11 settembre 2016 - XXIV Domenica del Tempo Ordinario: Dio è in cerca di me

News del 10/09/2016 Torna all'elenco delle news

Un pastore che sfida il deserto, una donna di casa che non si dà pace per una moneta che non trova, un padre esperto in abbracci. Le tre parabole della misericordia sono il vangelo del vangelo. Sale dal loro fondo un volto di Dio che è la più bella notizia che potevamo ricevere.

C'era come un feeling misterioso tra Gesù e i peccatori, un cercarsi reciproco che scandalizzava scribi e sacerdoti. Gesù allora spiega questa amicizia con tre parabole tratte da storie di vita: una pecora perduta, una moneta perduta, un figlio che se ne va e si perde. Storie di perdita, che mettono in primo piano la pena di Dio quando perde e va in cerca, ma soprattutto la sua gioia quando trova.

Ecco allora la passione del pastore, quasi un inseguimento della sua pecora per steppe e pietraie. Se noi lo perdiamo, lui non ci perde mai. Non è la pecora smarrita a trovare il pastore, è trovata; non sta tornando all'ovile, se ne sta allontanando; il pastore non la punisce, è viva e tanto basta. E se la carica sulle spalle perché sia meno faticoso il ritorno. Immagine bellissima: Dio non guarda alla nostra colpa, ma alla nostra debolezza. Non traccia consuntivi, ma preventivi. Dio è amico della vita: Gesù guarisce ciechi zoppi lebbrosi non perché diventino bravi osservanti, tanto meglio se accadrà, ma perché tornino persone piene, felici, realizzate, uomini finalmente promossi a uomini.

La pena di un Dio donna-di-casa che ha perso una moneta, che accende la lampada e si mette a spazzare dappertutto e troverà il suo tesoro, lo scoverà sotto la polvere raccolta dagli angoli più oscuri della casa. Così anche noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare sempre, in noi e in tutti, un frammento d'oro.

Un padre che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota. Che non punta il dito e non colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno. E corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa niente di tutte le scuse che ha preparato, perché alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità.

Tutte e tre le parabole terminano con lo stesso "crescendo". L'ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra: vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti... Da che cosa nasce questa felicità di Dio? Da un innamoramento, come in un perenne Cantico dei Cantici. Dio è l'Amata che gira di notte nella città e a tutti chiede una sola cosa: «avete visto l'amato del mio cuore?».

Sono io l'amato perduto. Dio è in cerca di me. Se lo capisco, invece di fuggire correrò verso di lui. 

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Tre esempi per l'anno santo della misericordia

Anno santo della misericordia: oggi Gesù la spiega (Luca 15,1-32) con tre parabole sulla gioia che deriva dalla misericordia di Dio.

Le prime due presentano storie parallele: un pastore lascia il gregge al sicuro e va alla ricerca di una pecora non tornata all'ovile; una donna rivolta la casa, per ricuperare una moneta che non trova più; e quando entrambi raggiungono lo scopo, invitano amici e vicini a far festa con loro. Il senso delle due storie è dato dallo stesso Gesù: "Io vi dico, così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte", cioè è stato ritrovato, ricuperato all'amore del Padre.

La terza parabola è quella celeberrima detta del figlio prodigo, pur se un titolo più appropriato la direbbe piuttosto la parabola del padre misericordioso. La vicenda è nota: un ricco proprietario terriero ha due figli, il minore dei quali pretende subito la sua parte di eredità e va a sperperarla in dissolutezze, sino a trovarsi in miseria, costretto a lavori umilianti, ridotto alla fame. "Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati".

Quel figlio prodigo sa di non poter pretendere nulla da suo padre; potrebbe aspettarsi un suo rifiuto a riaccoglierlo, e magari anche una mano di legnate; considera già una fortuna che gli dia almeno da vivere. E invece, "Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò"; non gli lasciò neppure il tempo di concludere il discorsino che si era preparato, e anzi gli fece indossare il vestito più bello, lo ornò con un anello al dito e ordinò di imbandire subito un banchetto con musica e danze.

In questo padre, è chiaro, Gesù intende celebrare l'infinita bontà del Padre celeste, che rispetta la libertà dell'uomo, compresa la libertà di sbagliare, ma trepida e spera nel suo ravvedimento, e quando avviene perdona, dimentica, fa festa. E' altrettanto chiaro che quel figlio prodigo siamo noi: tanto o poco, prima o poi, tutti ci siamo allontanati da Dio, sperperando in esperienze vuote, quando non degradanti, le ricchezze di mente e di cuore ricevute da lui. Solo un ritorno a lui può ridarci la dignità perduta: lui, che non castiga e anzi è pronto a riaccoglierci a braccia aperte.?

Stare con lui, godere del suo amore, è il massimo della nostra realizzazione, è quanto di meglio la vita ci può offrire. Non sempre lo capiamo, come - per tornare alla parabola - non lo capisce l'altro figlio, il quale si indigna col padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni, non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso!" "Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

In termini di stretta giustizia, umanamente parlando, forse l'indignato ha qualche ragione; ma nei rapporti con Dio la giustizia, quando il colpevole si ravvede, è superata dalla misericordia. E così deve essere anche tra i cristiani: i torti vanno annullati dal perdono, il risentimento è da vincere con la bontà. Chi ritenesse di potersi riconoscere nel figlio fedele, deve avere l'onestà di riconoscersi anche nell'altro, senza dimenticare quante volte ha ricevuto dal Padre l'abbraccio del perdono. E riflettere: chi è fedele a Dio, non avrà forse gli applausi di questo mondo, non avrà medaglie e pubblici encomi; ma può sempre contare sull'intima gioia di sapersi amato: "Figlio, tu sei sempre con me!"?

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Le parabole della misericordia, forte richiamo alla nostra conversione

Il Vangelo di questa domenica del tempo ordinario è sicuramente quello più adatto e approrpiato ad indicare il cammino della Chiesa in questo anno giubilare della misericordia che sta volgendo al termine. Infatti, è riportato il testo del vangelo di Luca, dedicato alle tre parabole della misericordia: la pecora smarrita e ritrovata; la dragma persona e ritrovata; il figlio perduto e ritornato. Sono le tre parabole che Papa Francesco ha espressamente citato nella Bolla di indizione dell'anno giubilare della misericordia e che hanno e stanno accompagnando la chiesa in questo anno di speciale grazia e perdono di Dio. "Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia. Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr Lc 15,1-32). In queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono" (MV, 9). Infatti, il tema dominante in questi racconti esemplari è quello della gioia del ritorno delle persone, degli animali e delle cose. Le tre parabole riguardano, d'altronde, un figlio, cioè una persona umana, una pecora, ovvero un animale; una moneta (una cosa). Possiamo dire che tutto il creato è rappresentato nella gioia e nel ritorno al Signore. Chi gioisce è sempre la persona: il padre che vede ritornare il figlio; il pastore che ritrova la pecora; la donna che ritrova la moneta. Giova di ritrovare e ritrovare le cose e le persone perdute. Tutte queste parabole, insieme ad altre del genere indicano la gioia di Dio Padre per ogni peccatore che si converte e ritorna a Lui, pentito e rinnovato nel suo intimo, con il proposito di non fare le cose che faceva prima. Leggiamo nel Vangelo: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta". Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione". Prosegue il testo del vangelo: "Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte". Ed infine, la gioia del Padre verso tutti:: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". Le considerazioni conclusive del Padre nei confronti del figlio maggiore, un po' risentito per l'accoglienza:: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"».

La festa del perdono, così possiamo definire questo brano del vangelo, che ben si addice a quanto sperimentiamo ogni giorno, quando, con le nostre debolezze e fragilità umane ci allontaniamo da Dio, lo perdiamo letteralmente con il peccato, e se siamo in grado di esaminarci e prendere coscienza dei nostri atti, iniziamo il ritorno, incomincia la conversione, che è sempre una grazia di Dio ed è un'iniziativa di Dio. Il pastore va alla ricerca della pecorella smarrita e non tanto la pecorella va alla ricerca del pastore e dell'ovile; la donna va a cercare la dragma e non la dragma cerca la donna; il Padre attende ed aspetta che il figlio ritorni e scruta l'orizzonte in attesa della sagoma del figlio che si avvii verso di Lui. In poche parole, in tutte le cose del bene umano è sempre Dio a prendere l'iniziativa; mentre in ordine al male è sempre l'uomo che sceglie di suo autonomo percorso di dispersione e di disorientamento. Da queste parabole ci vengono importanti insegnamenti di vita spirituale e morale. Dio vuole sempre il nostro bene e la nostra salvezza; l'uomo non sempre vuole il suo vero bene. A volte si illude di trovare il bene, in ciò che bene non è; anzi è vero e proprio male. Prendere coscienza dei propri errori e sbagli è sempre un dono del cielo e chi lo riceve questo dono deve sentirsi e dirsi benedetto.

Nella prima lettura di oggi, tratta dal Libro dell'Esodo, vediamo il popolo di Israele in cammino verso la terra promessa, il quale, invece di innamorarsi del vero Dio e seguire la legge divina, segue i suoi capricci e si intestardisce sulle cose non giuste che sente di fare e anche fa contro la volontà e i disegni divini. Dio minaccia punizioni, ma alla fine si rivela per quel che è nella sua stessa natura: bontà e misericordia. La preghiera e l'intercessione di Mosè blocca la punizione di Dio e il popolo che aveva deviato con comportamenti idolatrici, viene salvato e risparmiato: "Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo". Meditando sul grande mistero della redenzione, operata da Cristo con la sua morte e risurrezione, san Paolo Apostolo, nel brano della sua lettera ai Timoteo, che ascoltiamo oggi, ci rammenta un fatto molto importante ai fini della presa di coscienza della nostra identità di cristiani.

Questo cammino di conversione che ha caratterizzato la vita del persecutore dei cristiani e del più grande apostolo e missionario di tutti i tempi ci fa capire quanto potere ha nella nostra vita la grazia di Dio, se la lasciamo operare, senza ostacoli da parte nostra. La gioia di questa conversione di cui ci parla Paolo risulta evidente dal testo; la gratitudine verso il Signore è immensa e l'Apostolo ce la fa toccare con mano, quasi a dirci. Vuoi gioire? Convertiti a Cristo, convertiti a Dio. Questo appello sincero, sentito, carico di umanità e di riconoscenza venga fatto nostro, specialmente in questi ultimi mesi dell'anno giubilare della misericordia e del perdono, e come scrive Papa Francesco: "Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l'atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l'uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato..Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell'agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti" (MV, 2-3).

Sia questa la nostra umile preghiera, in considerazione di quanto abbiamo ascoltato dalla parola di Dio e dal magistero del Papa: "O Dio, che per la preghiera del tuo servo Mosè non abbandonasti il popolo ostinato nel rifiuto del tuo amore, concedi alla tua Chiesa per i meriti del tuo Figlio, che intercede sempre per noi, di far festa insieme agli angeli anche per un solo peccatore che si converte". Amen.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

tratto da www.lachiesa.it