11 ottobre 2015 - XXVIII Domenica del Tempo Ordinario: Il cristiano uomo del "magis"

News del 09/10/2015 Torna all'elenco delle news

Salomone considera la sapienza come il dono più apprezzabile e perseguibile, che messo a raffronto con tutti gli altri risulta molto più prezioso. E' risaputo anche ai nostri giorni che ci sono cose molto più importanti dell'oro e del denaro, come la salute, i valori e le qualità personali, ma a dire di questo monarca ciò che sovrasta per intero ogni cosa è appunto la sapienza. Il dono per eccellenza, che ci fa scrutare ogni cosa con gli occhi stessi di Dio, che ci consente di interpretare gli eventi e le situazioni secondo il volere del Signore e di conseguenza sotto questa stessa ottica ci fa anche prendere decisioni e assumere atteggiamenti secondo la stessa ottica.

Il dono della sapienza ci viene elargito a piene mani da Dio, ma non con altrettanta premura noi siamo disposti ad individuarlo e ad esercitarlo nelle nostre situazioni quotidiane, quando esso ci può essere d'aiuto nelle difficoltà, nelle indecisioni e nelle perplessità.

La Sapienza ci aiuta anche ad adottare l'atteggiamento più adeguato anche nella stessa vita secondo Dio, che è sempre finalizzata al bene di noi stessi e degli altri. Secondo la Sapienza per esempio l'uomo è infelice finché non supera se stesso valicando i propri confini e andando oltre all'ordinarietà. Non che dobbiamo sentirci onnipotenti e presuntuosi di grandezza e di autoaffermazione, non che dobbiamo esaltarci più del dovuto, ma è nel nostro stesso interesse e comunque volontà di Dio uscire dalla mediocrità e dalla pochezza che tante volte ci caratterizza, superarci nell'apatia e nella neghittosità per cui ci accontentiamo di fare solo il sufficiente e non lo straordinario. La vita cristiana dovrebbe in effetti distinguerci per particolarità di eroismo e di eccezionalità rispetto agli altri e dovrebbe renderci di richiamo agli altri quanto ad esemplarità e trasparenza. Ragion per cui non è sufficiente fare il proprio dovere, ma occorre farlo con amore e dedizione, accettando anche di fare qualcosa in più rispetto a ciò che ci si chiede. Già Democrito nell'antichità diceva poi che "il bene non sta nel non commettere ingiustizie, ma nel non volerle"; ma Gesù ci insegna che il bene consiste, oltre che non commettere alcun male, anche e soprattutto nell'amare di cuore gli altri senza distinzioni, avendo attenzione anche per i nostri nemici: "Pregate per coloro che vi perseguitano"; "fate del bene a coloro che vi fanno del male". Dalla Sapienza deriva quindi la capacità di autotrascenderci e di superarci fino all'eroismo e alla consumazione di noi stessi e ciò che si esercita con fatica e immolazione diventerà causa di gioia e di autoaffermazione. Nella sua volontà la nostra pace, scriveva Dante.

Credo che sia questo innanzitutto l'insegnamento di Gesù nell'incontro con il giovane ricco che, deluso dalla proposta del Signore, se ne allontana perché timoroso di perdere i propri beni: certamente in lui è lodevole il fatto che abbia sempre osservato le leggi comuni fin dalla sua prima infanzia e che abbia adempiuto con abnegazione e costanza ai propri doveri. In lui c'è sempre stata una grande propensione alla buona volontà e alla puntualità nel bene, forse anche per educazione familiare e per questo merita in ogni caso che Gesù lo guardi con amore. Tuttavia questo non è sufficiente: proprio perché lui ha una radice consolidate nei suoi doveri, è pronto e predisposto per le cose più importanti, può benissimo "uscire dai suoi ambiti abituali" e pertanto fare qualcosa di straordinario, che in questo caso riguarda la rinuncia ai beni personali a vantaggio dei poveri per la conquista del Regno. Il brano qui descritto viene di solito sfruttato per le catechesi vocazionali in ordine alla scelta del sacerdozio o della vita consacrata e in effetti in tal senso è il brano più appropriato perché nella scelta di speciale consacrazione quale quella intrapresa da sacerdoti e religiosi si intraprende inevitabilmente un itinerario di vita che impone molto coraggio e decisione: la rinuncia alla proprietà privata, alla propria libertà personale, agli affetti coniugali e della famiglia, alle proprie comodità e al vantaggio personale per la causa di Dio e di Gesù su Figlio, da scegliere in modo esclusivo, senza rimpianti e deliberatamente. Ciò nonostante il brano è di richiamo a tutti i i cristiani poiché siffatte rinunce a vantaggio di Gesù Cristo in un modo o nell'altro ci riguardano tutti, e principalmente è indispensabile in ogni caso la scelta di fuggire l'insufficienza e la banalità. Come diceva un sacerdote che ho avuto modo di incontrare il cristiano è l'uomo del "magis", cioè del "di più", che non si accontenta semplicemente di fare l'indispensabile, ma che ambisce a fare anche quello che altri non farebbero o che rimanderebbero a domani. Il "magis" che ci viene sovente chiesto ma che con troppa facilità siamo soliti eludere e disattendere è soprattutto quello dell'eroismo nel dare, della carità sincera e operosa e della disponibilità alla rinuncia sacrificata per amore degli altri. Similmente a quello che avviene in questo giovane benestante, nella maggior parte dei casi non vogliamo rinunciare alle nostre garantite e consolidate sicurezze e siamo disposti a dare agli altri solo quando abbiamo messo al sicuro noi stessi e i nostri forzieri. Solitamente ci protendiamo verso il prossimo quando ci siamo costruiti una solida base economica e in ogni caso quando il donare agli altri non comporta per noi particolari rinunce. E di conseguenza la generosità non mai cristiana, visto che si limita alla perdita del superfluo e non comporta nulla della nostra abnegazione effettiva. La richiesta del "magis" da parte di Gesù riguarda invece la capacità di perdere perfino noi stessi per donarci interamente agli altri e di essere disposti a "costruirci averi nel Cielo" donando ai poveri quelli acquisiti su questa terra, ovvero di privarci delle succitate sicurezze a volte effimere e banali per guadagnare solamente Cristo.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Il giovane ricco dice no al tesoro in cielo

Una grande domanda, quella dell'uo­mo ricco e senza nome: Maestro buo­no, cosa devo fare per trovare la vita?

La risposta di Gesù appare solenne, eppure quasi deludente: elenca cinque comanda­menti che riguardano il prossimo, e ne ag­giunge un sesto, non frodare.

Ma l'uomo ric­co non è soddisfatto: «tutto questo l'ho sem­pre osservato. Dovrei essere in pace e invece mi manca qualcosa».

Cosa c'è di meglio del dovere compiuto, tut­to e sempre? Eppure all'uomo non basta. In- quietudine divina, tarlo luminoso che rode le false paci dell'anima e fa nascere i cercatori di tesori.

Gesù lo fissa, dice Marco, come se prima non l'avesse neppure visto, e vede apparire, farsi largo, avanzare un cercatore di vita. E lo ama. Poi parla: vendi tutto, dona ai poveri, segui me. L'uomo si spaventa e si rattrista per quel­le tre parole. Marco usa un verbo come per il cielo che diventa cupo: il suo volto si oscura. Era arrivato correndo, se ne va camminando. L'uomo che fioriva di domande se ne va mu­to. Il ribelle si è arreso, il cercatore si è spa­ventato: la vetta è troppo lontana, ci vuole troppo coraggio. E non capisce che la felicità dipende non dal possesso ma dal dono, che il cuore pieno dipende non dai beni (Luca

12,15) ma dai volti, che la sicurezza non è nel denaro, ma nelle mani del Pastore grande. E per tutta la vita resterà così, onesto e triste, osservante e cupo. Quanti cristiani sono co­me lui, onesti e infelici. Osservano tutti i co­mandamenti, tutti i giorni, come lui, e non hanno la gioia: lo fanno per ottenere qualco­sa, per avere e non per essere, lo fanno come dentro un universo carcerario dove quasi tut­to è proibito e il resto è obbligatorio. Tutto sanzionato da premio o castigo. E il cuore è assente, una morale senza amori.

Gesù propone all'uomo ricco la comunione, cento fratelli, ma egli preferisce la solitudine; propone un tesoro di persone, egli ne prefe­risce uno di cose. Propone se stesso: «segui me, la mia vita è sorgente di vita buona, bel­la e beata». Ma l'uomo segue il denaro.

Tutto finito? No, a conclusione ecco un sus­sulto di speranza in una delle parole più bel­le di Gesù: tutto è possibile presso Dio. La passione di Dio è moltiplicare per cento quel poco che hai, quel nulla che sei e riempirti la vita di affetti e di luce: «ti darò un tesoro di volti, non possederai nulla eppure godrai del mondo intero, sarai povero e signore, come me». Seguirti, Signore, è stato il migliore af­fare della mia vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Vieni! Seguimi!

Gesù è "in cammino": un tale, anonimo, gli corre incontro ed inginocchiandosi davanti a lui, lo prega: "Maestro buono, cosa dovrò fare per avere in eredità la vita eterna?"

Ritorna lo stile di Marco, essenziale, ironico, spiazzante, con cui continua il cammino, che si fa sempre più preciso, della formazione dei discepoli di Gesù.

Marco non dice il nome di questo "tale" (potrebbe essere il nostro), lasciando intendere che si tratti di una persona impegnata nella ricerca del senso della propria vita, che ha la fiducia e la speranza di trovare in Gesù il maestro competente che risponda alla domanda che rimane ancora viva dentro il proprio cuore: "Maestro buono, cosa dovrò fare per avere la vita eterna?" Alla fine Marco dirà che "aveva molti beni", lasciando intendere che si tratta di una persona che con i propri mezzi può fare ciò che vuole e chiede solamente che Gesù gli dica, con la competenza del maestro autorevole, che cosa debba fare per avere anche la vita eterna. L'orizzonte nel quale questa persona cerca la risposta alla sua domanda è quello in cui si muove la fedele e diligente onestà umana.

La risposta di Gesù è anzitutto spiazzante: "Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non l'Unico, Dio". La risposta alla domanda esistenziale che questa persona cerca, non si trova sul piano del "fare" che è nella possibilità umana, ma nella relazione con l'infinita bontà che è di Dio solo.

Poi, Gesù accondiscende alla richiesta del suo interlocutore: "Tu conosci i comandamenti...", e cita quelli che riguardano i rapporti sociali. È in atto la pedagogia di Gesù: se vuol sapere che cosa deve fare, deve rifarsi ai comandamenti. La sua reazione è: "Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza!" E Gesù, "fissando lo sguardo su di lui, lo amò". Dunque è sincero, eppure nonostante il suo rigore morale, è insoddisfatto: tutto ciò che fa non spegne la questione esistenziale che rimane intatta. La sua onestà provoca in Gesù un interesse particolare che si manifesta in uno sguardo penetrante e nel suo amore per lui.

E gli dice: "Ti manca una cosa sola: va', tutto quello che hai, vendilo, donalo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni, seguimi!" A chi ha tutto e vuole sapere che cosa deve fare ancora per possedere la vita eterna, Gesù, con la sua ironia pedagogica, dice: "Ti manca una cosa sola". Che cosa gli può mancare? Gli manca di accogliere il dono che Gesù gli sta facendo: l'Amore! Egli vuole fare, rimanendo nella logica del tutto possibile a chi è ricco di mezzi umani: Gesù gli propone di uscire dal cammino razionale e tradizionale percorso fino a questo momento. Solo così può rispondere alla sua richiesta esistenziale di un tesoro nel cielo. "Va', vendi tutto, dona tutto" è la logica del diventare come i bambini, spoglio di ogni ricchezza, potere... "Vieni, seguimi": è la novità che Gesù propone, una vita nuova, affidato all'Amore del Padre, un dinamismo nuovo che non è frutto della potenza umana, ma è puro dono che si può sperimentare solo con un cuore libero, spogliato di tutto, seguendo lui.

"Ma quello, fattosi scuro in volto, per questa parola, se ne andò rattristato. In effetti aveva molti beni". Dal maestro competente, lui che aveva molti beni e la possibilità di fare cose grandi, si sarebbe aspettato proposte elaborate, progetti sublimi da realizzare, ed invece si sente dire parole "folli" razionalmente senza senso: se ne va, triste, frustrato nelle sue attese e deluso da questo maestro, che credeva buono...

Gesù non dice una parola di commento, si guarda attorno e dice una parola che riguarda tutti: "Quanto difficilmente entreranno nel regno di Dio quelli che hanno beni!..." Marco per due volte nota la reazione di stupore crescente dei discepoli di fronte alle parole (ai ragionamenti) di Gesù: anche per loro (e per noi?) rimane incomprensibile la logica della sua proposta. "Che cosa devo fare?" è la domanda più normale che ogni persona umana si pone nelle situazioni diverse della vita, soprattutto quando si tratta del problema radicale del senso della vita.

Se la risposta di Gesù dichiara l'impotenza umana di fronte al problema essenziale, la situazione è drammatica: "Chi dunque può essere realizzato?"

E la risposta di Gesù, ancora spiazzante, è meravigliosa: contiene tutta la novità del Vangelo. "Volgendo lo sguardo su di loro, disse: ?Per gli uomini è impossibile, ma non per Dio, perché tutto è possibile per Dio' ". Ciò che gli uomini desiderano, la felicità, il senso della vita, è così grande che non è raggiungibile con le loro forze: è possibile solo a Dio. Il lieto annuncio di Gesù è proprio questo: ciò che è impossibile per l'uomo, Dio lo dona a chi è come i bambini. Tutto è grazia donata a chi ha il coraggio di lasciare tutto ciò in cui razionalmente pensa di trovare il senso della vita per abbandonarsi all'Amore del Padre.

Anche Pietro sembra non capire la novità della proposta di Gesù: affidarsi alla gratuità dell'Amore del Padre che dona infinitamente di più di quanto l'uomo pensa e cerca di raggiungere con le proprie forze.

Anche Pietro deve ancora convincersi che la logica razionale della ricompensa che viene da Dio per ciò che l'uomo fa', non è niente di fronte a ciò che a noi sembra stoltezza, ma è sapienza di Dio, la follia dell'onnipotenza dell'Amore che si dona gratuitamente a chi, come un bambino, si lascia abbracciare da lui.

Questo brano è meraviglioso: se quel tale avesse gustato fino in fondo lo sguardo di Gesù e il suo Amore...! Se Pietro (e noi) avessimo il coraggio di abbandonare i nostri calcoli e lasciassimo spazio libero alla forza dell'Amore con cui lui ci avvolge...!

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXVIII Domenica del TEmpo Ordinario (Anno B) 11 ottobre 2015

tratto da www.lachiesa.it