30 giugno 2013 - XIII Domenica del Tempo Ordinario: La radicalità della sequela di Cristo

News del 29/06/2013 Torna all'elenco delle news

La sequela di Cristo passa attraverso il distacco, la purificazione, il perdono, la misericordia, non ammette compromessi ed è capace di distanziarsi da ogni progetto umano, di reinventare un cammino, un percorso di fronte alla resistenza ed al rifiuto. Prima di ogni altra cosa, questo ci ripete la parola di Dio oggi. Chi è capace di fare questa scelta prioritaria è sulla strada di Cristo. Chi invece relega Dio agli ultimi posti della sua vita, ha bisogno di conversione e di ritorno al vero itinerario della santità.
Il Vangelo di Luca, infatti, ci ricorda gli ultimi giorni della vita di Cristo e cita Gerusalemme come la città ove Cristo si immolerà per la salvezza del genere umano. La sua decisione di andare verso il suo ultimo destino gli permette di passare per altri villaggi della Palestina nella speranza che venga accolto, quasi a chiedere l'accettazione della sua persona e missione a chi non si identifica con la fede ebraica. Questo tentativo di essere accettato dai samaritani fallisce, tanto che gli apostoli di fronte al loro rifiuto chiedono al Signore che vengano maledetti e distrutti. La fede non può essere imposta, né chi non ha fede debba essere condannato a morte e alla distruzione. Cristo propone ad ogni persona di essere accolto quale è: figlio di Dio. Questa proposta richiede scelte impegnative, in quanto il modello di questo itinerario di perfezione nell'amore è Cristo stesso, povero, obbediente e casto. La fedeltà di questa sequela è richiesta come fondante di ogni cammino del genere. Dio non lo si può abbandonare una volta scelto, non può entrare tra le cose che fanno parte di quella mentalità di sempre basata sull'usa e getta. Dio deve essere sempre al centro della nostra vita e delle nostre attese ed aspirazioni. Il mettere mano all'aratro e non voltarsi indietro ci dice esattamente questo. Il cristiano non è l'uomo dell'eterna indecisione, ma della decisione forte ed irreversibile di andare avanti, comunque e sempre, anche se all'orizzonte appare il monte Calvario e la Gerusalemme della sofferenza.
La sequela di Cristo è mettersi al servizio della parola di Dio, della Chiesa, dei valori fondamentali della religione cristiana. Ce lo ricorda la prima lettura di oggi che parla della scelta da parte di Elia del suo successore nella missione profetica. Eliseo viene consacrato profeta e questi abbandona ogni altra attività per mettersi al servizio di Dio con generosità. Questa è l'alta parola della liturgia di oggi. La generosità dopo la fedeltà. Chi è generoso se non chi è fedele? Quanto più l'amore di Dio ci attrae verso di Lui e quanto più il Signore è il vero nostro bene, più siamo fedeli e generosi nell'accogliere la sua parola, nel metterla in pratica e nel diffonderla tra coloro che tale parola non la sentono come essenziale ed importante nella vita. La profezia che ci impegna, in quanto battezzati, ad annunciare Cristo ci obbliga moralmente a rendere visibile con la parola e l'esempio Cristo che è in noi. Non possiamo nascondere questo bene prezioso quasi a vivere un chiuso ed esclusivo rapporto con Cristo. Al contrario, nello sperimentare costantemente questo incontro nella preghiera, nella frequenza ai sacramenti, nella prova e nel dolore, ma anche nella felicità dobbiamo essere grati al Signore di tutto quello che ci dona, come ci ricorda il primo libro dei Re.
Da parte sua il bellissimo e denso brano della lettera ai Galati che leggiamo oggi quale seconda lettura della parola di Dio, ci ricorda che in Cristo siamo davvero persone libere e come tali dobbiamo agire, senza lasciarci affascinare dal peccato e dalla perversione del cuore e della mente. Il Cristo, modello di vita per ognuno di noi, ci invita al innalzarci a condizioni di vita più elevate e rispondenti allla nostra dignità di uomini e figli di Dio. Nessun compromesso con il male, espresso qui con il termine "carne", né abbassamento del tono della nostra moralità. Quindi nessuna cattiveria, invidia, gelosia, guerra, divisione, litigio, contrapposizione, lotta fratricida, ma solo amore e benevolenza, solo spirito di collaborazione e di sincero e vicendevole amore.
La vita secondo lo spirito deve certamente prevalere su quella della carne e delle passioni terrene. E' quanto chiediamo di realizzare personalmente e comunitariamente in questo nostro tempo, in cui troppo spesso il carnale, il terreno, la passione e la depravazione prevale sui valori spirituali e interiori. In un mondo che ha smarrito il senso di Dio ha smarrito il senso della spiritualità e della verità, il peccato e la malizia sono osannati, la grazia e la purezza sono bistrattate. Siamo alla lotta tra il male e il bene e c'è il rischio che il male possa prevalere sul bene, in quanto molti si lasciano affascinare dal male pensandolo ed interpretandolo come bene per se stessi, una concezione della vita nella quale conta il piacere ora e qui.
Chiediamo al Signore di essere fedeli alla nostra vocazione battesimale, che è chiamata alla luce e alla verità: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa' che non ricadiamo nelle tenebre dell'errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Amen.

Omelia di padre Antonio Rungi
 

Guardare avanti per vivere in pienezza

Vuoi che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? La reazione di Giacomo e Giovanni al rifiuto dei Samarita­ni segue la logica comune: farla pagare, occhio per occhio.
Gesù si voltò, li rimproverò e si av­viò verso un altro villaggio. Nel­la concisione di queste parole si staglia la grandezza di Gesù. Che difende chi non la pensa come lui, che capovolge la logica della storia, quella che dice: i nemici si combattono e si eliminano. Gesù invece intende eliminare il con­cetto stesso di nemico. E si av­viò verso un altro villaggio. Il Si­gnore inventore di strade: c'è sempre un nuovo villaggio con altri malati da guarire, altri cuo­ri da fasciare; c'è sempre un'al­tra casa dove annunciare pace. Non ha bisogno di mezzi forti o di segni prodigiosi, non cova ri­sentimenti. Lui custodisce sen­tieri verso il cuore dell'uomo, come canta il salmo: beato l'uo­mo che ha sentieri nel cuore (84,6), che ha futuro e fiducia. E il Vangelo diventa viaggio, via da percorrere, spazio aperto. E in­vita il nostro cristianesimo a di­ventare così, a continui passag­gi, a esodi, a percorsi.
Come accade anche ai tre nuovi discepoli che entrano in scena nella seconda parte del Vangelo. Ad essi, che ci rappresentano tut­ti, dice: Le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo.
Eppure non era esattamente co­sì. Gesù aveva cento case di a­mici e amiche felici di accoglier­lo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e de­gli uccelli Gesù traccia il ritratto della sua esistenza minacciata dal potere religioso e politico, sottoposta a rischio, senza sicu­rezza. Chi vuole vivere tranquil­lo e in pace nel suo nido non po­trà essere suo discepolo.
Noi siamo abituati a sentire la fe­de come conforto e sostegno, pa­ne buono che nutre, e gioia. Ma questo Vangelo ci mostra che la fede è anche altro: un progetto che non assicura una esistenza tranquilla, ma offre la gioiosa fa­tica di aprire strade nuove, il ri­schio di essere rifiutati e perfino perseguitati. Perché si oppone e smonta il presente, quando le sue logiche sanno di superficia­lità, di violenza, di inganno, per seminarvi il futuro.
Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Una frase durissima che non contesta gli affetti uma­ni, ma si chiarisce con ciò che se­gue: Tu va e annunzia il Regno di Dio. Tu fa cose nuove. Se ti fermi all'esistente, al già visto, al già pensato, non vivi in pienezza. Noi abbiamo bisogno di fre­schezza e il Signore ha bisogno di gente viva. Di gente che, come chi ha posto mano all'aratro, non guardi indietro a sbagli, incoe­renze, fallimenti, ma avanti, ai grandi campi della vita, che gli appartengono, a un Dio che vie­ne dall'avvenire.

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

Quali discepoli?

Come si diventa discepoli di Gesù? Luca inserisce a questo punto una sua lunga riflessione, dopo aver chiarito quale sia lo stile dell’essere cristiano attraverso discorso della beatitudini. L’ascoltatore, affascinato da questo discorso, potrebbe davvero desiderare di diventare discepolo di Gesù. Ma: come fare? Può darsi che alcune di queste riflessioni ci mettano un po’ in crisi, possiamo magari non ritrovarci nelle cose che leggeremo. Luca è qui per rassicurare la nostra fede, non certo per buttarla per aria! E per farlo, ormai lo sappiamo, ha usato tutta la sua capacità, ha preso informazioni, si è smosso. Cosa significa, allora, diventare discepoli?
Mentre andavano per la strada un tale gli disse: “Ti seguirò ovunque tu vada.” Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.” A un altro disse: “Seguimi.” E costui rispose: “Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre.” Gesù replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; va’ e annuncia il regno di Dio.” Un altro disse: “Ti seguirò Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa.” Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto al Regno di Dio” (Lc 9,57-62)
Questa pagina che abbiamo letto è stata tra le peggio interpretate nella storia della comunità cristiana! Cerchiamo allora di leggere nell’intelligenza delle Scritture questi brani.
Anzitutto: su tre conversioni-chiamate, due sono quelli che si propongono (“ti seguirò”) e uno quello che viene chiamato (“Seguimi”), come a dire che vi sono due modalità di sequela del Signore: una spontanea, che nasce dal nostro desiderio di seguire Gesù, e l’altra invece che è la chiamata improvvisa da parte del Signore alla sequela. Ci possiamo trovare cristiani quasi d’improvviso, come Zaccheo, o lo siamo perché da sempre seguiamo il Signore, come Marta e Maria.

Tre sono le condizioni che il Signore richiede per poterlo seguire: non avere nidi, essere vivi, staccarsi dal passato.
Non avere nidi, come gli uccelli. Il rischio di fare della propria fede una tana, è enorme. Stiamo talmente bene io e il mio Gesù, con le mie piccole certezze, i miei ritmi, le mie preghiere, non disturbateci ... Attenti! Il Signore è continuamente in movimento, non ha dove posare il capo. Attenti a non fare di Dio una consolazione che mi intontisce, che mi aliena dalla vita concreta. Questo non è il Dio di Gesù Cristo! Volete farvi il nido? Fatti vostri, Gesù non ci sarà, è già oltre. Vuoi essere discepolo di Gesù? Preparati a viaggiare ...
Che fatica è questa, che fatica. Quante volte noi preti fatichiamo ad annunciare il Vangelo a gente che è intrisa di cristianesimo senza mai avere incontrato il Signore Gesù! Molti si sono fatti un nido con la loro fede e non si mettono mai in discussione. Luca ci ricorda che la fede è continuo cammino, continua scoperta, continua meraviglia ...
La seconda condizione per essere discepolo è lasciare che i morti seppelliscano i morti. Che significa? Mi pare di interpretare il Vangelo in questo modo: il Signore non ha bisogno di cadaveri, ma di vivi. Il Vangelo ha bisogno di uomini e donne che siano vivi, vivaci, che abbandonino la loro parte mortifera, cadaverica. Perciò nella Chiesa primitiva si viveva il Battesimo dato agli adulti come una rinascita, come un abbandonare dietro alle spalle una morte. Ed è la percezione di chi ha riscoperto la fede: ero morto e ora vivo, ero buio e ora è luce, ero incosciente e ora conosco. Questo ci allontana dal pregiudizio di una visione “cadaverica” della fede, come di qualcosa di vecchio, per persone che già hanno un piede nella fossa, perché non si sa mai che fosse tutto vero ... No! Il Signore vivifica. Perciò abbandoniamo l’idea che la fede sia qualcosa di tenebroso, di ombroso. Macché: la fede è per uomini veri, uomini vivi, uomini che danno il meglio di sé, senza sdolcinature, senza sacrifici. Attenti: il sacrificio è essenziale, ma per vivificare, non per mortificare! Dio ci renderà conto di tutte le gioie che non avremo vissuto. Dobbiamo ricuperare, noi cristiani, questo amore alla vita, alle gioie della vita. Molto spesso certe difficoltà che incontriamo nella fede, ad esempio nella preghiera che ci risulta difficile sono legate alla poca attenzione alla nostra umanità. Se sono stressato e non faccio ferie, la mia sarà una fede stressata! Attenti a non stravolgere il vangelo: il Signore ci chiede di vivere con gioia tutte le realtà mondane, sapendo che provengono da Lui.
Nella bellissima preghiera eucaristica Vc si dice a un certo punto: “La tua chiesa sia testimonianza viva di amore, di verità, di giustizia, di pace, perché gli uomini, vedendola, si aprano alla speranza di un mondo nuovo.” Che bello! Se ci sappiamo amare, se siamo autentici e giusti, se coltiviamo la pace, diventiamo uomini che irradiano la speranza per un mondo nuovo. Il cristiano deve recuperare la sua dignità. Ci pensate? Siamo figli di Dio. Possiamo diventare grandi personaggi della politica, della cultura, della ricerca ... ma più che figli di Dio non saremo mai! E questo Dio nell’incarnazione è diventato uno di noi. Cosa significa questo Dio che diventa carne, sudore, sentimento, affetto, rabbia, se non che la nostra umanità val la pena di essere vissuta? Non cadaveri, ma vivi! Non mezzi uomini ma uomini fieri della propria umanità perché redenta da Cristo! Dio, incarnandosi, ci viene a dire che la vita è fantastica, che vale la pena di essere vissuta. Noi, spesso, coltiviamo l’eresia che proviene dalla concezione greca (e orientale, a dirla proprio tutta) che la vita terrena è malvagia, punizione, decadimento. No: la vita è dono prezioso di Dio. Questa vita così faticosa. Questa vita fatta di contraddizioni è benedetta da Dio. Pensate come sarebbe la nostra quotidianità se credessimo a questa cosa! Mi viene in mente quello spazzino di cui è in corso la causa di beatificazione che diceva: “Do una mano a Dio a tenere pulite le strade della mia città.”
Seguire Gsù significa vivere, non essere dei cadaveri. Significa scoprire che la mia vita, i miei sentimenti, la mia storia, i miei affetti, la mia famiglia, il mio lavoro non sono disgrazie da cui liberarsi al più presto, ma sono positività!
La terza riflessione riguarda il guardarsi indietro. Nessuno che, messo mano all’aratro, si volge indietro, è degno del Regno. Che significa? Lo intuite da voi: attenti al passato che ingombra il presente. Gesù ha bisogno di gente rivolta al futuro, non ripiegata sul passato. Il Signore non vuole che siamo inchiodati alla miseria del nostro passato, alle fatiche della nostra infanzia, alle ferite del vissuto. Il Signore guarda solo avanti: chiunque può essere discepolo, non importa il suo passato, i suoi problemi. Il Signore ci dice che noi non siamo un problema. Abbiamo dei problemi, ma non siamo un problema. Che bello! Questo è “vangelo”, buona notizia.
Concludo questa riflessione leggendo la lettera di una mia parrocchiana che, dopo aver sentito questa riflessione durante un’omelia, mi scrive così:
“Quante volte sono una morta che si trascina o che si fa trascinare? Troppe. Hai ragione quando dici che troppe volte ci costruiamo un comodo e caldo nido in cui si è sicuri, ci si sente protetti e non si ha bisogno di altro. Comodo? Certo. Così comodo che si vive una morte prematura e ci si svilisce nella pigrizia; per paura di consumare le nostre preziose energie ci lasciamo consumare da agenti estreni, il lavoro, lo studio, la famiglia e non è tutto: per paura che qualcuno ci possa mettere in crisi ci volgiamo indietro, guardiamo il passato, i nostri errori e i nostri limiti quasi per giustificare il fatto che non facciamo nulla per cambiare.


Liturgia
e Liturgia della Parola della XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 30 giugno 2013