26 ottobre 2014 - XXX Domenica del Tempo Ordinario: Amare, l'unico comandamento

News del 25/10/2014 Torna all'elenco delle news

Qual è il grande comandamento? Gesù risponde indicando qualcosa che sta al centro dell'uomo: tu amerai. Lui sa che la creatura ha bisogno di molto amore per vivere bene. E offre il suo Vangelo come via per la pienezza e la felicità di questa vita.

Amerai Dio con tutto, con tutto, con tutto. Per tre volte Gesù ripete che l'unica misura dell'amore è amare senza misura. Ama Dio con tutto il cuore: totalità non significa esclusività. Ama Dio senza mezze misure, e vedrai che resta del cuore, anzi cresce, per amare i tuoi familiari, gli amici, te stesso. Dio non è geloso, non ruba il cuore: lo moltiplica.

Ama con tutta la mente. L'amore rende intelligenti, fa capire prima, andare più a fondo e più lontano. Ama con tutte le forze. L'amore rende forti, capaci di affrontare qualsiasi ostacolo e fatica.

Da dove cominciare? Dal lasciarsi amare da Lui, che entra, dilata, allarga le pareti di questo piccolo vaso che sono io. Noi siamo degli amati che diventano amanti.

Domandano a Gesù qual è il comandamento grande e Lui invece di un comandamento ne elenca due: amerai Dio, amerai il prossimo.

Gesù non aggiunge nulla di nuovo: il primo e il secondo comandamento sono già scritti nella Bibbia. Eppure dirà che il suo è un comando nuovo. Dove sta la novità? Sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l'unico comandamento. E dice: il secondo è simile al primo. Amerai l'uomo è simile ad amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio. Questa è la rivoluzione di Gesù: il prossimo ha volto e voce e cuore simili a Dio. Il volto dell'altro è da leggere come un libro sacro, la sua parola da ascoltare come parola santa, il suo grido da fare tuo come fosse parola di Dio.

«Sul tuo corpo volteggiano angeli

come intorno a una chiesa

... e di Lui sono i tuoi occhi» (Turoldo).

Amerai il tuo prossimo come ami te stesso. È quasi un terzo comandamento sempre dimenticato: «ama te stesso», perché sei come un prodigio, porti l'impronta della mano di Dio. Se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e possedere, fuggire o violare, senza gioia né gratitudine. Se per te desideri pace e perdono, questo tu offrirai all'altro. Se per te desideri giustizia e rispetto, tu per primo li darai.

Ma perché amare, amare con tutto me stesso? Perché portare il cuore a queste vertigini? Perché dare e ricevere amore è ciò su cui posa la beatitudine della vita.

Perché Dio-amore è l'energia fondamentale del cosmo, e amando partecipi di questa energia: quando ami, è il Totalmente Altro che viene perché la storia sia totalmente altra da quello che è.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Sottomettersi all'amore

Si riunirono insieme

La società ebraica al tempo di Gesù era frammentata in gruppi sociali con idee e abitudini molto diverse in campo religioso, politico, economico, relazionale, spesso in avversione gli uni gli altri. Matteo ci racconta che, lasciate da parte le rivalità, farisei e sadducei si coalizzano, un dottore della Legge interroga Gesù su una questione spinosa che teneva accesi i dibattiti di allora. Le scuole rabbiniche del tempo discutevano sulla priorità dei comandamenti, ogni scuola poteva anche proporre nuove interpretazioni, ma sempre sostenute dall'autorità di un maestro anteriore e autorevole. I precetti erano stati codificati in 613 (numero corrispondente alla parola «Toràh»), di cui 248 positivi (quante sono le parti del corpo) e 365 negativi (quanti i giorni dell'anno). Per i farisei il popolo aveva difficoltà a districarsi nella complessità delle prescrizioni mettendo a rischio la salvezza (Cfr. Mt 24,3). Molte scuole rabbiniche, però, affermavano che il riposo del sabato equivaleva all'adempimento di tutta la Legge, mentre la disobbedienza del sabato era trasgressione di tutti i comandamenti e punita con la morte (Es 31,14).

Gli rispose

Gesù non si sottrae alla risposta ma va oltre la questione posta per condurci «altrove», all'essenza stessa della Toràh che coglie nello «Shemà Israel» (Ascolta Israele, Dt 6,4-9), il «Credo» che gli ebrei recitavano due volte al giorno. Il grande e primo comandamento ha bisogno però di un secondo che gli è simile per esplicitare e concretizzare il primo e che Gesù fa emergere dal libro del Levitico (19,18).

Il passaggio indicato è a dir poco rivoluzionario, infatti è essenza di ogni religione la soggezione a Dio e alle sue regole (o quelle ritenute tali), la sottomissione alla volontà divina più o meno palesata. Gesù invece mette l'accento sulla relazione d'amore totalizzante, che impegna tutta la persona: cuore, anima, mente.

Gesù manifesta la sua contrarietà ad una religione sottomessa, formale, passiva, deresponsabilizzante, senza convinzione, a favore di una fede relazionale, positiva, impegnativa, convinta, operativa (cfr. anche Mt 7,21; 23,3.23-27, ecc.).

È nell'amore che tutto acquista senso e significato, l'uomo riceve dignità, si immette nella dinamica della relazione con Dio e con gli altri, si libera dall'abitudine, scopre la novità di se stesso e del mondo che lo circonda, si proietta nel futuro (Cfr. 1Cor 13,8).

Dipendono tutta la Legge e i Profeti 

Dio è molto più vicino all'uomo di quanto l'uomo non tenti di tenerlo distante, di proiettarlo nella sfera celeste dell'irraggiungibile. Il Dio della Scrittura è un Dio vivo, che parla, minaccia, entra nella storia dell'uomo, ascolta il grido del povero e si mette a gridare anche lui.

Il Dio che la Scrittura ci fa conoscere e che ci chiede di amare con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente è Dio di "Abramo, Isacco e Giacobbe", è Dio dell'uomo e per l'uomo, che diventa uomo in Cristo Gesù.

Il Figlio di Dio fatto uomo semplifica tutta la tradizione scritta e orale in una sola fondamentale parola «amore»: In questi due comandamenti tutta la Legge è appesa e i Profeti (Letteralmente). Senza la relazione d'amore tutto crolla rovinosamente, ogni interpretazione della scrittura perde il suo senso e con essa tutte le norme, prescrizioni, forme di culto, la stessa idea di religione.

Indirettamente Gesù muove una accusa forte ai farisei che all'amore e alla verità preferiscono la fedeltà alle forme.

Tutto il capitolo seguente (Mt 23) manifesta l'avversione di Gesù per coloro che pagano la tassa sulle erbe del campo e non sono capaci di misericordia (Cfr. Mt 23,23). A nulla serve l'osservanza dei precetti se si trasgredisce il comandamento di Dio in nome della tradizione degli uomini (Cfr. 15,3).

Neppure «uno iota» della Legge verrà meno (Cfr. Mt 5,18), la fedeltà alla Scrittura è un assoluto ma è necessario liberarci da tutta la tradizione che si è incuneata nella dinamica religiosa togliendo vigore e verità alla Parola di Dio che nell'amore ha il suo centro e cardine: Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. (1Gv 7-8).

Omelia di don Luciano Cantini

 

Amore per Dio e Amore per il prossimo

La grande lezione del Vangelo di oggi è proprio il comandamento dell'Amore:

Amore per Dio e Amore per il prossimo. Attenzione questo comandamento non è scisso.

Amore per Dio da solo farebbe cadere il nostro rapporto con Lui in idolatria.

Amore per il prossimo da solo condurrebbe il tutto nella dimensione bella, ma nello stesso tempo della filantropia.

Ma chi è il mio prossimo?

La parabola del buon Samaritano, che cura il ferito abbandonato dagli altri, conduce a una chiarificazione. Il concetto di «prossimo» era riferito, fino ad allora, ai connazionali; adesso questo limite viene abolito. Chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo.

Nel Giudizio finale Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù e in Gesù incontriamo Dio.

L'amore del prossimo può realizzarsi quando imparo a guardare l'altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all'altro lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno.

Amore di Dio e amore del prossimo sono un unico comandamento. Entrambi vivono dell'amore di Dio che ci ha amati per primo.

«Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui". Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con chiarezza il centro della fede cristiana. Ho creduto all'amore di Dio: così il cristiano esprime la scelta fondamentale della sua vita.

Allora il nostro impegno caritativo deve avere queste direttrici:

- l'attività caritativa cristiana, oltre che sulla competenza professionale, deve basarsi sull'esperienza di un incontro personale con Cristo, il cui amore ha toccato il cuore del credente suscitando in lui l'amore per il prossimo;

- l'attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie. Il programma del cristiano - il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù - è «un cuore che vede». Questo cuore vede dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente;

- l'attività caritativa cristiana, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L'amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l'azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'amore. L'inno alla carità di San Paolo (cfr 1 Cor 13) deve essere la Magna Carta dell'intero servizio ecclesiale per proteggerlo dal rischio di degradare in puro attivismo.

In questo contesto, e di fronte all'incombente secolarismo che può condizionare anche molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo, bisogna riaffermare l'importanza della preghiera. Il contatto vivo con Cristo evita che l'esperienza della smisuratezza del bisogno e dei limiti del proprio operare possano, da un lato, spingere l'operatore nell'ideologia che pretende di fare ora quello che Dio, a quanto pare, non consegue o, dall'altro lato, diventare tentazione a cedere all'inerzia e alla rassegnazione. Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione sembra spingere unicamente all'azione, né pretende di cambiare o di correggere i piani di Dio, ma cerca - sull'esempio di Maria e dei Santi - di attingere in Dio la luce e la forza dell'amore che vince ogni oscurità ed egoismo presenti nel mondo.

Omelia di don Michele Cerutti

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 26 ottobre 2014

tratto da www.lachiesa.it