7 agosto 2016 - XIX Domenica del Tempo Ordinario: Dio non si impone ma si propone

News del 06/08/2016 Torna all'elenco delle news

Siamo nel capitolo 12 di Lc un po' dopo il vangelo di domenica scorsa. All'inizio di questo vangelo Gesù chiama i "suoi" piccolo gregge (Lc 12,32) e assicura loro che il Padre vuol dar loro il regno. Noi commenteremo solo la prima parte (Lc 12,35-38): è sempre così ricco il vangelo che non si finisce davvero mai di commentarlo, di viverlo e di emozionarsi!
Questo, anche se non sembra, è un vangelo eucaristico. Dobbiamo ricordarci che le prime comunità cristiane sono sorte attorno all'eucarestia.
Il riferimento è Lc 22,27 dove durante l'eucarestia Gesù dice: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve". E qui tutti servono: i servi che sono ancora svegli e attendono il padrone e il padrone stesso che serve i servi.
Il messaggio è chiaro: nella vita voi servite il mondo e nell'eucarestia Dio serve voi.
Dobbiamo fare un passo indietro: il culto nel mondo ebraico era ciò che gli uomini facevano a Dio. Quindi tu obbedivi alle sue leggi, ti presentavi puro, se eri in peccato ti confessavi, facevi offerte in denaro o in natura, in sostanza facevi delle cose per essere accetto a Dio. Il Libro dell'Esodo era ben chiaro: "Nessuno venga davanti a me a mani vuote" (Es 34,20). Quindi il culto era l'offerta (di denaro, di purezza, di ubbidienza) che l'uomo faceva a Dio. Il culto era il servizio degli uomini a Dio.
Ma con Gesù, e lo vedremo in queste tre righe di vangelo (e in tutta la sua vita), tutto cambia. Il culto (l'eucarestia) non è più ciò che tu fai per Lui ma ciò che Lui fa per te. E il servizio non lo devi più rendere a Dio ma alle persone. Un uomo pose a Madre Teresa questa domanda: "Madre, chi è Dio?". E lei: "Non ho la più pallida idea di chi sia. Ma dove c'è l'amore, Lui c'è".
In 1 Gv 4,7-21 Giovanni dice: "...l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio... Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede". Più chiaro di così.
Ci fu un tempo in cui la santità si vedeva da quante messe, rosari, preghiere, digiuni, sacrifici, una persona faceva. Ma il vangelo non parla mai di tutto questo: la santità di una persona si vede se non giudica... se sa mettere in luce, valorizzare, le doti positive degli altri... se sa lasciare andare... se sa offrire disponibilità a chi ne ha bisogno... se non prova invidia e gelosia... se sa lasciare liberi... se è felice della gioia degli altri, ecc. Se ami Dio non si vede da quante volte vai in chiesa ma da quanto amore il tuo cuore vive.

Veniamo al nostro vangelo. "Siano i vostri fianchi cinti e le lampade accese" (Lc 12,35), e qui il verbo di Lc è all'imperativo. Un verbo all'imperativo è diverso da un verbo all'indicativo significa che l'affermazione è molto forte, molto importante. E' diverso dire: "Mi prendi un bicchiere" da "Prendimi un bicchiere!".

Ma cosa significa cingere i fianchi?
1. L'abito normale degli uomini era una tunica che arrivava fino ai piedi. Quando bisognava lavorare, questa tunica era di impaccio e di intralcio. Allora si prendevano i bordi, si alzavano e si cingevano alla vita.

Cingere i fianchi significa lavoro.

2. Ma cingere i fianchi significa anche qualcos'altro. Quando si doveva viaggiare, quando si doveva camminare, bisognava alzare la tunica altrimenti si impolverava e si insudiciava.

Cingere i fianchi significa cammino.

Ma dove ritroviamo quest'espressione nella Bibbia? La ritroviamo in Es 12,11. Qui si parla dell'agnello pasquale che gli ebrei devono mangiare nella notte dell'uscita dall'Egitto. Lo devono mangiare così: "Con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta" (Es 12,11).
Quindi i "fianchi cinti" rimandano a questa situazione dove gli ebrei ritrovano la libertà. Quindi "fianchi cinti" indica un lavoro libero, volontario, esercitato per amore, che rende l'uomo libero. Solo l'uomo libero può mettersi a servizio degli altri.

L'altra indicazione sono le "lampade accese" (Lc 12,35). Dove si trova quest'espressione? Si trova sempre nel libro dell'Esodo dove c'è l'ordine di tenere sempre accese le lampade nella tenda del convegno, la tenda particolare dove si adorava, si venerava, la presenza del Signore, affinché la comunità sia davanti al Signore (Es 27,20-21: "... per tenere sempre accesa una lampada nella tenda del convegno, perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore: rito perenne presso gli Israeliti di generazione in generazione").

Cosa dicono queste due espressioni allora messe insieme? Che Gesù chiede alla sua comunità di essere in un atteggiamento di servizio libero e che il servizio libero è l'unico santuario dal quale si irradia la luce dell'amore di Dio. Questa comunità per Gesù è un santuario ma a differenza dell'antico santuario è un santuario in movimento. L'antico santuario era statico: le persone dovevano andare, sottostare a determinati riti per poter essere ammesse, ma molte persone per la loro condizione di peccato, di impurità, per la loro situazione religiosa, avevano l'accesso vietato al tempio.
"Siccome tu vivi in quella determinata condizione di peccato tu al tempio non ci puoi entrare" per cui il Dio nel tempio escludeva molte persone dal contatto con lui. Ma il nuovo santuario non è più statico ma dinamico, in movimento. Non sei più tu che vai al Tempio ma è il Tempio che viene da te. E da chi va il Tempio? Va verso i lontani, gli allontanati, gli esclusi. Quindi la comunità di Gesù è una comunità di persone libere che orientano la propria vita al servizio degli altri. I cristiani non obbediscono; i cristiani lo fanno per amore. Non lo fanno perché glielo dice il Papa, il Vescovo, il Parroco, la paura di non essere bravi o di finire all'inferno o di non essere degni di Dio. Lo fanno perché glielo dice il loro cuore. Lo fanno "volontariamente, liberamente" perché sentono la bellezza che essi stessi hanno prima sperimentato, della luce del Signore, del Santuario che viene da te per amarti, onorarti, darti forza, coraggio, accettazione e misericordia. Quindi il cristiano non è un ubbidiente: chi ubbidisce è un funzionario. Nella storia tutte le personalità più pericolose hanno ubbidito a qualcun altro: i nazisti ad Hitler, Hitler ad una "pazza" voce dentro di sé. L'ubbidiente non tiene conto delle sue azioni, delle sue conseguenze: lui ubbidisce, lui fa perché qualcuno gliel'ha comandato.
Ma, ed è interessante, mai nei vangeli Gesù chiede di essere ubbidito. Il verbo ubbidire nei vangeli viene usato cinque volte e mai riferito a persone: al vento e al mare (Mt 8,27; Mc 4,41; Lc 8,25), ad un gelso (Lc 17,6), agli spiriti immondi (Mc 1,27). Nella prima Regola S. Francesco aveva scritto: "Se un ministro avrà comandato ad un frate di fare qualcosa contro la nostra vita o contro la sua anima, il frate non sia tenuto ad obbedirgli".
Poi il vangelo continua: "E voi siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze per aprirgli subito, appena arriva e bussa" (Lc 12,36). Ora questa frase è davvero incapibile o travisata se non la contestualizziamo. Nell'A.T. il Signore viene presentato come lo sposo. Ora qui c'è il padrone di casa (che è anche un po' sposo!) che torna dalle nozze: ma perché bisogna aspettarlo? Se è il padrone di casa avrà pure le chiavi di casa! Chi comanda ha le chiavi. Perché deve bussare correndo il rischio che gli altri dormano e non gli aprano?Cosa si vuol dire allora qui? Che Gesù, lo sposo, il padrone, non è padrone come i nostri padroni. Lui non impone mai la sua presenza ma si propone: "Ti va? Lo vuoi? Che dici? Ti piacerebbe...". Lc 9,23: "Se qualcuno vuol venire dietro a me...". E' una possibilità, non è una necessità. Il testo è in assonanza con Ap 3,20: "Ecco io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me".
Facciamo un esempio: se adesso io ti voglio abbracciare bisogna che tu accolga il mio abbraccio. Se tu non lo vuoi e io ti abbraccio lo stesso, io te lo impongo. Allora il mio abbraccio non è più un'espressione d'amore ma di violenza. Anche se io ho un'intenzione buona, ogni imposizione è una violenza.
Dio non si impone ma si propone. Lui vuole entrare dentro di te, Lui vorrebbe venire: ma non lo farà senza di te e il tuo consenso. William Holman Hunt nel suo dipinto del 1853 "La luce del mondo" disegna Gesù che bussa ad una porta ricoperta di erbacce e a lungo non aperta (che rappresenta la mente ostinatamente chiusa). Ma la porta non ha la maniglia, perché può essere aperta solo dall'interno. Lui entra... solo se tu gli apri. A volte i catechisti dicono: "Ma che senso ha dare il sacramento a questi ragazzi che non partecipano mai al catechismo, né a messa? Non è ingiusto nei confronti di chi viene sempre?". Se Dio fosse un premio questa logica non farebbe una piega. Ma Dio è un dono, è Qualcuno che si propone, che si offre, che bussa. Allora: Lui fa la sua parte (bussa) e poi starà alla persona, se lo vorrà e se lo potrà, aprire e farlo entrare. "Beati..." (Lc 12,37): ascer=felicità piena. La felicità (ascer indica una felicità divina) è per l'atteggiamento volontario, libero, di servizio. Ma cosa succede adesso? Succede qualcosa di incredibile: è Lui stesso adesso che "si cinge i fianchi" e li serve, cioè si mette in atteggiamento di servizio verso i suoi servi. Ma qual è il padrone o il maestro che serve i suoi servi? Ma nessuno!, ovvio. Eppure Gesù lo ha fatto e lo fa sempre (Gv 13)! Letteralmente il testo dice che "li servirà reclinandosi e passando li servirà" (Lc 12,37): perché si reclina? Erano i signori, i ricchi, che a tavola mangiavano sdraiati e quindi c'era bisogno di qualcuno che li servisse portando loro da mangiare. Ecco cosa fa Lui: li serve, cioè, li fa sentire "signori". Gesù si fa servo (liberamente) perché coloro che sono considerati servi si sentano signori. Questo cambia la nostra comprensione dell'eucarestia: l'eucarestia non è il culto degli uomini a Dio, non è ciò che gli uomini fanno per Dio (e se non lo fanno devono aver paura o sentirsi peccatori o in colpa).
L'eucarestia è ciò che Dio fa per l'uomo. L'eucarestia è un distributore gratuito di benzina: puoi andarci quando ci vuoi e puoi prenderne quanta ne vuoi. E' gratis, è tutta per te. Se poi non ci vuoi andare pazienza!, hai deciso così. Ma è lì per te. Servire significa nutrire, rafforzare, comunicare vita. Nella vita c'è bisogno di benzina: si da ma poi ci si esaurisce; si infonde energia e amore ma poi il "pieno" finisce; si ama ma poi si ha bisogno di essere amati; si accoglie ma a volte è difficile accogliere anche noi stessi; si dà la propria disponibilità ma a volte si ha bisogno che qualcuno la dia a noi; si stima e si incoraggia gli altri ma a volte noi stessi siamo vuoti di tutto ciò; si sollevano e si condividono le lacrime e le sofferenze degli altri ma poi si ha bisogno che qualcuno si prenda cura delle nostre. Ecco l'eucarestia: tutto questo tu lo trovi qui. E' tutto per te. Vedete quanto lontana è l'idea di sacrificio: nell'eucarestia non ci si toglie qualcosa per darlo a Dio. Ma è Lui che si fa Pane per noi perché noi poi ci facciamo pane per gli altri. Una volta si diceva: "Hai peccato, non puoi andare all'eucarestia!". Ma Gesù dice l'esatto contrario: "Hai peccato, ti senti sbagliato, in errore, ti senti vuoto, un niente, una nullità, depresso, ammalato, uno schifo, l'hai combinata grossa, e dove vuoi andare? Vieni qui!". Non è più l'uomo che offre i suoi sacrifici e i suoi meriti per avere Dio. Ma è Lui che, senza nostro merito, viene da noi.
Poi dice: "E se giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!" (Lc 12,38). Ma perché dovrebbero stare svegli per il padrone che tanto ha le chiavi di casa?! "Li troverà così", si riferisce all'atteggiamento di servizio. Il "Beati loro" si riferisce a ciò che il padrone-Gesù farà: li servirà (per questo sono beati). 
Allora: la vita è servire gli altri. L'eucarestia è Dio che serve te. 
Ma perché a volte è così difficile, se non impossibile, servire gli altri? Da bambini abbiamo ricevuto (siamo stati serviti), da adolescenti abbiamo dato e ricevuto, da adulti diamo (prevalentemente). Ma cosa succede, invece, se da piccoli non abbiamo ricevuto? Succede che da grandi abbiamo ancora un buco, una mancanza dentro. Per cui se il ruolo ci chiede di dare, la parte "mancante", invece, vuole ricevere. Per servire gli altri dobbiamo essere liberi. Altrimenti ci serviremo di loro. Serviremo gli altri o ci serviremo degli altri?

Omelia di don Marco Pedron (Ti servo o mi servo di te?)

 
Dio è al servizio della nostra felicità

Nell'ora che non im­maginate viene il fi­glio dell'uomo. Viene, ma non come una minaccia o un rendiconto che incom­be. Viene ogni giorno ed ogni notte e cerca un cuore atten­to. «Come un innamorato, de­sidera essere desiderato. Co­me l'amata io lo attenderò, ben sveglio: non voglio mancare l'appuntamento più bel­lo della mia vita!» (M. Marco­lini).

La parabola del signore e dei servi è scandita in tre mo­menti. Tutto prende avvio per l'assenza del signore, che se ne va e affida la casa ai suoi servi. Così Dio ha consegnato a noi il creato, come in prin­cipio l'Eden ad Adamo. Ci ha affidato la casa grande che è il mondo, perché ne siamo cu­stodi con tutte le sue creatu­re. E se ne va. Dio, il grande as­sente, che crea e poi si ritira dalla sua creazione. La sua as­senza ci pesa, eppure è la ga­ranzia della nostra libertà. Se Dio fosse qui visibile, inevita­bile, incombente, chi si muo­verebbe più? Un Dio che si im­pone sarà anche obbedito, ma non sarà amato da liberi figli.

Secondo momento: nella not­te i servi vegliano e attendono il padrone; hanno cinti i fian­chi, cioè sono pronti ad acco­glierlo, a essere interamente per lui. Hanno le lucerne ac­cese, perché è notte. Anche quando è notte, quando le ombre si mettono in via; quando la fatica è tanta, quan­do la disperazione fa pressio­ne alla porta del cuore, non mollare, continua a lavorare con amore e attenzione per la tua famiglia, la tua comunità, il tuo Paese, la madre terra. Con quel poco che hai, come puoi, meglio che puoi. Vale molto di più accendere una piccola lampada nella notte che imprecare contro tutto il buio che ci circonda.

Perché poi arriva il terzo mo­mento. E se tornando il pa­drone li troverà svegli, beati quei servi (si attende così so­lo se si ama e si desidera, e non si vede l'ora che giunga il mo­mento degli abbracci). In ve­rità vi dico, - quando dice co­sì assicura qualcosa di impor­tante -li farà mettere a tavola e passerà a servirli. È il capo­volgimento dell'idea di pa­drone: il punto commovente, sublime di questo racconto, il momento straordinario, quando accade l'impensabi­le: il signore si mette a fare il servo! Dio viene e si pone a servizio della mia felicità!

Gesù ribadisce due volte, per­ché si imprima bene, l'atteg­giamento sorprendente del si­gnore: e passerà a servirli. È l'immagine clamorosa che so­lo Gesù ha osato, di Dio no­stro servitore, che solo lui ha mostrato cingendo un asciu­gamano. Allora non chiamia­molo più padrone, mai più, il Dio di Gesù Cristo, chino da­vanti a noi, le mani colme di doni.

Questo Dio è il solo che io ser­virò, tutti i giorni e tutte le not­ti della mia vita. Il solo che ser­virò perché è il solo che si è fatto mio servitore.

Omelia di padre Ermes Ronchi

Liturgia e Liturgia della Parola della XIX Domenica del Tempo Ordinario (anno C): 7 agosto 2016

tratto da www.lachiesa.it