18 settembre 2016 - XXV Domenica del Tempo Ordinario: è la cura delle creature la sola misura dell'eternità

News del 17/09/2016 Torna all'elenco delle news

Un peccatore che fa lezione ai discepoli, Gesù che mette sulla cattedra un disonesto. E mentre lo fa, lascia affiorare uno dei suoi rari momenti di scoramento: i figli di questo mondo sono più scaltri di voi, figli della luce. Imparate, fosse anche da un peccatore.

L'amministratore disonesto fa una scelta ben chiara: farsi amici i debitori del padrone, aiutarli sperando di essere aiutato da loro.

Ed è così che il malfattore diventa benefattore: regala pane e olio, cioè vita. Ha l'abilità di cambiare il senso del denaro, di rovesciarne il significato: non più mezzo di sfruttamento, ma strumento di comunione. Un mezzo per farci degli amici, anziché diventare noi amici del denaro.

E il padrone lo loda. Per la sua intelligenza, certo, ma mi pare poca cosa. Chissà, forse pensa a chi riceverà cinquanta inattesi barili d'olio, venti insperate misure di grano, alla gioia che nascerà, alla vita che tornerà ad aprire le ali in quelle case.

E qui il Vangelo regala una perla: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché, quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.

Fatevi degli amici. Gesù raccomanda, anzi comanda l'amicizia, la eleva a programma di vita, vuole che i suoi siano dei cultori dell'amicizia, il comandamento più gioioso e più umano.

Fatevi amici con la disonesta ricchezza. Perché disonesta? Giovanni Crisostomo scrive: potreste voi dimostrare che la ricchezza è giusta? No, perché la sua origine è quasi sempre avvelenata da qualche frode. Dio all'inizio non ha fatto uno ricco e uno povero, ma ha dato a tutti la stessa terra.

E aggiunge: amici che vi accolgano nelle dimore eterne.

Sulla soglia dell'eternità Gesù mette i tuoi amici, ed è alle loro mani che ha affidato le chiavi del Regno, alle mani di coloro che tu hai aiutato a vivere un po' meglio, con grano e olio e un briciolo di cuore.

La Porta Santa del tuo cielo sono i tuoi poveri. Nelle braccia di coloro ai quali hai fatto del bene ci sono le braccia stesse di Dio.

Questa piccola parabola, esclusiva del racconto di Luca, cerca di invertire il paradigma economico su cui si basa il nostro mondo, dove "ciò che conta, ciò che da sicurezza" (etimologia del termine aramaico "mammona") è il denaro.

Per Gesù, amico della vita, invece è la cura delle creature la sola misura dell'eternità.

Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza. Il culto della ricchezza, dare il cuore al denaro, esserne servi anziché servirsene, produce la malattia del vivere, la disidratazione del cuore, il tradimento del futuro: ami il tuo denaro, lo servi, e allora non c'è più nessun povero che ti apra le porte del cielo, che apra un mondo nuovo.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

La preghiere e la vita di cuori e mani puri

La parola di Dio di questa domenica, in questo anno della misericordia, ci invita ad elevarci a Dio con la mente e con il cuore, avendo dentro di noi sentimenti puri e comportamenti onesti. La preghiera delle persone corrotte, di chi sfrutta la gente, le umilia, le offende non può essere accetta a Dio e Dio non l'accoglie di certo. Bisogna convertirsi e rivolgere al Signore con il cuore contributo tutte le richieste di grazia e di provvidenza che Lui può soddisfare nei modi e nei tempi che decide Lui. Su questi temi impegnati, la parola di Dio di oggi, ci invita a fare un vero discernimento sul nostro modo di pensare e di agire nei confronti di Dio e degli altri.

Il profeta Amos denuncia apertamente, riguardo al suo tempo, la corruzione, le ingiustizie che erano evidenti in quel periodo, come in tutti i tempi della storia dell'umanità, che si lascia affascinare dal Dio denaro, dalla ricchezza e dal benessere, sfruttando, in molti casi, i sacrifici e le rinunce fatte dalle persone rette ed oneste, sensibili e quindi generose verso i povere e i bisognosi. Dio non perdona lo sfruttamento di ogni genere, specialmente chi specula sui bisogni degli altri. Questa terribile denuncia, vale più che mai ai nostri giorni. Sfruttamenti in ogni ambito, soprattutto dei bambini e delle donne, dei lavoratori, degli immigrati, di quanti per necessità chiedono un pezzo di pane e vengono maltrattati ed umiliati in vari modi. 

La preghiera che oggi la Chiesa rivolge al Signore, all'inizio della santa messa ci mette in guardia, proprio da comportamenti evidentemente contro la dignità delle persone, del lavoro e dal desiderio spasmodico di accumulare beni: "O Padre, che ci chiami ad amarti e servirti come unico Signore, abbi pietà della nostra condizione umana; salvaci dalla cupidigia delle ricchezze, e fa' che, alzando al cielo mani libere e pure, ti rendiamo gloria con tutta la nostra vita. 

Sulla dignità della persona, sulla sicurezza e sul valore della tranquillità è improntata la seconda di oggi, tratta dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo. L'apostolo Paolo raccomanda, prima di tutto, la preghiera, per tutti dai più grandi ai più piccoli nella scala delle considerazioni sociali e del potere pubblico. Il che l'apostolo lo motiva per il fatto che tutti possiamo condurre "una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio". La motivazione religiosa è esplicitata nei successivi versetti. Una richiesta di grande portata spirituale, umana e sociale soprattutto se applicata ai nostri contesti e alle realtà del mondo d'oggi, spesso in conflitto. Tutti pregano Dio, ma non tutti pregano per lo stesso motivo: quello della pace e della giustizia. Invece si invoca impropriamente il nome di Dio, si alzano mani al cielo, non per chiedere aiuto, ma per fare guerra agli altri, per uccidere e massacrare. Mani macchiate di sangue che si elevano al cielo non potranno mai avere risposta ed accoglienza da parte di Dio. Mani purificate dal lavacro della penitenza, della riconciliazione e del pentimento sincero con la soddisfazione del debito contratto potranno elevarsi al cielo nella speranza di essere esaudite. Il Vangelo di questa domenica, in cui si parla dell'amministratore disonesto ci fa capire, che arriva per tutti il tempo di rendere conto della propria vita, della gestione dei propri beni e quelli degli altri.

E il vangelo non si riferisce solo ai beni materiali, ma soprattutto ai beni spirituali, quelli che hanno valore per l'eternità. Alla fine il Vangelo loda quasi l'amministratore disonesto, non per le cose che ha fatto che sono deplorevoli, ma per la scaltrezza con la quale ha agito ai soli fini egoistici, personalistici ed affaristici. E conclude: "I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne". Ed infine, la lezione morale, il monito che viene dal racconto evangelico, o detto in termini nostri, la morale della favola è questa: "Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza".

Sappiamo quanta corruzione nel mondo e quanta gente, in tutti gli ambiente, specialmente in quelli in cui circolano i soldi, si lascia corrompere dal Dio denaro. Inizia con il poco, a rubare agli altri o al popolo, per arrivare progressivamente a furti sempre più consistenti. Perché la sete del guadagno facile non si estingue mai. E bisogna fare molto attenzione proprio a questo tipo di tentazione che si può insinuare nella vita di qualsiasi persona, pressata dal bisogno o semplicemente perché abituato a uno stile di vita elevato, in cui il denaro fa da regolatore di ogni attività umana. 

Scrive il grande santo vescovo d'Ippona: "Io vedo che voi avete tanto amore per il denaro da esserne spinti a intraprendere fatiche, sopportare digiuni, attraversare mari, affidarvi ai venti e ai flutti. Intendo quindi farvi mutare l'oggetto del vostro amore, non farvi accrescere l'amore che volgete ad esso. Dio vi chiede di amarlo nella stessa misura, non di più: rivolgendosi ai cattivi cristiani che sono avari, chiede loro di amarlo tanto quanto amano il denaro. Non pretende un amore maggiore, anche se Dio vale incomparabilmente più del denaro. Da parte nostra copriamoci almeno di rossore, battiamoci il petto, confessiamoci peccatori, non però stendendovi sopra un pavimento [per proseguire nei nostri peccati]. Chi si batte il petto senza correggersi, si indurisce nei suoi peccati senza cancellarli: noi dobbiamo batterci il petto e impegnarci a correggerci, perché non debba poi punirci lui, il nostro maestro".

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Siate scaltri, per favore!

Non è gran-cosa l'amicizia: piuttosto è un milione di piccole cose. Dove gli amici sono come le pareti della casa: a volte ci si appoggia su di loro, altre volte basta anche solo sapere che ci sono per vivere meno impauriti. Appena giunta notizia del suo licenziamento - per una causa giusta o ingiusta l'evangelista, ch'è un gran narratore, non lo dice - l'uomo della storia di questa domenica prende il denaro, quello che amministra per conto terzi, e lo usa per farsi amici i debitori del suo padrone. La situazione che gli si profila innanzi gli incute angoscia: «Che cosa farò, ora, che il mio padrone mi toglie l'amministrazione?». Si fa forza, si guarda allo specchio, mette ordine a ciò che gli è rimasto in tasca. E' poca roba, insufficiente per campare tutto il resto della sua vita: «Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno». S'avvale della sua scaltrezza per assicurarsi un piatto di minestra domattina: «So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua». Il suo padrone è inamovibile nella decisione? Che importa. S'inventa una nuova clientela: «L'antidoto contro cinquanta nemici è un amico» era convinto Aristotele. Decide, da gran-genio qual è, di puntare tutto sull'amicizia: sull'immateriale, lui che in azienda era l'uomo della materialità. Dei soldi, dunque, che sono anche la materia-prima della bestialità. Dell'ingiusta ricchezza.

Chiama al rapporto tutti coloro che sa essere debitori del suo padrone e, finché è ancora in suo potere di farlo, ne trasfigura l'intera loro fisionomia: «Alcune persone si rifugiano in chiesa; altre nella poesia; io nei miei amici» (W. Woolf). Li vede entrare che sono degli umani schiacciati dal peso d'un grosso debito, li aiuta ad uscire che sono mezzi-sistemati - loro e l'intera loro famiglia - per la stagione. Tramutare la destinazione d'uso d'una situazione, nei Vangeli, è la manovra più amica, la più antica: gli amici son quelli che ti aiutano a rialzarti quando le altre persone neanche sapevano ch'eri caduto. Sprofondato: «La nostra grande colpa come cristiani - scrive don Primo Mazzolari nella sua opera Il compagno Cristo. Il Vangelo del reduce - non è che dopo duemila anni ci siano ancora dei poveri, ma che sia umiliante e vergognoso fare il povero in terra cristiana, e che qualche forma della nostra carità ne abbia ribadito la vergogna». E' lo spettacolo che il Vangelo assicura essere il più ricco d'intrigo: la contemplazione di un'anima che, caduta per terra, si rialza e torna a camminare. Entrano indebitati fin sopra i capelli, escono con la schiena gobba dalla troppa gioia: cinquanta barili d'olio a uno, ottanta misure di grano all'altro. Servo degli amici, non più schiavo del denaro. Ecco perché Cristo, Lui ch'è sempre capace d'andare a stanare il positivo, di getto diventa malinconico: «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce (...) Fatevi degli amici con la disonesta ricchezza, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne». Pare proprio che Cristo, come il titolare di quella ditta, abbia fatto la sua scelta e non sia disposto a mercanteggiare, costi quel che costi: nessuno varcherà la porta-santa del Cielo senza la raccomandazione di un povero. I discepoli «come riusciranno a cavare il bene dal male senza fare peccato, a essere candidi e furbi nello stesso tempo?» (L. Santucci)

I benestanti - quelli che, quando s'accorsero che il gioco-di-Cristo era pericoloso, han preso i comandamenti e li han restaurati per gli altri - diranno oggi che Cristo ha esagerato, che s'è spinto un po' troppo oltre il buon senso. Han capito nulla, neanche stavolta: di quell'amministratore-cacciato non lodò affatto la disonestà, ma ne prese la scaltrezza e la mise in cattedra. La ricchezza, in fin dei conti, è disonestà visto che Dio creò l'uomo, non il ricco e il povero: non è colpa del buon-Dio se invece d'allargare i granai abbiamo allargato i cimiteri; di moltiplicare il pane, abbiam moltiplicato il piombo. L'uomo ha molti corteggiatori e pochi amici: trattarlo bene, costa immensamente di più che parlarne bene. Coi profughi, con i cassintegrati, con i galeotti delle patrie galere: «Per molti, la scoperta della miseria dell'uomo è pretesto di sfruttamento e di dominio. Qualcuno anzi la prepara, la provoca. Per guadagnarsi il titolo di benefattori, per farsi pagare il servizio di recupero, lo buttano a terra e lo fanno a pezzi, l'uomo» (P. Mazzolari).

Cristo, insomma, ha troppa stima dell'uomo: per questo gli parla da uomo, con franchezza. L'altra furberia, la faccia peggiore della furbizia, rimane una forma d'intelligenza marcia.

Omelia di don Marco Pozza

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXV Domenica del Tempo Ordinaro (Anno C) 18 settembre 2016

tratto da www.lachiesa.it