4 settembre 2016 - XXIII Domenica del Tempo Ordinario: si è discepoli di Gesù soltanto se si è capaci di amare

News del 03/09/2016 Torna all'elenco delle news

Gesù, sempre spiazzante nelle sue proposte, indica tre condizioni per seguirlo. Radicali. La prima: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù punta tutto sull'amore. Lo fa con parole che sembrano cozzare contro la bellezza e la forza dei nostri affetti, la prima felicità di questa vita. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non mi "ama di più". Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un "di più". Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell'arte di amare.

La seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me. Non banalizziamo la croce, non immiseriamola a semplice immagine delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della fatica o malattia da sopportare con pace. Nel Vangelo "croce" contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce.

La prima e la seconda condizione: amare di più e portare la croce, si illuminano a vicenda; portare la croce significa portare l'amore fino in fondo.

Gesù non ama le cose lasciate a metà, perché generano tristezza: se devi costruire una torre siediti prima e calcola bene se ne hai i mezzi. Vuole da noi risposte libere e mature, ponderate e intelligenti.

Ed elenca la terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è un sacrificio, ma un atto di libertà: esci dall'ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: "io ho, accumulo, e quindi sono e valgo". "Un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti "(M. L. King). "Un uomo vale quanto vale il suo cuore" (Gandhi).

Non lasciarti risucchiare dalle cose: la tua vita non dipende dai tuoi beni. Lascia giù le cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più, ma ad amare bene.

Gesù non intende impossessarsi dell'uomo, ma liberarlo, regalandogli un'ala che lo sollevi verso più libertà, più amore, più consapevolezza. Allora nominare Cristo, parlare di vangelo equivale sempre a confortare il cuore della vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Seguire Cristo sulla via della croce e della totale donazione

In questa domenica del tempo ordinario, la Parola di Dio ci invita a metterci alla seguela di Cristo con cuore semplice, disponibile e indiviso. Un progetto di vita cristiana che ognuno di noi ha deciso liberamente di fare suo, con il battesimo e con i successivi momenti di impegno personale e di coscientizzazione del dato di fede, richiede una disponibilità del cuore, la capacità di sapere progettare il proprio bene e perseguirlo in tutti i modi possibili. Non è facile o semplice seguire Gesù. La sua seguela richiede rinuncia, sacrificio, oblazione, capacità di guardare oltre il temporale e il contingente e saper immergersi nell'eterno.

In questi giorni di profonda tristezza nel cuore per la perdita di mia sorella, ma soprattutto per i tanti morti del disastroso sisma dell'Italia Centrale, che ho vissuto in prima persona nella notte del 24 agosto, stando a Cascia, per l'annuale pellegrinaggio e ritiro spirituale a Santa Rita, ho visto con i miei occhi (e non è la prima volta) quanto siamo effettivamente appesi ad un leggero filo del tempo. Basta pochi secondi di terremoto o di altro che ci troviamo davanti al tribunale di Dio per rendere conto della nostra vita. Questo non ci deve angosciare, ma semplicemente responsabilizzarci di fronte al dono del tempo che il Signore ci ha concesso e che noi dobbiamo valorizzare pienamente per il nostro e altrui bene. Il testo del Vangelo di oggi ci porta nel cuore delle vere scelte che si fanno per il Signore e che non ammettono limiti o condizioni da parte nostra. Egli infatti ci dice: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: "Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro". Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Essere distaccati dai beni e dagli affetti umani e assumere il peso della croce sulle proprie spalle sono le condizioni inidispensabili per seguire Gesù e seguirlo con sincerità e convinzione interiore. L'opera che si inizia va portata a termine, in quanto Gesù è l'esempio per eccellenza della fedeltà e della coerenza fino alla morte.

Il testo della prima lettura di oggi, tratto dal Libro della Sapienza, di grande spessore culturale e spirituale, ci aiuta ad approfondire il tema della conoscenza di Dio, che passa non solo attravserso la capacità del ragionare, ma del sentire e della sensibilità del cuore umano. La vera sapienza che chiediamo al Signore, non è la pura intelligenza, ma è la sapienza del cuore, che cercare le ragioni profonde del suo essere e del suo amare, proprio in Dio che è sorgente dell'amore vero. E' proprio vero, quello che leggiamo in questo brano della Scrittura. I nostri ragionamenti umani, sono timidi ed incerti, perché nella nostra condizione di creature non possiamo comprendere a pieno la grande e l'infinità bontà di Dio. Rimane per noi un grande mistero della fede, che, come tale, va vissuto in quella dimensione di eternità, che avremo modo di vivere, dopo la conclusione del pellegrinaggio terreno. Con l'Apostolo Paolo, dobbiamo sperimentare la gioia di essere tutto di Cristo e tutti al servizio del suo vangelo, il cui annuncio passa anche attraverso l'esperienza del dolore e della sofferenza. Non sempre per questo vangelo possiamo operare nella massima libertà e farne parte chiunque. Nessuno, può essere costretto ad annunciare Cristo, ma tutti lo possono fare se si lasciano toccare dalla sua grazia e svolgere al meglio il ministero, secondo i carismi e doni ricevuti.

Sia questa la nostra preghiera conclusiva della riflessione di questa domenica, nella quale il nostro pensiero è rivolto in particolare ai nostri connazonali, che sono stati toccati dal dramma del terremoto: O Dio, tu sai come a stento ci raffiguriamo le cose terrestri, e con quale maggiore fatica possiamo rintracciare quelle del cielo; donaci la sapienza del tuo Spirito, perché da veri discepoli portiamo la nostra croce ogni giorno dietro il Cristo tuo Figlio". Quante croci sono state piantate nel cuore, nella vita e nella storia dei nostri fratelli nella fede e nell'umanità che sono stati segnati dalle ferite fisiche e morali del disastrose sisma del 24 agosto 2016. Gesù crocifisso sia conforto per tanti crocifissi della nostra Italia e del Mondo intero.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Il retrogusto amaro di certe vite

Una vera folla segue Gesù, e a differenza dei tanti demagoghi di ogni tempo, pronti a promettere anche la luna pur di trovare facili consensi, egli non nasconde le difficoltà che comporta l'essere suoi amici. Si volta e dice: "Chi vuol essere mio discepolo, deve amarmi più di quanto ami il padre, la madre, la moglie, i figli e persino se stesso; chi vuol essere mio discepolo, porti la sua croce dietro di me" (Luca 14,25-33). Parole drastiche, si direbbe fatte apposta per scoraggiare quanti gli andavano appresso. Chi pensasse che vivere da cristiani sia una passeggiata tra prati in fiore, è avvertito: in realtà significa non pensare soltanto ai propri vantaggi, ma mettere sempre Lui al primo posto, costi quel che costi.

Del resto, essere cristiani è una scelta, non un obbligo, e come tutte le scelte va compiuta dopo averci ragionato. Lo stesso Gesù invita a farlo; alle parole riportate aggiunge: "Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolarne la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?" Così, sottintende, chi vuole dirsi cristiano deve essere consapevole di che cosa comporta, deve valutare come si configurerebbe la sua vita, presente e futura, con o senza di lui.

Senza di lui, tutto appare più facile e comodo: vivo come mi pare, spremendo da ogni giornata tutto il succo di vantaggi e piaceri che ne posso trarre, avvalendomi di quanto dispongo e servendomi degli altri per realizzare i miei intendimenti; se poi gli altri ne patiscono, che importa a me?

La realtà però è diversa: la mia presunta libertà mi lascia spesso insoddisfatto; le cose non vanno sempre come vorrei, e quand'anche riescono mi lasciano quel retrogusto amaro che si chiama rimorso. Con lui, invece, devo rinunciare a tante cose, devo farmi carico di chi mi sta intorno per dargli attenzione e aiuto; ma alla sera non fatico a prender sonno, perché non ho nulla di cui vergognarmi, so di avere speso la mia giornata al meglio delle mie possibilità, so che sto dando alla mia vita un senso e uno scopo, di cui un giorno raccoglierò pienamente i frutti. Non è preferibile?

Particolare attenzione va oggi anche alla seconda lettura, che offre i passi essenziali del più breve tra gli scritti di Paolo, la lettera a Filemone. L'apostolo ha fatto la conoscenza di Onesimo, uno schiavo fuggito dal suo padrone; gli ha parlato, l'ha convertito alla fede cristiana, dopo di che compie un gesto inaudito: malgrado la legge romana punisse severamente gli schiavi fuggitivi, Paolo rimanda Onesimo dal padrone, con una lettera per lui, da cui si apprende che il padrone è Filemone ed è anche lui cristiano. Per l'autorità di cui è investito, e che anche il "padrone" riconosce, l'apostolo potrebbe ordinarglielo, e invece non glielo comanda: lo prega di riaccoglierlo, "non più però come schiavo, ma come fratello carissimo, sia come uomo, sia come fratello nel Signore".

Uno scritto illuminante. Paolo compie un coraggioso atto di fiducia nei protagonisti dell'episodio: Filemone, anziché seguire il precetto della carità e riconoscere in Onesimo un fratello, potrebbe appellarsi alle leggi dello stato e punirlo; anche Onesimo lo sa, eppure senza essere costretto torna da lui. La felice conclusione della vicenda è un magnifico attestato dei nuovi rapporti tra gli uomini che la fede cristiana ha introdotto nel mondo. Proprio questi nuovi rapporti sono alla base delle trasformazioni sociali originate dal cristianesimo e recepite poi anche dalla legislazione civile. Paolo non contesta le leggi sulla schiavitù, ma le svuota di valore insegnando che tutti gli uomini sono fratelli di pari dignità. Il vangelo non invita alle rivoluzioni armate: è più efficace e duraturo esortare tutti a vivere come il vangelo insegna.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Liturgia e Liturgia della Parola dlla XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 4 settembre 2016

tratto da www.lachiesa.it