22 settembre 2013 - XXV Domenica del Tempo Ordinario: l'elogio della scaltrezza, cioè cogliere la priorità del Regno di Dio

News del 19/09/2013 Torna all'elenco delle news

Am 8, 4-7; Sal 112; 1Tm 2, 1-8; Lc 16, 1-13 - I testi della Scrittura di questa domenica ci conducono ad una riflessione davvero essenziale per poter, non dico essere uomini del Regno, ma addirittura poter parlare di Regno di Dio. E’ così: non si può neanche parlare di Regno di Dio se non si affronta il tema della giustizia, del retto uso dei beni. Il vero discepolato si misura anche qui: dal passare dalle parole, dai bei propositi e dai grandi proclami alla compromissione dei propri beni, di quello che si possiede.

Le parole del Profeta Amos nella prima lettura sono davvero di graffiante potenza; Amos ha qui un testo che dovrebbe far tremare quelli che, pur dicendosi cristiani, accumulano ricchezze e le usano perché si auto-moltiplichino a scapito dei poveri, e perché quelle stesse ricchezze si trasformino in armi di oppressione e di vera e propria violenza! L’ingiustizia genera violenza ed odio, l’abbondanza di pochi e la miseria di tanti è la grande vergogna dell’umanità, e la Chiesa di Cristo dovrebbe sempre sapere da che parte schierarsi, per chi lottare, con chi piangere e gridare!

Luca in questa parte del suo Evangelo vuole affrontare il tema dell’uso cristiano dei beni; un tema che toccava molto quella sua comunità (lo si coglie dal fatto che Luca affronta molto spesso nel suo Evangelo il tema dei beni e della loro condivisione), così come tocca le nostre comunità. Luca racconta la parabola dell’Amministratore disonesto, una parabola che bisogna saper leggere bene per capire dove Gesù vuole andare a parare con questa strana vicenda … è una parabola in cui viene posto come esempio un personaggio moralmente negativo, ambiguo. Mentre nel Buon Samaritano, per esempio, la figura esemplare è un uomo buono, pietoso, colmo di tenerezza, in questa parabola l’amministratore è un uomo avido, disonesto, furbo … Eppure questo uomo viene elogiato proprio da quel padrone che aveva frodato; scrive Luca: Il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza. Lo loda non per la disonestà, è chiaro, ma per la “scaltrezza”. In greco Luca usa l’avverbio “phronímos” che serve a sottolineare molte cose, paradossalmente positive in lui: è lucido nel cogliere la gravità della situazione, ha enorme prontezza a cercare e trovare una soluzione, prende subito una decisione.

Ecco cosa Gesù vuole porre all’attenzione dei suoi ascoltatori: quest’uomo “delle tenebre” (è detto “amministratore dell’ingiustizia”, “oikonómos tes adikías”) è stato capace di giocarsi tutto per un scopo preciso: quello di mettersi in salvo. Perché, si chiede Gesù, i figli delle tenebre (come questo amministratore) sono capaci di vere capriole di intelligenza, di prontezza, di previdenza, di obbedienza alle vere urgenze, e i discepoli del Regno non usano queste stesse doti per costruire nella propria vita quello che davvero conta? Perché gli ingiusti inventano mille mezzi per giungere ai loro scopi, e i discepoli dell’Evangelo sono spesso così tiepidi e senza passione per il Regno, per le sue mete, per l’uomo nuovo che Gesù ci ha mostrato al “caro prezzo” del suo sangue?

Se ci riflettiamo bene, davvero non c’è proporzione … come sempre. Dicevano i Padri: “Se vuoi vedere la perseveranza fedele guarda al vizio e non alla virtù!” Come si è perseveranti e decisi nel male!

Gesù allora qui non elogia la disonestà ma la scaltrezza, e vorrebbe che i suoi discepoli usassero una stessa scaltrezza per camminare dietro di Lui, per usare i beni del mondo, per renderli forieri non di morte e di ingiustizia ma fecondi di vita. Sì, perché il danaro, in sè è cosa neutra, è cosa che deve solo servire l’uomo; il problema è che esso ha la tremenda tendenza a diventare padrone dell’uomo. E’ paradossale, ma l’uomo, credendo di dominare gli altri ed il mondo con la ricchezza, in realtà finisce per essere dominato dalla ricchezza. Gesù definisce la ricchezza ingiusta, disonesta proprio perché fa delle promesse che poi non mantiene … inoltre la ricchezza, l’accumulo, è sempre ingiustizia perché chi accumula toglie inevitabilmente ali altri; è infatti impossibile che una ricchezza smisurata non sia stata costruita sul male, sul sopruso, sul sangue del povero. Gesù invita a fare di questa ricchezza, in sè disonesta, ingiusta, ingannatrice una possibilità di vita e non di morte. Come? Con la condivisione! Quella vera, però, non l’elemosina condiscendente che dà le briciole ai poveri e poi accumula grandi “materassi” di protezione per sè; non quell’elemosina umiliante che dà gli avanzi e poi, magari, serve pure a sentirsi buoni!

Per Gesù bisogna cogliere da questo uomo iniquo una lezione: la capacità di fare una scelta per la vita, una scelta accorta … chiaramente l’amministratore ingiusto ed il discepolo appartengono a due logiche diverse: a quella del mondo e a quella del Regno! Sono due modi differenti di concepire l’esistenza; quello che però Gesù indica al discepolo è la risolutezza e la capacità di perseguire uno scopo perché vitale!

E’ chiaro allora che il nodo della situazione è capire se il discepolo ha colto la priorità del Regno nella sua vita; ha colto ciò che davvero conta? E’ capace di fare una scelta che il mondo non approva nè può capire e che metta l’Evangelo al culmine dei propri interessi? Il discepolo ha vera passione bruciante per l’Evangelo? Gesù vuole bruciante passione nei suoi! Incredibilmente questo amministratore disonesto ne dà un’immagine; in più Luca qui coglie l’occasione per introdurre un discorso chiaro sull’uso dei beni che deve essere – appunto -  un uso, e un uso poi finalizzato a farsi amici! Chi sono questi amici? Amici che accolgono nelle dimore  eterne … Chi possono essere? I poveri, che sono amici di Dio e che abitano la sua casa? O forse questi amici adombrano Dio stesso che accoglie nella sua dimora? Comunque sia, lo sguardo qui si va ad estendere sull’oltre della storia.

L’accanimento verso i beni, verso la ricchezza nasce dall’inganno di eternizzare l’oggi, la storia presente; infatti, se tutto è qui, il qui va preservato e “assicurato”, e questo ci si illude di farlo con l’accumulo…le dimore eterne di cui parla Gesù ci richiamano ad una realtà che spesso l’uomo vuole dimenticare: l’amministrazione ci verrà tolta, cioè ci verrà tolto quell’oggi che ha bisogno di essere amministrato con discernimento, con accorta attenzione a ciò che è primario, a ciò che veramente conta. La vita è una ed è breve, e non va vissuta da ciechi, da stolti, con infiniti e vili rimandi!

I beni ingannevoli, tante volte ingiusti, spessissimo – se troppi – frutto di lacrime e generatori di odio, si possono convertire in occasione di giustizia, addirittura di amore; il fatto è che bisogna convincerci che essi non ci appartengono, perchè nel momento in cui li vogliamo possedere con avidità essi stessi ci posseggono e ci fanno schiavi, ci rendono ciechi, sordi, ci assorbono tempo, energie, cuore, preoccupazioni e poi, alla fine ingannano perchè ci lasciano. Restano qui quando noi passiamo, con la morte, oltre la storia … i beni non ci appartengono perché le necessità dei fratelli, dei poveri non possono trovarci con il cuore chiuso; scrive Giovanni nella sua Prima Lettera: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello nella necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?” e aggiunge “non amiamo a parole, nè con la lingua ma con i fatti e nella verità” (cfr 1Gv 4, 17-18).

Alla fine Gesù pone, come sempre, un aut-aut: non si possono mettere assieme Dio e l’ingiusta ricchezza; non si possono servire due padroni! A chi si dice “Amen”? A Dio o alle ricchezze? Non a caso Gesù ama chiamare le ricchezze con la strana parola “mammona”, parola che deriva dalla stessa radice del verbo ebraico “aman” (da cui Amen) che significa “mettere fiducia”, “avere sicurezza”. E’ chiaro allora ciò che Gesù dice: “Di chi ti fidi? A chi ti affidi?” O si dice Amen a Dio ed alle sue vie rischiose e folli per il mondo, o si dice Amen al mondo ed alle sue ricchezze! Tra le due cose non ci può essere accordo.

E’ inutile svicolare e arzigogolare, come tante volte si è fatto per giustificare i ricchi: Amen si dice solo a Dio, e non è possibile dirlo in parallelo alle ricchezze! “Nessun accordo tra gli idoli e Dio”! (cfr 2Cor 6,16).

Omelia di p. Fabrizio Cristarella Orestano 

 

L'elogio della scaltrezza

Non è la parabola che elogia i ladri, i disonesti, i furbi, ma per suggerire il coraggio di azzardare sveltezza, operosità, ingegnosità e ogni altra qualità per diffondere il piano e il progetto di Dio, nella consapevolezza che il tempo a disposizione è poco. Il padrone di tutto è Dio e loda il discepolo che sa di dover rendere conto, che non si trascina nella vita, ma si sforza di mantenersi fedele fino alla fine, che perdona e condona tutto agli altri come lui per assicurarsi il bene della vita eterna. I beni e la stessa vita sono un dono da condividere e la chiamata al rendiconto è la morte. La coscienza della morte fa vivere il presente come conversione, facendo dipendere la vita non da quello che si ha, ma da quello che si dà. In paradiso abitano solo quelli ai quali è stato condonato.

La percentuale del con-dono è diversa. La nostra va dal dieci al venti per cento; quella del padre è totale. Se l’elemosina arricchisce dinanzi a Dio, l’ingiusta ricchezza si riscatta solo restituendola ai bisognosi affinché a loro volta ci accolgano con benevolenza e amicizia.

Non ci sono solo le ricchezze materiali; quelle dello spirito hanno bisogno di maggior cura. Chi è infedele nei primi finirà per esserlo anche nell’amministrare i beni dello spirito. La ricchezza - “mammona” - è un tiranno spietato, rende schiavi quelli che sono posseduti da quello che possiedono e perdono l’amicizia con Dio che esige di essere amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente. L’amore di Dio libera, quello per i beni ci fa schiavi.

Papa Francesco, in una omelia a braccio, ha detto che ci sono tesori rischiosi, che seducono, ma che dobbiamo lasciare (“io non ho mai visto un camion da trasloco dietro un corteo funebre, mai”); ma c`è anche un tesoro che nessuno può rapinare, che non è “quello che hai risparmiato per te”, ma “quello che hai dato agli altri”. Quello lo portiamo.

Il discorso è rivolto ai discepoli, alla comunità cristiana. È la buona notizia di sapere che se le ricchezze possono imprigionare il nostro cuore, possono anche essere usate fedelmente. Essere fedeli nel poco vuol dire che i beni sono poco rispetto al molto che è il regno di Dio. Ogni persona ha qualcosa da dare, di quello che ha o di quello che è.

Omelia di padre Angelo Sceppacerca

 

Non si può servire Dio e la ricchezza

La parabola del fattore infedele si chiude con un messaggio sor­prendente: l'uomo ricco loda il suo truffatore. Sor­preso a rubare, l'ammini­stratore capisce che verrà licenziato e allora escogi­ta un modo per cavarsela, un modo geniale: adotta la strategia dell'amicizia, creare una rete di amici, cancellando parte dei lo­ro debiti. Con questa scel­ta, inconsapevolmente, e­gli compie un gesto profe­tico, fa ciò che Dio fa ver­so ogni uomo: dona e per­dona, rimette i nostri de­biti. Così da malfattore di­venta benefattore: regala pane, olio, cioè vita, ai de­bitori. Lo fa per interesse, certo, ma intanto cambia il senso, rovescia la dire­zione del denaro, che non va più verso l'accumulo ma verso il dono, non ge­nera più esclusione ma a­micizia.

Il personaggio più interes­sante della parabola, su cui fermare l'attenzione, è il ricco, figura di un Signore sorprendente: il padro­ne lodò quell'amministra­tore disonesto, perché ave­va agito con scaltrezza, aveva puntato tutto sull'a­micizia. Qui il Vangelo re­gala una perla: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché quando es­sa verrà a mancare vi ac­colgano nelle dimore eter­ne. Fatevi degli amici. Amicizia diventata coman­damento, umanissimo e gioioso, elevata a proget­to di vita, fatta misura dell'eternità. Il messaggio della parabola è chiaro: le persone contano più del denaro.

Amici che vi accolgano nel­la casa del cielo: prima di Dio ci verranno incontro coloro che abbiamo aiutato, nel loro abbraccio ri­conoscente si annuncerà l'abbraccio di Dio, dentro un paradiso generato dal­le nostre scelte di vita.

Nessuno può servire due padroni. Non potete servi­re Dio e la ricchezza. Af­fermazione netta: il dena­ro e ogni altro bene mate­riale, sono solo dei mezzi utili per crescere nell'a­more e nella amicizia. So­no ottimi servitori ma pes­simi padroni. Il denaro non è in sé cattivo, ma può diventare un idolo e gli i­doli sono crudeli perché si nutrono di carne umana, aggrediscono le fibre inti­me dell'umano, mangiano il cuore. Cominci a pensa­re al denaro, giorno e not­te, e questo ti chiude pro­gressivamente in una prigione. Non coltivi più le a­micizie, perdi gli amici; li abbandoni o li sfrutti, op­pure saranno loro a sfruttare la situazione.

La parabola inverte il pa­radigma economico su cui si basa la società contem­poranea: è il mercato che detta legge, l'obiettivo è u­na crescita infinita, più de­naro è bene, meno dena­ro è male. Se invece legge comune fossero la so­brietà e la solidarietà, la condivisione e la cura del creato, non l'accumulo ma l'amicizia, crescerebbe la vita buona.

Altrimenti nessun povero ci sarà che apra le porte della casa del cielo, che a­pra cioè fessure per il nascere di un mondo nuovo.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 22 settembre 2013

tratti da www.lachiesa.it