13 luglio 2014 - XV Domenica del Tempo Ordinario: ogni giorno su di noi una pioggia di semi di Dio

News del 13/07/2014 Torna all'elenco delle news

La Liturgia della XV domenica del tempo ordinario ci fa leggere l'inizio del "discorso in parabole" del cap. 13 del Vangelo di Matteo.

La scena si svolge presso Cafarnao dove Gesù, salito sulla barca sul mare di Galilea, seduto, insegna a "una folla immensa", in piedi sulla riva. Nel Vangelo di Matteo ha una importanza particolare il simbolismo dei luoghi nei quali viene collocata la vita e l'attività di Gesù. Il "discorso in parabole" è il discorso "sul mare": il mare per Matteo è la "imago mundi", rappresenta cioè l'universalità dell'uditorio di Gesù, l'orizzontalità a cui è rivolta la sua parola. Certo, Gesù non è immediatamente sullo stesso piano della folla a cui si rivolge: egli è sul mare, mentre le folle sono sulla riva. Eppure, a differenza del "discorso della montagna" nel quale Gesù vuole rivelare ai discepoli una Parola che viene dall'alto, nel "discorso sul mare" il tono è più sapienziale: "Gesù parlò loro di molte cose in parabole". Questo discorso si presenta come una esposizione di alcuni aspetti del Regno dei cieli partendo dall'esperienza umana. Gesù parla come se fosse possibile scoprire le leggi del Regno e la condotta che ne consegue, partendo dalla normale, umile esperienza del lavoro quotidiano, dello scorrere dei giorni e delle stagioni. Il Regno dei cieli è qui, con noi, in noi, scorre sotto i nostri occhi: la Parola di Gesù è per tutti, si diffonde sulle onde del mare, raggiunge orizzonti infiniti, tocca il cuore di ogni persona, in qualsiasi situazione si trovi. Gesù parla di molte cose in parabole. La parabola del seminatore è la prima di una lunga serie di "parabole del Regno": il granello di senape, il lievito nella pasta, la zizzania nel campo, il tesoro, la perla, e, alla fine, la scelta nella pesca, alla fine dei tempi. L'insieme costituisce un quadro nel quale sono rappresentate la pazienza, la generosità del seminatore e un fondamentale ottimismo, ma pure la varietà delle situazioni e dei risultati: se occorre non affrettarsi a giudicare, un discernimento ci sarà al momento del giudizio finale.

Gesù parla a tutti: la folla rimane muta, senza reazioni, senza commenti. In seguito viene l' "insegnamento", per coloro che, avendo ascoltato come tutti, si accostano e interrogano Gesù: le spiegazioni avvengono all'interno della casa, nel dialogo (Matt.13,36.), ma le folle "al di fuori" non possono capire. Matteo costruisce questo interessante movimento tra l' "uscire" e l' "entrare" in casa, rivolgersi alle folle con il "discorso sul mare" e insegnare ai discepoli "in casa", movimento che inizia quando alla fine del capitolo precedente (Matt.12,46-50) dice che "i discepoli informano Gesù che sua madre e i suoi fratelli stanno fuori e cercano di parlargli": il discorso in parabole può essere la risposta alla madre e ai fratelli che cercano di parlargli "stando fuori". La famiglia di Gesù cresce ben oltre i confini dei legami del sangue: non ha confini, ma è per coloro che "entrano" con Lui nell'interiorità dell'uomo dove Dio parla e la sua Parola porta frutto.

Gesù parla in parabole: il suo linguaggio è semplice, le immagini immediate."Ecco, il seminatore uscì a seminare." La storia del seminatore è di una banalità sconcertante. Tutto ciò che Gesù è e dice è "semplicemente umano": un bambino che nasce è "Dio con noi", "guardate gli uccelli del cielo.i gigli del campo.", "siede a mensa con i peccatori".un giovane che muore crocifisso insieme con due malfattori suscita la meraviglia del centurione: "Veramente costui era il Figlio di Dio". Ma per Gesù tutto ciò che è "semplicemente umano" è talmente ricco che è "divino". Il Regno dei cieli è qui, con noi: è tutto così semplice, tutto così intenso, meraviglioso. Tutto è sotto gli occhi di tutti. Eppure.occorre vederlo. Gesù parla sul mare, parla a tutti, parla al suo popolo, parla ai suoi fratelli di sangue, parla a sua madre.parla a noi, parla in parabole, dice parole così "semplicemente umane" che tutti possono ascoltare: eppure, dice Matteo, "gli si avvicinarono allora i discepoli". Dalla folla alcuni si staccano, dalla folla di coloro che stanno "fuori", si muovono i discepoli che si accostano a Lui e lo interrogano. I "discepoli" sono coloro che "si accostano a Lui", e nella "semplicità umana" di Gesù e delle sue parole percepiscono "il mistero del Regno", la presenza di Dio. "Perché parli loro in parabole"? Sta in questa domanda tutto lo stupore dei discepoli di fronte alla "novità cristiana": ma perché Gesù dice delle parole così umane? perché parla di cose che tutti vedono, ascoltano, toccano? "perché un Dio "così umano? perché un Dio che si incarna"? perché Gesù? Non sarebbe meglio parlare un linguaggio più "filosofico" o "teologico"? parlare soltanto agli "iniziati", "agli intelligenti e ai sapienti"? La domanda posta dai discepoli riassume tutte queste domande: "Perché parli loro in parabole?". La "parabola" è il modo normale di parlare di Gesù, il suo modo di vedere tutto, il suo modo di essere: Lui stesso, la sua umanità è tutta una "parabola" che parla del Padre; la sua vita, i suoi gesti sono sotto i nostri occhi, sotto gli occhi di tutti e aprono al "mistero" La "parabola" mostra la realtà, e suscita domande: è possibile guardare, ma non vedere; udire e non comprendere. E' possibile avere una visione chiusa della realtà, essere distratti, superficiali; è possibile opporsi positivamente a una dimensione aperta della realtà, è possibile chiudersi di fronte alla "umanità" di un Dio che si incarna, che parla con parole umane, che condivide le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce, che com-patisce tutto ciò che è umano. Gesù parla in parabole per dirci che tutto ciò che esiste è segno di un infinito Amore di un Padre che riempie l'universo dei suoi doni, magari piccoli mentre noi li vorremmo grandi, talvolta incomprensibili mentre noi li vorremmo sempre secondo i nostri criteri. Gesù ci chiede di accostarci a Lui, diventare suoi discepoli, non restare "fuori", entrare nella sua intimità, perseverare nella lotta per vincere la tendenza così umana a ripiegarsi su di sé. Ci chiede di ascoltare Lui, "parabola del Padre", che alla fine con la sua Croce ci dice quanto il Padre ci parli di Amore anche nella oscurità e nella sofferenza. Occorre accostarsi a Lui, farsi accanto a Lui più di suo fratello, sua sorella, sua madre, per conoscere i misteri del Regno. "Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono": Gesù ci apre ad una vita bella, felice. Le piccole cose quotidiane, nelle quali siamo immersi, sono doni che noi possiamo gustare, attraverso i quali l'infinito Amore ci avvolge.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Ogni giorno su di noi una pioggia di semi di Dio

"Egli parlò loro di molte cose con pa­rabole". Magia delle parabole: un linguaggio che contiene di più di quel che dice. Un racconto minimo, che funziona come un carburante: lo leggi e accende idee, evoca immagini, suscita e­mozioni, avvia un viaggio. Gesù amava i campi di grano, le distese di spighe, di papaveri, di fiordalisi, osservava la vita e nascevano parabole. Oggi osserva un se­minatore e nel suo gesto intuisce qual­cosa di Dio.

Il seminatore uscì a seminare: la parabola non perde tempo in preamboli o analisi, racconta un fatto o una esperienza. Il se­minatore, non un; il Seminatore per eccel­lenza, Colui che con il seminare si identifica, perché non fa altro che questo: dare vita, fecondare. Seminatore: uno dei più belli nomi di Dio. E subito l'immagine d'un tempo antico ci riempie gli occhi della mente: un uomo con una sacca al collo che percorre un campo, con un gesto largo del­la mano, sapiente e solenne. Ma il quadro collima solo fin qui. Il semi­natore della parabola è diverso, eccessivo, illogico: lancia manciate generose anche sulla strada e sui rovi. È uno che spera an­che nei sassi, un prodigo inguaribile, im­prudente e fiducioso. Un sognatore che ve­de vita e futuro ovunque. Una pioggia continua di semi di Dio cade tutti i giorni sopra di noi. Semi di Vangelo riempiono l'aria. Si staccano dalle pagine della Scrittura, dalle parole degli uomini, dalle loro azioni, da ogniincontro. Ma per quanto il seme sia buono, se non trova ac­qua, luce e protezione, la giovane vita che ne nasce morirà presto. Il Seminatore get­ta il seme, ma è il terreno che permette di crescere. Allora io voglio farmi terra buo­na, terra madre, culla accogliente per il pic­colo germoglio. Come una madre, che sa quanto tenace e desideroso di vivere sia il seme che porta in grembo, ma anche quanto fragile, vulnerabile e bisognoso di cure, dipendente quasi in tutto da lei.

Essere madri della parola di Dio, madri di ogni parola d'amore. Accoglierle dentro sé con tenerezza, custodirle e difenderle con energia, allevarle con sapienza. Ognuno di noi è una zolla di terra, ognuno è anche un seminatore che cammina nel mondo get­tando semi. Ogni parola, ogni gesto che si stacca da me, se ne va per il mondo e pro­durrà qualcosa. Che cosa vorrei produrre? Tristezza o germogli di sorrisi? Paura, sco­raggiamento o forza di vivere?

«Il cristiano è uno ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha però la sicurezza che non va perduto nes­sun atto d'amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna doloro­sa pazienza. Tutto ciò circola nel mondo come una forza di vita». (E.G. 278-279).

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

 

Il seminatore uscì a seminare

Il Vangelo ci presenta Gesù lungo il mare di Galilea, costretto a salire su di una barca a motivo della numerosissima folla radunatasi attorno a lui. E narra una parabola importante. Caso raro nei Vangeli, la spiega lui stesso. Il senso di fondo della parabola è chiaro: si deve vivere dell'ascolto del Vangelo e non della propria presunzione. Il seminatore esce per seminare e a larghe bracciate getta il seme. Sembra non preoccuparsi di scegliere il terreno, visto che molti semi vanno perduti. Solo quelli che cadono sulla terra buona danno frutto. Gesù, anche se non lo dice, si paragona al seminatore. È sua, tipicamente sua, certo non nostra, la generosità nello spargere il seme. Quel seminatore non è un misurato calcolatore; e, per di più, sembra riporre fiducia anche in quei terreni che sono più una strada o un ammasso di pietre che una terra arata e disponibile. Eppure anche là il seminatore getta la semente, sperando che attecchisca. Tutto il terreno è importante per il seminatore. In effetti non c'è parte di questa terra che egli non consideri degna di attenzione. Nessuna porzione è scartata. Il terreno è il mondo, anche quella parte di mondo che è ciascuno di noi. Non è difficile riconoscere nella diversità del terreno la complessità delle situazioni del mondo e quelle di ciascuno di noi. Gesù non vuol dividere gli uomini e le donne in due categorie, quelli che rappresentano il terreno buono e quelli che rappresentano il cattivo. Ciascuno di noi riassume tutte le diversità di terreno riportate dal Vangelo. Magari un giorno è più sassoso e un altro meno; altre volte accoglie il Vangelo ma poi si lascia sorprendere dalla tentazione; e in un altro momento ascolta e porta frutto. Una cosa è certa per tutti: c'è bisogno che il seminatore entri nel terreno, rivolti le zolle, tolga i sassi, sradichi le erbe amare e getti con abbondanza il seme. Il terreno, che sia sassoso o buono, quasi non importa, deve accogliere il seme, ossia la Parola di Dio. Essa è sempre un dono. Ma pur venendo da fuori entra così profondamente nel terreno da diventare una cosa sola con esso. Le nostre mani, abituate forse a toccare cose che giudichiamo grandi di valore, considerano poco questo piccolo seme. Quante volte abbiamo ritenuto ben più importanti le nostre tradizioni e le nostre convinzioni rispetto alla debole e fragile parola evangelica! Eppure, come nel piccolo seme è raccolta tutta la forza che porterà alla pianta futura, così nella parola evangelica risiede l'energia che crea il nostro futuro e quello del mondo. L'importante è non contrastarla. Il profeta Isaia scrive: "Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare... così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata"(Is 55, 10-11).

Omelia di mons. Vincenzo Paglia

 

Il terreno della nostra vita

Come abbiamo sentito domenica scorsa a Gesù è dispiace vedere il rifiuto che incontra il suo annuncio e ci racconta questa parabola che ci ricorda che chi ha accolto la sua buona notizia sono i piccoli, i bisognosi, e non i sapienti e gli intelligenti autosufficienti.

Il seminatore sembra uno sprecone, perché butta il seme dappertutto, anche dove sa bene che non sarà accolto, come Dio che fa piovere sui buoni e sui cattivi. Rappresenta Dio che semina la sua Parola.

I vari terreni rappresentano diversi atteggiamenti più o meno recettivi. Gesù non li descrive per accusarci o giudicarci, ma per mostrare quanto è buono Dio, giusto con gli ingiusti, generoso con gli ingrati, gratuito con tutti; non chiede nulla in cambio. Si limita a constatare che c'è un terreno buono, ricettivo, e noi sappiamo che è quello che è stato vangato e ribaltato.

Io penso che questi terreni rappresentano le varie fasi della nostra vita. Solo quando ho vissuto un serio confronto con la povertà, la debolezza e la morte; solo quando la mia vita è stata ferita e ribaltata più volte, apprezzo la bellezza e capisco l'importanza di avere un Dio Padre, che mi prende per mano e cammina con me. Finché la strada è liscia e spianata, Dio sembra inutile. I sassi e i rovi, ci fanno riflettere un po', ma poi la vita riprende con le sue urgenze.

La povertà e il confronto con la morte mi rendono mite e umile di cuore, contento di scoprire la presenza e la voce del Padre che Gesù vuole rivelarmi.

Omelia di padre Paul Devreux

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 13 luglio 2014

tratti da www.lachiesa.it