo come unità di misura il granello di senape, proverbial­mente il più piccolo di tutti i semi: non si tratta di quantità, ma di qualità della fede. Fede come granello, come briciola; non quella sicura e spavalda ma quella che, nella sua fragi­lità, ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria picco­lezza ha ancora più fiducia nel­la sua forza. Allora ne basta un granello, po­ca, anzi meno di poca, per ot­tenere risultati impensabili. La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare alberi e la leggerezza di farli volare sul mare: se aveste fede come un granello di se­nape, potrete dire a questo gel­so sradicati.

Io ho visto alberi volare, ho vi­sto il mare riempirsi di gelsi. Ho visto, fuori metafora, discepoli del Vangelo riempire l'orizzon­te di imprese al di sopra delle forze umane.

Segue poi poi una piccola pa­rabola sul rapporto tra padro­ne e servo, che inizia come una fotografia della realtà: Chi di voi, se ha un servo ad arare, gli dirà, quando rientra: Vieni e mettiti a tavola? E che termina con una proposta spiazzante, nello sti­le tipico del Signore: Quando a­vete fatto tutto dite: siamo servi inutili. Capiamo bene: servo i­nutile significa non determi­nante, non decisivo; indica che la forza che fa crescere il seme non appartiene al seminatore; che la forza che converte non sta nel predicatore, ma nella Pa­rola. «Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore» (Rumi).

Allora capisco che chiedere «ac­cresci la mia fede» significa do­mandare che questa forza vivi­ficante entri come linfa nelle vene del cuore.

Servo inutile è colui che, in una società che pensa solo all'utile, scommette sulla gratuità, sen­za cercare il proprio vantaggio, senza vantare meriti. La sua gioia è servire la vita, custo­dendo con tenerezza coloro che gli sono affidati. Mai nel Vangelo è detto inutile il servi­zio, anzi esso è il nome nuovo, il nome segreto della civiltà. È il nome dell'opera compiuta da Gesù, venuto per servire, non per essere servito. Come lui an­ch'io sarò servo, perché questo è l'unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Quanta fede o quale fede?

Che cos'è la fede? E soprattutto, come si misura, come si determina? In base a quale criterio possiamo dire che una persona ha più fede o meno fede di un'altra? Quella che a noi balza direttamente agli occhi è la frequentazione dei luoghi di culto da parte di un soggetto. Quando vediamo qualcuno andare spesso in chiesa e partecipare con frequenza alla vita della comunità parrocchiale, ci viene quasi di immediato da pensare che quella è una persona che ha fede, identificando così la fede con la "pietà", ovvero quantomeno con la dimensione liturgica e sacramentale, visto che con fatica possiamo determinarne la dimensione più profonda, cioè quella spirituale. E ci capita pure di manifestare un senso di inadeguatezza, o addirittura di inferiorità, rispetto a chi, ai nostri occhi, dimostra una fede forte e poco comune: "Tu sì che hai fede", "Io non ho tutta quella fede che hanno certe persone", "Anche a me piacerebbe credere come fanno tanti", sono tutte espressioni che fanno parte del nostro lessico abituale.

Fortunatamente, il contatto più frequente con la Parola di Dio e in modo particolare la lettura del Vangelo di Luca che ci sta accompagnando in questo anno liturgico, ci aiutano a comprendere che non è esattamente così, e che la fede di una persona non si misura dalle volte in cui va a messa, o dalla sua osservanza delle norme e dei precetti della religione, o dalla sua irreprensibilità morale: altrimenti, il sacerdote e il levita della parabola del samaritano, così come il fratello maggiore del figliol prodigo sarebbero certamente da additare a esempi di fede, data la loro irreprensibilità di fronte ai comandamenti di Dio. Il quale, tuttavia, non guarda certo all'esteriorità del culto e alla apparente santità di vita, ma a quegli atteggiamenti del cuore che - il Vangelo di Luca ce lo ricorda in mille modi - si traducono spontaneamente in gesti d'amore, di carità, di servizio ai fratelli.

È proprio questo modo nuovo di interpretare la fede che spinge i Dodici a implorare a Gesù una fede più grande: "Accresci in noi la fede". Questo grido, che spesso è anche il nostro grido, a me sa molto di incapacità ad assumersi ognuno le proprie responsabilità. Chiedere a Dio che sia lui a dare maggior spessore alla nostra fede può significare, in fondo, che la fede è un dono di Dio al quale pensa lui in tutto e per tutto: Dio ci dona la fede, la aumenta in seguito alla nostra richiesta, ci fa diventare sempre più santi con una serie di pratiche da lui determinate, e noi siamo a posto, siamo salvi facendo il minor sforzo possibile. Io non sono così convinto che la fede sia un regalo concesso da Dio all'uomo e preconfezionato in modo tale che l'uomo deve solo invocarlo e accoglierlo: sono invece convinto che il dono di Dio è la Rivelazione, l'annuncio del messaggio, la storia della Salvezza fatta carne nel Figlio, a cui l'uomo è chiamato a rispondere appunto con il proprio assenso, appunto con la fede.

Ciò che dobbiamo chiedere a Dio, forse, non è una maggior quantità di fede, ma di farci comprendere cosa significhi credere in lui, perché la nostra risposta alla Rivelazione del suo amore sia adeguata. Ecco allora il perché della risposta che Gesù dà nel Vangelo: non è questione di "quantità" di fede, perché per quello sarebbe sufficiente averne tanta come un seme di senape. La questione è: cos'è la tua fede, cosa significa credere. E Gesù non fa altro che ribadire quello che da diverse domeniche, ormai, cerca di metterci in testa: la fede non è un insieme di precetti da osservare o di leggi da rispettare (come era nell'esperienza del popolo dell'Esodo), ma è vita di carità, di attenzione agli altri, di cura verso i poveri. In una parola, la fede è mettersi a servizio.

È mettersi a servizio dell'umanità sofferente, caduta sotto i colpi del male, come fece il buon samaritano; è mettersi a servizio di Cristo, che passa in mezzo a noi come ospite e pellegrino, come fecero Marta e Maria nella loro casa, o come l'uomo che dà un pane all'amico che bussa di notte alla sua porta; è mettersi al servizio del povero, con i beni di questo mondo, lontani dall'atteggiamento degli uomini ricchi che fanno i conti su se stessi, o che banchettano lautamente senza pensare ai poveri che stanno alla loro porta, ma piuttosto sfruttando la disonesta ricchezza per crearsi relazioni profonde e durature; è mettersi al servizio degli altri sull'esempio del signore che tornando tardi di notte e trovando i servi ancora svegli, si cinge i fianchi e passa a servirli.

Oggi, ci chiede proprio di imitare il suo esempio e di fare come lui: essere sempre pronti e attenti alle necessità dei fratelli, senza la pretesa, poi, che egli ci debba premiare o lodare per ciò che facciamo. Perché il nostro servizio agli altri, in fondo, non è un merito e tantomeno ci acquista meriti: non è altro se non ciò che dovevamo fare. Così è la vita di fede: risposta, nell'amore e nel servizio, a un Dio che si rivela a noi come servo dell'uomo, profondamente innamorato della nostra umanità.

Amore, servizio, ma soprattutto gratuità: è qui che si gioca la nostra vita di fede. Teniamolo a mente, soprattutto per quelle volte in cui pretendiamo che il nostro impegno, le nostre attività, il tempo che dedichiamo agli altri, ci venga riconosciuto e ascritto a nostro merito. Siamo servi inutili: qualunque gesto di carità e di servizio fatto agli altri, grande o piccolo che sia, non è altro che il nostro dovere.

Omelia di don Alberto Brignoli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 2 ottobre 2016