10 agosto 2014 - XIX Domenica del Tempo Ordinario: verso il Signore nella bellezza della fede

News del 08/08/2014 Torna all'elenco delle news

"Subito dopo costrinse i discepoli a sa­lire sulla barca e a precederlo sull'al­tra riva, finché non avesse congedato la folla". Un passaggio commovente: Gesù fa fatica a lasciare la gente, non vuole andarse­ne finché non li ha salutati tutti, così come noi facciamo fatica a lasciare la casa di ami­ci cari dopo una cena in cui abbiamo con­diviso il pane e l'affetto.

Era stato un giorno speciale, quello, il labo­ratorio di un mondo nuovo: un fervore di so­lidarietà, un moltiplicarsi di mani, di cuori, di cure per portare il pane a tutti, la fame dei poveri saziata, era il suo sogno realizzato.

Ora, profumato di abbracci, desidera l'ab­braccio del Padre: congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare, a condividere con lui la sua gioia: sì, Padre, si può! Portare il tuo regno sulla terra si può! Un colloquio festoso, un abbraccio che dura fino quasi al­l'alba. Ora sente il desiderio di tornare dai suoi. Di abbraccio in abbraccio: così si muo­veva Gesù.

Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare... Pietro allora gli dis­se: Signore se sei tu, comandami di venire ver­so di te sulle acque. Ed egli gli disse: Vieni!

Se sei figlio di Dio... notiamo che pronuncia le stesse parole del tentatore nel deserto: se sei figlio di Dio, buttati e verranno gli ange­li. Se vuoi fare il Messia devi essere potente, conquistare gli uomini con i miracoli, di­menticare la follia della croce.

Pietro nella sua richiesta, coraggiosa e scri­teriata insieme, domanda due cose: una giu­sta e una sbagliata. Comanda che io venga verso di te, richiesta bella, perfetta: andare verso Dio! Ma poi sbaglia chiedendo di an­darci camminando sulle acque. A che cosa serve questa esibizione di potenza fine a se stessa, clamorosa ma sterile, questo inter­vento divino che non ha come scopo il be­ne delle persone? Che è all'opposto di ciò che si era verificato la sera prima, con i pani e i pesci? E infatti è un miracolo che fallisce, che non va a buon fine, e Simone inizia ad affondare. Pietro si rivela uomo di poca fede non quando è travolto dalla paura delle on­de, del vento e della notte, ma prima, quan­do chiede questo genere di segni per il suo cammino di fede.

Pietro tu andrai verso il Signore, ma non cam­minando sul luccichio illusorio di acque mi­racolose, bensì sulla strada polverosa del buon samaritano; andrai verso Gesù, ma prolungando il suo modo di vivere, di acco­gliere, di inventare strade che conducano al cuore dell'uomo. Pietro, emblema di tutti i credenti, imparerà a camminare verso un mondo nuovo contando non sulla forza di imprevedibili miracoli ma sulla forza prodi­giosa di un amore quotidiano che non si ar­rende, sulla bellezza di una fede nuda.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Coraggio, sono Io, non abbiate paura

Tante volte, ed è naturale, vorremmo ?sentire' Dio vicino, quasi vederlo. Quando, soprattutto nelle difficoltà, Lo vorremmo vicino e ci pare di non sentirLo, è facile abbandonarsi al senso pericoloso dell'abbandono o della solitudine.

Ci viene incontro, ad aiutare la nostra fede e, quindi, incoraggiarci, quanto oggi racconta la Bibbia, nel I Libro dei Re 19, 11-13: il profeta Elìa, che fuggiva, per non soccombere all'ira di Gezabele, moglie del re Acab, - ?sono rimasto solo, cercano di togliermi la vita' - ma incontra Dio nel ?mormorìo di un vento leggero' e così riprende la sua missione, forte della Presenza del Signore.

È il segreto di tanti santi e di tanti cristiani, ancora oggi, che, trovandosi in difficoltà, travolti dalle sofferenze o dalle incomprensioni, con la voglia di abbandonare tutto, si affidano al silenzio, sicuri che lì incontreranno Chi li solleva.

In questi giorni di vacanza, per molti, - purtroppo non tutti - è giusto che si metta in disparte ciò che ogni giorno ci assorbe completamente e nel riposo si trovi modo di ritrovare ciò che davvero conta nella vita. È necessario creare un'atmosfera di silenzio dentro e fuori di noi, in modo che nella serenità, si possa discernere ciò che va coltivato e ciò che, forse, va corretto.

Davvero le persone intelligenti e di buona volontà sanno riscoprire in questo tempo prezioso, il modo di mettere ordine nella vita, soprattutto guardando a Gesù.

Il chiasso che il mondo crea attorno a noi, il più delle volte è solo una distrazione, per allontanare le paure e le inconsistenze che ci portiamo dentro, ma rischia solo di farci tornare a casa con altro ?amaro in bocca'.

La mia abitudine, per tanti anni, nel periodo di riposo, era di andare, ospite di una cara famiglia, in un paese del Trentino. La montagna era un'occasione di fare tante camminate e, nel silenzio, ritrovare la verità della vita: far magari emergere l'inutile o il dannoso per una vita secondo Cristo, vero ed unico modello per il qui e il dopo. Se la vacanza era riposo del corpo e della mente, il silenzio era la preziosa occasione per ritrovare me stesso e gustare la Presenza del Signore nel cuore e nella mia vita. Tante le persone che incontravo sul cammino. Con loro sorgeva l'occasione di dialogare, confrontarsi e sempre si ripartiva diversi, più sereni. Si tornava a casa rinnovati, con il coraggio di ricominciare o di continuare, che è anche l'esempio che ci offre oggi Gesù, nel Vangelo. Racconta Matteo: "Congedata la folla, Gesù salì sul monte, solo, a pregare".

Colpisce questo intenso desiderio di Gesù di ?stare solo e pregare'. Un invito a imitarLo.

Ed insiste il Vangelo: "Venuta la sera, egli se ne stava ancora lassù, solo". La barca, intanto, distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte, egli venne verso di loro, camminando sul mare. I discepoli, vedendolo camminare sul mare, furono turbati e dissero: ?E' un fantasma' e si misero a gridare dalla paura, ma subito Gesù parlò loro: ?Coraggio, sono Io, non abbiate paura'".

È bello pensare la nostra fede, il nostro rapporto con Gesù, così.

Tutti sentiamo l'asprezza della vita che, a volte, è come una traversata burrascosa sul mare dell'esistenza. La famiglia, il lavoro, le malattie, le difficoltà, le incomprensioni e tante altre situazioni si fanno sentire a volte ?le ossa rotte'.

Ma ciò che più ci svuota è sentirsi ?come persi', simili agli apostoli sulla barca, in mare agitato, con la sensazione che nessuno possa darci una mano...se non Dio....o un vero amico.

Ed è proprio in quei momenti che deve tornare alla mente Gesù che, se da un lato ci invita a salire sulla barca, dall'altro se ne sta in disparte, ma veglia su di noi, pronto a venirci incontro.

Ma per poter sentire la Sua Presenza, che è sempre discreta, ?un vento leggero', occorre saper disporre il nostro cuore all'ascolto. E questo, delle vacanze, come ho detto può essere un tempo prezioso. Ascoltiamo l'invito al riguardo del Papa ?docile allo Spirito Santo', S. Giovanni XXIII:

L'aria, il sole, il mare, le terme inducono a pensare agli ammalati e ai sofferenti; e di conseguenza riflettere sull'importanza della salute fisica, che, pur così fragile, è indispensabile al compimento dei doveri quotidiani: ?Non si deve sciupare la salute' è il corollario imperioso del quinto comandamento; e sembrerebbe perlomeno improprio il doverlo ricordare a chi cerca il sollievo delle vacanze per ritemprare la salute fisica, se l'esperienza non insegnasse a quanti strapazzi, irrequietezze e anche veri e propri pericoli del corpo e dello spirito vadano spesso incontro gli ospiti dei luoghi di villeggiatura... Dovete ricordare agli uomini delle città, che vanno ai mari, ai laghi, ai monti, alle verdi e sconfinate pianure: queste mete non siano occasione di spirituale dispersione, o pretesto per evasioni a incontrollate libertà, favorite dal sentirsi al di fuori delle consuetudini di vita. Fate comprendere che nei periodi di vacanze, di onesto e legittimo svago, gli uomini debbono e possono inserirsi nella natura, per ritrovarvi la serenità, la calma, l'armonia interiore; e avviene altresì una ripresa di colloquio spirituale, che apre gli orizzonti della vita soprannaturale della grazia. Questa è la finalità ultima del vedere, del peregrinare, del godere le bellezze, che la mano del Padre Celeste ha seminato nella creazione, come un'orma della sua sapienza e bellezza eterna: ?Tu apri la tua mano e riempi di benedizione ogni vivente' (Salmo 144, 16).

Nelle ?tempeste' della vita dobbiamo ritrovare momenti di silenzio, di preghiera, di calma, per riscoprire la Presenza di Dio nella nostra vita. Le vacanze possono essere davvero una grande opportunità per fare un esame della vita e cercare un domani più vero secondo Dio.

Questa è la bellezza del momento di ?riposo'. E allora risentiremo nel cuore la voce del Maestro:

"Coraggio, non temete, sono Io!".

Omelia di mons. Antonio Riboldi

 

"Costretti" da Dio a metterci in gioco

Mi colpisce, nel brano di Vangelo di questa domenica, un atteggiamento di Gesù che oserei definire quantomeno inconsueto. Non siamo soliti, infatti, imbatterci in un Gesù sbrigativo e impositivo, esigente quasi al limite dell'autoritarismo. Dice l'inizio del brano di oggi che Gesù, dopo che la folla si era sfamata con i cinque pani e i due pesci tra di loro condivisi, si diresse ai discepoli "costringendoli subito a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva" del lago di Galilea. Questo, "finché egli non avesse congedato la folla". Che poi in realtà non fu così, perché una volta congedata la folla, si ritirò solo sul monte a pregare e ci rimase buona parte della notte. Mi sono chiesto il perché: che bisogno c'era di costringere i discepoli a salire in fretta sulla barca e a precederlo sull'altra sponda del lago, se poi lui si è attardato tanto nel pregare da solo sul monte, senza nemmeno preoccuparsi di come poter giungere dall'altra parte? Di certo, il motivo di una fretta imposta in maniera così tassativa non doveva essere quello di raggiungere presto l'altra riva (stando a questo brano, tra l'altro, nemmeno ci arrivano, dall'altro lato...). Come mai, allora, Gesù aveva fretta che i discepoli salissero sulla barca e si mettessero a navigare? Voglia di stare un po' da solo? Può darsi. Desiderio intenso di stare in dialogo con Dio suo Padre? Quasi certamente sì. Ma per fare questo, non c'era certo bisogno di "costringere" i discepoli ad andarsene di fretta. Anche perché - e lo sviluppo della narrazione lo conferma - stava arrivando il maltempo, e mettersi in acqua con il vento contrario non era la cosa più saggia: non bisognava certo insegnare queste cose a dei vecchi lupi di mare come Pietro e compagni...

E forse questo è un particolare che ci aiuta a comprendere l'indisponibilità da parte dei discepoli a salire in barca e la conseguente "costrizione" da parte di Gesù. Se poi confrontiamo la narrazione del miracolo dei pani e dei pesci di Matteo con il testo parallelo del capitolo 6 di Giovanni, ci accorgiamo che la fretta di Gesù nel congedare i discepoli e scappare dalla folla era dettata dal loro tentativo di farlo re per il prodigio che aveva compiuto: lungi dall'accettare questo, si spiega il perché di voler rimanere da solo in fretta e furia. Quasi a dire ai discepoli: "Poche storie, salite in barca, anche se il tempo non è il massimo, e invece di pensare a cose trionfalistiche e a facili successi, fatevi trovare pronti dall'altra parte del lago, per ricominciare la nostra missione", tra l'altro in territorio pagano. E che il maltempo abbia reso davvero difficile la navigazione non stentiamo a crederlo: per attraversare il Lago di Galilea (15 chilometri, nel punto più largo) non era necessaria una notte intera, e se Gesù si presenta a loro in mezzo alle acque "sul finire della notte", mentre essi stavano navigando già dalla sera precedente, beh...allora vuole proprio dire che era quasi impossibile navigare. E questo, fa capire come mai i discepoli in barca non volessero proprio andarci, avendo tra l'altro dinanzi una prospettiva migliore di quella della missione permanente: potevano benissimo lasciarsi trascinare da un'altra onda, quella del successo di Gesù, aiutarlo ad autoproclamarsi re, risolvendo definitivamente i loro problemi, soprattutto quello del cibo. Gesù, quindi, ci ha visto chiaro: per questo - e non si potrebbe usare termine più azzeccato - "imbarca" i suoi discepoli perché raggiungano l'altra riva.

Certo, un Dio che in un istante ti risolve i problemi della vita fa gola un po' a tutti, non solo ai suoi discepoli di allora... Chi di noi non metterebbe la firma in calce ad un rapporto con Dio fatto di richieste e risposte, di bisogni e soluzioni, di necessità e soddisfazioni? Sto male? Tranquillo: chiedo aiuto a Dio, e lui mi guarisce. Ho fame? Tranquillo: chiedo aiuto a Dio e lui mi sfama. Sono senza casa o senza lavoro? Ci pensa Dio: basta chiedere, e lui risponde. Che bello se fosse così, vero? E invece non è così: perché Dio non è un distributore automatico di grazie. Il Dio di Gesù Cristo si fa uomo, è persona, e vuole con l'uomo un rapporto personale, fatto di condivisione di tutto ciò che è umano. Con lui si condividono cinque pani e due pesci per più di cinquemila persone, però si devono condividere anche la notte e la tempesta sulla barca. Sì, perché sarebbe bello poter navigare sempre alla luce del sole e in acque tranquille, ma non è così: spesso, anzi il più delle volte, nel mare della vita occorre navigare al buio e con le acque agitate. E per di più, proprio quando hai bisogno di Dio, lui non c'è, perché ha bisogno di stare da solo, in disparte da tutto e da tutti, lontano anche dalla tua vita e dalle vicende poco liete dell'umanità. "Se Dio fosse qui ad aiutarmi!": quante volte la pensiamo in questo modo! E quante volte, con questi pensieri, ci facciamo un'immagine ideale di Dio come colui che risolve tutti i nostri problemi.

Un'immagine: perché questo è un "fantasma", un'immagine e null'altro. Una proiezione delle nostre paure e del desiderio che svaniscano: mentre in realtà quest'immagine può divenire un incubo che fa gridare terrorizzati. Sì...anche Dio può divenire un incubo, quando lo invochi come prestigiatore dalla bacchetta magica e poi invece te lo ritrovi così lontano e così tremendamente vicino, uomo come te. "Uomo come te" non significa, però, quello che tu pensi, ossia "incapace" o "impotente" di fronte ai drammi della vita, alle tempeste, ai venti forti che sbattono la tua barchetta da una riva all'altra del lago: il Dio "fatto uomo come te" è comunque l'Onnipotente, ma per scoprirlo così, per avere la certezza che sia lui, per accettare che ti tenda la mano e ti salvi, occorre fede.

Se cerchi un Dio potente, roboante e terrificante come un terremoto, un uragano o un incendio distruttore, stai pur tranquillo che non lo troverai, perché lui si rivelerà a te con la semplicità di chi ti è vicino ogni giorno, con la dolcezza di chi ti sta a fianco, con il soave sussurro di una brezza leggera che prende il posto dei venti tempestosi del mare. Però - ed è qui il punto - bisogna fidarsi di lui. Bisogna credere che lui è potente, anche se diversamente da come ce lo immaginiamo o da come lo vorremmo. A Dio non ci si rivolge come fa Pietro: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque", quasi "comandando" a Dio di "comandarci". A Dio non si comanda: davanti a Dio ci si prostra e lo si adora. In una parola: Dio non si sfida, di lui ci si fida. E basta. Forse è proprio per questo che ci "costringe" a metterci in mare, anche se ci farebbe comodo stare attaccati a lui, perché ci dà da mangiare, e per di più gratis...

Rimettiamoci in viaggio, perché l'altra riva ci aspetta.

Omelia di don Alberto Brignoli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 10 agosto 2014

tratto da www.lachiesa.it