26 luglio 2015 - XVII Domenica del Tempo Ordinario: Pane e Parola

News del 24/07/2015 Torna all'elenco delle news

Di pane si parla tanto nella Bibbia e con significati diversi secondo le circostanze. Dove esso indica il lavoro, il sudore e la fatica, dove l'angoscia (il pane di lacrime), dove la gioia. Il prezioso alimento viene messo in relazione con il lievito, anche per indicare consuetudini e usanze palestinesi e soprattutto per ricordare la notte della fuga del popolo dall'Egitto, quando il pane non potè fermentare per la fretta e l'agitazione di quella che sarebbe divenuta la notte della "Pasqua del Signore". Secondo alcuni esegeti, il pane non lievitato rappresenterebbe poi l'umiltà e l'assenza di orgoglio: come il lievito fermenta e ispessisce la massa della pasta, così l'orgoglio e la presunzione rendono tronfio e perverso il cuore dell'uomo. Che il pane sia comunque associato alla Parola di Dio è abbastanza evidente, come pure è certo che pane e messaggio divino si equivalgono e che nutrirsi della Parola, nella Scrittura, risulta metaforicamente necessario come sostentarsi mangiando pane. E così da parte degli "uomini di Dio" si operano miracoli inerenti all'alimento di farina, lievito e acqua. Già Elia nel famoso incontro con la vedova di Zarepta si era manifestato vero servo di Dio provvedendo al sostentamento della stessa donna, del figlioletto e di se stesso moltiplicando prodigiosamente le minuscole quantità di farina nella giara e di olio nell'orcio (1Re17, 9- 16). Eliseo, che aveva già moltiplicato l'olio della povera vedova oppressa da pendenze e debiti (2Re 4, 3), adesso si trova a confidare nella grazia del Signore quando il suo servitore obietta che il "pane di primizie", per quanto abbondante perché di generosa provenienza, non è in grado di sfamare un centinaio di persone. Nonostante l'esiguità di quel cibo e il numero sproporzionato di persone avviene che tutti mangiano a sazietà di quei venti pani d'orzo e del grano novello e questo consolida la posizione di Eliseo, successore di Elia, quale uomo di Dio. Avendo associato il pane alla presenza del Signore o comunque messo in relazione tale alimento con la grandezza e la signoria divina, afferma se stesso come il latore e il dispensatore del divino messaggio e per ciò stesso è attendibile presso tutto il popolo d'Israele (2Re 4, 42 - 44). Sempre Eliseo poco prima aveva anche fatto gettare della farina nella pentola di minestra avvelenata che i figli dei profeti rifiutavano di mangiare, rendendo la pietanza ben commestibile. Farina, grano, orzo e pane sono elementi di vita e di sazietà ma non senza riferimenti al Signore e alla sua Parola, che diventa per antanaclasi alimento indispensabile per la nostra sazietà materiale e spirituale. Come non potrebbe fare a meno del grano e suoi composti, così l'uomo non può mancare di trarre nutrimento da Dio e di alimentarsi della sua Rivelazione.

Ed è per questo che Gesù, Parola del Dio Vero fatta carne, realizza questo sintomatico episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci alla gente convenuta da ogni parte per pendere dalle labbra di chi veniva considerato il Maestro apportatore di salvezza. Non era stata una semplice curiosità quella che aveva spinto tutta quella turba di gente attorno a Gesù; era la consapevolezza che la sua parola doveva avere qualcosa di straordinario e chi l'avrebbe ascoltata ne avrebbe acquisito vantaggio e beneficio. Dovevano ascoltare e assimilare gli insegnamenti di Gesù, anche a costo di restare digiuni e deperiti. Il Figlio di Dio soddisfa ovviamente la loro fame spirituale, ma non trascura le loro necessità fisiche: non occorre andare a spendere quei 200 denari per procurarsi del pane per cinquemila (e più) persone, ma è sufficiente tacciare un segno di benedizione su quei pochi pani e pesci che casualmente un ragazzo ha portato: essi sono in grado di sfamare una grande moltitudine di gente accosciata appositamente sull'erba.

Forse poche volte noi consideriamo un aspetto molto importante di questo episodio miracolistico: la Parola di Dio quando viene condivisa non può che diventare occasione di agape e di fraternità che prendono corpo espressamente nella consumazione di un pasto insieme. Personalmente ritengo che negli incontri di catechesi e di spiritualità organizzati per i gruppi non debba mancare un seguito fraterno di consumazione almeno ad attestare la compartecipazione che la Parola stessa che abbiamo ascoltato e meditato ora suscita in tutti noi. Il pasto sull'erba organizzato da Gesù suscita koinonia fra persone che socializzano e condividono dopo aver ascoltato la Parola di Dio in Gesù Cristo. Dopo aver ascoltato Gesù Verbo del Padre. Se nell'Antico Testamento il pane è associato sempre alla Parola di Dio, Gesù poi dirà "Io sono il pane vivo disceso dal cielo" indicando la necessità universale di trarre nutrimento da lui. La moltiplicazione dei pani ci introduce al mistero della sua identità con il "pane di vita e di salvezza" che è lo stesso Signore Gesù Risorto e ci dischiude la comunione con lui e fra di noi in questo Alimento di vita. Mangiare di Gesù pane vivo significa immedesimarsi in lui e, sull'esempio di questi cinquemila devoti all'ascolto, assimilare e vivere di lui giorno per giorno. Ma non si tratta solamente di un pasto figurato denso di spiritualità. Esso ci ricorda l'appuntamento festoso dello "spezzare il pane " eucaristico domenicale, evento nel quale Egli ci si offre come suo Corpo reale e sostanziale, nutrendoci del quale assumiamo sempre più costanza e determinazione nella vita.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Quel lievito di un pane che non finisce

La moltiplicazione dei pani è qualcosa di così importante da essere l'unico miracolo presente in tutti e quattro i Vangeli. Più che un miracolo è un segno, fessura di mistero, segnale decisivo per capire Gesù: Lui ha pane per tutti, lui fa' vivere! Lo fa' offrendo ciò che nutre le profondità della vita, alimentando la vita con gesti e parole che guariscono dal male, dal disamore, che accarezzano e confortano, ma poi incalzano.

Cinquemila uomini, e attorno è primavera; sul monte, simbolo del luogo dove Dio nella Bibbia si rivela; un ragazzo, non ancora un uomo, che ha pani d'orzo, il pane nuovo, fatto con il primo cereale che matura. Un giovane uomo, nuovo anche nella sua generosità. Nessuno gli chiede nulla e lui mette tutto a disposizione; è poca cosa ma è tutto ciò che ha. Poteva giustificarsi: che cosa sono cinque pani per cinquemila persone? Sono meno di niente, inutile sprecarli.

Invece mette a disposizione quello che ha, senza pensare se sia molto o se sia poco. È tutto!

Ed ecco che per una misteriosa regola divina quando il mio pane diventa il nostro pane, si moltiplica. Ecco che poco pane condiviso fra tutti diventa sufficiente. C'è tanto di quel pane sulla terra, tanto di quel cibo, che a non sprecarlo e a condividerlo basterebbe per tutti. E invece tutti ad accumulare e nessuno a distribuire! Perché manca il lievito evangelico. Il cristiano è chiamato a fornire al mondo lievito più che pane (de Unamuno): ideali, motivazioni per agire, sogni grandi che convochino verso un altro mondo possibile.

Alla tavola dell'umanità il cristianesimo non assicura maggiori beni economici, ma un lievito di generosità e di condivisione, come promessa e progetto di giustizia per i poveri. Il Vangelo non punta a realizzare una moltiplicazione di beni materiali, ma a dare un senso a quei beni: essi sono sacramenti di gioia e comunione.

Giovanni riassume l'agire di Gesù in tre verbi: «Prese il pane, rese grazie e distribuì». Tre verbi che, se li adottiamo, possono fare di ogni vita un Vangelo: accogliere, rendere grazie, donare. Noi non siamo i padroni delle cose, le accogliamo in dono e in prestito. Se ci consideriamo padroni assoluti siamo portati a farne ciò che vogliamo, a profanare le cose. Invece l'aria, l'acqua, la terra, il pane, tutto quello che ci circonda non è nostro, sono "fratelli e sorelle minori" da custodire.

Il Vangelo non parla di moltiplicazione, ma di distribuzione, di un pane che non finisce. E mentre lo distribuivano non veniva a mancare, e mentre passava di mano in mano restava in ogni mano. Come avvengano certi miracoli non lo sapremo mai. Ci sono e basta. Ci sono, quando a vincere è la legge della generosità.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Testimoni di una carità concreta ed operativa

La prima lettura della parola di Dio di questa XVII domenica del tempo ordinario, come pure il vangelo di oggi, tratto da San Giovanni Evangelista ci parlano della moltiplicazione dei pani. Possiamo dire si fa riferimento in questi due testi a due speciali interventi di Dio e di Gesù, Figlio di Dio per venire incontro alle necessità materiali ed alimentari delle persone che seguono Cristo, nel testo del Vangelo, e delle persone che seguono il profeta Eliseo, nel testo della prima lettura, tratta dal secondo libro dei Re.

Due testi, due miracoli, due opportunità di fare del bene, due occasioni per dimostrare come l'amore vero e sincero delle persone verso altre persone passa attraverso gesti concreti di solidarietà e di attenzione. Dar da mangiare agli affamati è uno dei doveri fondamentali di ogni persona credente, cristiano o non cristiano, perché credere in Dio, significa credere nell'amore, nel servire l'uomo in necessità. La fede non è teorizzazione di concetti teologici, la fede è vivere accanto al fratello e sapere aiutarlo, potendolo fare, proprio nel momento del bisogno. Sia il profeta Eliseo e sia Gesù non si tirano indietro o demandando gli altri il compito di sovvenire alle necessità reali ed immediate dei fratelli che stanno lì proprio per loro, per ascoltare la loro parola. Il profeta Eliseo ha fede nella provvidenza di Dio che fa i miracoli della generosità, quando meno uno se li aspetta. Gesù, invece, avendone lui stesso il potere, fa' che i pochi pani e pesci a disposizione in quel momento per una folla innumerevole si trasformi in un cibo abbondante per tutti. L'amore sa moltiplicare all'infinito le poche cose che so possiedono, anche nell'ordine delle cose materiali. Il messaggio è chiaro. Nessuno di noi può lavarsi le mani di fronte ai bisogni fondamentali delle persone come quello del cibo e dell'alimentazione. Questi testi biblici, soprattutto il vangelo si addicono perfettamente anche al momento che stiamo vivendo a livello mondiale, con una crisi economica spaventosa, per la mancanza di lavoro e di conseguenza di cibo ed alimentazione a sufficienza per tutti. Mentre è ancora in svolgimento la Expo di Milano 2015, dedicata poi all'alimentazione, "Nutrire il Pianeta, Energia per la vita", è quanto mai appropriato far meditare su questi passi biblici non solo quanti sono, per vocazione, chiamati a commentare i testi biblici alla domenica, durante l'omelia, come i sacerdoti, i diaconi, i vescovi, il Papa, ma i tecnici della alimentazione mondiale. Migliorare il mondo assicurando a tutti un cibo buono e sufficiente. Una parte molto vasta di popolazione mondiale, ancora oggi muore letteralmente di fame; la povertà avanza anche nei paesi del benessere, come l'Italia, che oggi registra un aumento di poveri e di famiglie in difficoltà, perché non riescono ad assicurare cibo, vestito, studi e il necessario soprattutto ai bambini e giovani. Cosa fare? Bisogna prendere esempio da Gesù: moltiplicare il cibo per tutti non contando sui miracoli, ma su una visione nuova della distribuzione delle ricchezze dei beni. Il cibo è sufficiente per tutti e la Terra può soddisfare in modo completo i bisogno di cibo di tutta la popolazione. Si tratta di fare un discorso di politica alimentare che passi attraverso decisioni sagge e rispettose di tutti gli esseri umani. Ci ha ricordato Papa Francesco in questo messaggio per l'apertura dell'Expo: "Oggi, infatti, nonostante il moltiplicarsi delle organizzazioni e i differenti interventi della comunità internazionale sulla nutrizione, viviamo quello che il santo Papa Giovanni Paolo II indicava come "paradosso dell'abbondanza". Infatti, "c'è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l'uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo paradosso continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica". Per superare la tentazione dei sofismi - quel nominalismo del pensiero che va oltre, oltre, oltre, ma non tocca mai la realtà - per superare questa tentazione, vi suggerisco tre atteggiamenti concreti. Prima di tutto andare dalle urgenze alle priorità. Il Papa denuncia: "Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa". Questo è il frutto della legge di competitività per cui il più forte ha la meglio sul più debole. Attenzione: qui non siamo di fronte solo alla logica dello sfruttamento, ma a quella dello scarto; infatti "gli esclusi non sono solo esclusi o sfruttati, ma rifiuti, sono avanzi". E allora bisogna rinunciare all'autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e agire anzitutto sulle cause strutturali della inequità. In secondo luogo dice il Papa che bisogna essere "testimoni di carità". "Dobbiamo convincerci che la carità "è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro­relazioni: rapporti sociali, economici, politici. Per favore, siate coraggiosi e non abbiate timore di farvi interrogare nei progetti politici ed economici da un significato più ampio della vita perché questo vi aiuta a "servire veramente il bene comune" e vi darà forza nel "moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo". Infine essere custodi e non padroni della terra. Dinanzi ai beni della terra siamo chiamati a "non perdere mai di vista né l'origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale", così dice la dottrina sociale della Chiesa. La terra ci è stata affidata perché possa essere per noi madre, capace di dare quanto necessario a ciascuno per vivere. Una volta, ho sentito una cosa bella: la Terra non è un'eredità che noi abbiamo ricevuto dai nostri genitori, ma un prestito che fanno i nostri figli a noi, perché noi la custodiamo e la facciamo andare avanti e riportarla a loro. La terra è generosa e non fa mancare nulla a chi la custodisce. La terra, che è madre per tutti, chiede rispetto e non violenza o peggio ancora arroganza da padroni. Dobbiamo riportarla ai nostri figli migliorata, custodita, perché è stato un prestito che loro hanno fatto a noi. L'atteggiamento della custodia non è un impegno esclusivo dei cristiani, riguarda tutti. Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi della tenerezza". Custodire la terra non solo con bontà, ma anche con tenerezza. Ecco dunque tre atteggiamenti che ci offre per superare le tentazioni dei sofismi, dei nominalismi, di quelli che cercano di fare qualcosa ma senza la concretezza della vita. Scegliere a partire dalla priorità: la dignità della persona; essere uomini e donne testimoni di carità; non aver paura di custodire la terra che è madre di tutti.

Nella domenica del vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, parole più appropriate e sagge per meditare su tale vangelo, al momento, non ce ne sono. Sia questa la nostra preghiera oggi: "O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo, aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito". Alla quale aggiungiamo il Padre Nostro, ricordando a noi tutti di pregare perché non manchi il cibo quotidiano non solo sulle nostre tavole, ma su quelle di tutti gli uomini della terra. Facciamo nostro l'invito dell'Apostolo Paolo, nella lettera agli Efesini, che oggi leggiamo per tutti i cristiani.

Nel nome di Dio e per motivi di fede vera e operativa a nessun uomo della terra deve mancare il pane quotidiano e il cibo che lo sostiene nel cammino della vita presente. Anche attraverso il nostro agire ed operare, nel poco o nel grande, nessuno dica, non posso fare nulla o non ho nulla da dare. Anche il più povero più dare tanto a chi è ricco: Partire dal cuore e dalla generosità è il primo passo per vivere da cristiani come Gesù ci ha insegnato proprio moltiplicando quei pochi pani e pesci messi a disposizione per tutti. Il miracolo della carità e dell'amore, passa attraverso il rinunciare a se stessi per dare con generosità agli altri.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 26 luglio 2015