16 giugno 2013 - XI Domenica del Tempo Ordinario: Ogni gesto d'amore avvicina a Dio

News del 14/06/2013 Torna all'elenco delle news

Un momento esplosi­vo del Vangelo, che rovescia convenzio­ni e ruoli, che mette prepo­tentemente al centro l'amo­re: questa donna ha molto a­mato. Questo basta. Un Van­gelo che ci provoca, ci con­testa e ci incoraggia. La fede non è un intreccio compli­cato di dogmi e doveri. Gesù ne indica il cuore: ama, hai fatto tutto.
Ecco una donna venne... con un vasetto di profumo. Non con la cifra corrispon­dente (da dare ai poveri), non a mani vuote, non con un di­scorso di belle parole. Viene con quello che ha, con ciò che esprime amore, più che pentimento. Qualcosa per il corpo di Gesù, solo per il cor­po, e che rivela amore.
Bagna i suoi piedi con le la­crime, li asciuga con i capel­li, li profuma, li bacia. Sono gesti imprevisti, nuovi, oltre la legge, oltre lecito e illecito, oltre doveri o obblighi, con una carica affettiva veemen­te. Ai quali Gesù non si sot­trae, che apprezza. Bastava, come tanti altri, chiedere perdono. Ma perché questi gesti eccessivi, il profumo e le carezze e i baci? Già nella legge antica Dio aveva chie­sto per sé un altare per i pro­fumi; nel Cantico dei Canti­ci il profumo prolunga la pre­senza dell'amato, quando ha lasciato la stanza; le carezze e i baci sono la lingua uni­versale dove è detto il cuore. Ogni gesto d'amore è sem­pre decretato dal cielo.
Gesù gode il fiorire dell'a­more, vede la donna uscire dalla contabilità del dare e dell'avere, come se avesse u­na specie di conto da regola­re con il Signore, ed effon­dersi negli spazi della libertà e della creatività, fino a bru­ciare in un solo gesto un in­tero patrimonio di calcoli e di tristezze. Ogni gesto umano compiuto con tutto il cuore ci avvicina all'assoluto di Dio.
Gesù guarda al di là delle e­tichette: arriva una donna, gli altri vedono una pecca­trice, lui vede un'amante: ha molto amato. L'amore vale più del peccato. È la nostra identità. L'errore che hai commesso non rèvoca il be­ne compiuto, non lo annul­la. È il bene invece che revo­ca il male di ieri e lo cancel­la. Una spiga conta più di tut­ta la zizzania del campo. Questo Dio che ama il pro­fumo e le carezze, mi com­muove. Non è il grande con­tabile del cosmo, ma è offer­ta di solarità, possibilità di vi­ta profonda, gioiosa, profu­mata, che sa le sorgenti del­la gioia, del canto, dell'ami­cizia. Un solo gesto d'amo­re, anche muto e senza eco, è più utile al mondo dell'a­zione più clamorosa, dell'o­pera più grandiosa. È la rivo­luzione totale di Gesù, pos­sibile a tutti, possibile ogni giorno. 

Omelia di padre Ermes Ronchi


Il perdono che rinnova la vita

Ho letto tante volte questo brano e non mi ero mai soffermato molto su questo particolare: perché questa donna entra da Gesù e compie tutti questi gesti di amore e dedizione totale a Gesù?
L'attenzione troppe volte l'avevo incentrata sul fariseo, sulle sue critiche e pregiudizi e sull'insegnamento che riceve da Gesù.
Di fatto, lo scambio di battute avviene tra questo uomo che ha invitato Gesù e Gesù stesso. E' a lui che viene raccontata la parabola che lo vuole istruire.
La donna che irrompe nella scena invece non dice nulla. Non pronuncia nessuna parola. Ma sono i suoi gesti a parlare in modo molto intenso e commovente.
Il suo linguaggio non-verbale (come si potrebbe chiamare usando un termine preso dalla scienza della comunicazione) dice molto di quello che è avvenuto e che ancora accade nella vita di questa donna.
Lei è li a compiere questi gesti di estrema cura nei confronti di Gesù, perché si è sentita amata da lui.
Quando Gesù pronuncia le parole "I tuoi peccati sono perdonati" e "La tua fede ti ha salvata", non sta parlando al presente, come di qualcosa che avviene in quel momento. A mio avviso, Gesù semplicemente ricorda alla donna, e anche al fariseo e a noi, che lei ha già ricevuto il perdono, un perdono che la donna riconosce proprio con l'azione di lavare, asciugare, baciare e profumare i piedi di Gesù, colui che l'ha perdonata.
L'esperienza del perdono ricevuto in modo gratuito trasforma la donna e la rende testimone di bellezza interiore, proprio lei che agli occhi del fariseo rimane una disprezzabile prostituta.
Gesù vede una donna rinnovata che ama, il fariseo vede solo una peccatrice che sarebbe da allontanare e punire.
Due punti di vista diversi che provocano a ripensare il nostro modo di vederci gli uni e gli altri.

Come dice Gesù: "...colui al quale si perdona poco, ama poco". Il prete ha quindi il compito di essere lui stesso sacramento non di giudizio ma di amore, in modo che dando l'assoluzione, chi esce abbia davvero la sensazione di avere ricevuto un dono che non può non restituire che vivendo con amore.

Omelia di don Giovanni Berti
 

Logica di Dio, logica dell'uomo

Il colmo della sfacciataggine è quello di pretendere dagli altri ciò che noi stessi non siamo disposti a dare. Fare da maestri ad altri sulle virtù, sulla morale e sui criteri di comportamento e disattendere noi stessi quanto andiamo insegnando è proprio dell'ipocrisia e della presunzione e certamente non ci mette in mostra come persone serie e attendibili.
Soprattutto quando si pretende di istruire i nostri interlocutori su una nuova dottrina o si vuole propagandare un'idea o un partito preso.
Vi sono tanti movimenti religiosi alternativi che mietono parecchie vittime, e tuttavia l'evidenza mostra la loro inattendibilità, non solamente per l'infondatezza delle dottrine, ma soprattutto per le molteplici contraddizioni dottrinali su quanto insegnano i leader, e ancor di più per il fatto che, molto spesso, quello che viene interdetto agli adepti come censura e tabù è poi lecito e legittimo per i capigruppo. Ma anche all'interno dei nostri movimenti ecclesiali vi è chi si erge a maestro sul gruppo per il solo gusto del predominio e dell'autoesaltazione, mancando di ottemperare egli stesso ai propri doveri. Come pretendere che altri seguano un criterio di vita, un comportamento o determinati usi e norme di condotta, quando a trasgredirle sono proprio coloro che dettano legge? Come non sentirsi mortificati al notare che chi sta alla nostra guida elude egli stesso i doveri di cui continuante si mostra paladino e proclamatore?
Ed è proprio questa la falsità e la presunzione che Gesù rimprovera a tale fariseo di cui è ospite a pranzo. Come si sa, i Farisei erano la classe della formalità di usi e consuetudini esteriori; amavano conoscere e diffondere ogni rigo della Thorà (Legge ebraica) e del Talmud (Raccolta di leggi e tradizioni ebraiche); erano eruditi su costumi, usanze, abitudini e tradizioni proprie della loro cultura, ma raramente solevano far seguire la prassi alla teoria su quanto essi stessi andavano insegnando. Ora appunto il Fariseo che rimprovera la donna di essere una peccatrice deplorando tutti quegli accorgimenti che sta rivolgendo al Signore, aveva omesso di adoperare nei confronti di Gesù proprio tutte quelle attenzioni esteriori di cui il fariseismo era preconizzatore.
Dare il bacio di benvenuto, offrire l'acqua per il pediluvio, ungere i capelli con olio di nardo erano comuni norme di rispetto e di educazione da parte degli anfitrioni nei confronti dei loro ospiti, paragonabili al nostro salutare, stringere la mano e aiutare a togliere o rimettere la giacca. Il fariseismo non si stancava di raccomandare agli altri la pratica di tutti questi atti di formalità esteriore e pertanto a Simone gli si rimprovera anche di mancare di attenzione nei confronti di quanto egli stesso sicuramente è solito predicare ed insegnare.
Quale arroganza e ipocrisia! Giudicare gli altri senza avere la minima responsabilità di riprovare se stessi, come invece vuole la vera religione e la vera conformità di coscienza.
Ma soprattutto è altrettanto vigliacco e presuntuoso voler giudicare i comportamenti di Dio e i suoi criteri di scelta quanto all'amore verso i peccatori. Chi giudica, in ogni caso, si colloca al posto di Dio, perché presume di conoscere esattamente la verità su ogni persona o fatto, avvenimento oggetto di discussione, senza contare la banalità e l'inutilità dell'atto stesso di giudicare. Chi pretende di insegnare a Dio quali criteri adoperare nei confronti di un peccatore, ebbene non può che considerarsi peccatore egli stesso ed essere sottoposto a giudizio.
E' invece obiettivo raggiunto di maturità cristiana concepire che Dio giudica i peccati degli uomini mosso esclusivamente dall'amore, e che la misericordia ha sempre la meglio sul giudizio (Gc 2, 13). Prescindendo dalla natura, dal numero e dall'entità dei nostri peccati, Dio si riconcilia egli stesso con l'uomo prima ancora che questi chieda perdono allorquando scruta nell'animo un minimo di pentimento e di ravvedimento e soprattutto Dio esulta e fa festa quando un peccatore, sia pure reprobo e impenitente, ha esternato un solo atto di amore sincero e disinteressato. La carità, ovviamente caratterizzata da retta coscienza e giusto equilibrio, copre una moltitudine di peccati e chi ama ha garantito il perdono qualora abbia amato disinvoltamente e senza condizioni.
Ecco perché Simone sbaglia nel giudicare questa povera donna: è senza dubbio una peccatrice, ha sulle spalle un'innumerevole numero di mancanze e la sua coscienza non è stata certo retta davanti a Dio. Ma poiché il suo amore e la sua premura superano le formalità esteriori di un fariseo, merita il perdono e la riconciliazione con Dio. Del resto Gesù in altri luoghi lo dice espressamente: "I pubblicani e le prostitute prendono il vostro posto nel Regno dei cieli"(Mt 21, 31) qualora la vostra condotta e la vostra esemplarità di vita non sia conforme al creo che professate e se non sarete capaci di amore straordinario.
La carità supera le comuni inadempienze che la norma scritta dispone molte volte con rigorismo e fissità e poiché Dio è pronto ad amare anche il peccatore più spietato e ostinato anche un solo atto di amore sincero da parte di questi gli merita il perdono delle colpe. Piuttosto che giudicare e biasimare coloro che sbagliano, forti della presunzione che ci proviene da un certo perbenismo borghese tronfio, banale e melense, dovremmo prendere il coraggio per assumere il punto di vista di Dio e perdonare amando con la carità che il suo Cristo ci ha insegnato.
La dice lunga l'episodio dello smascheramento di Davide di cui alla prima lettura odierna: la malefatta di questo monarca, ora raggiunto dal giudizio divino propinatogli da Natan, era stata veramente grande, avendo lui provocato la gravidanza di Betzabea, moglie di Uria l'Hittita, e avendo poi mandato a morte lo stesso Uria prima che questi potesse accorgersi del misfatto. E tuttavia un solo atto di profondo pentimento, un umile gesto di contrizione e di amore, guadagna a Davide che gli venga risparmiata la vita. Insomma il perdono e la riconciliazione. Solo il Dio di Gesù Cristo, che ama l'uomo fino all'inverosimile della croce può scegliere l'inaudito e l'inimmaginabile nel concedere all'uomo il suo perdono.
Se la logica dell'uomo è quella del pregiudizio, dell'ipocrisia e della discriminazione, i parametri di Dio prendono le distanze da quanto è propriamente umano poiché Dio è dalla parte dell'uomo proprio perché l'uomo è peccatore. Ma se fra uomini si giudicano i peccati degli altri, come possiamo accogliere che Dio stia dalla nostra parte? 

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
 

Per chiedere occorre riconoscere di aver bisogno

Come la scorsa domenica, anche oggi le letture presentano due casi simili a confronto. La prima (2Samuele 12,7-13) condensa l'episodio del re Davide, che invaghitosi della bella Betsabea prima commette adulterio con lei e poi, per tenersela come ennesima moglie, ne fa uccidere il marito. La Bibbia presenta Davide come un grand'uomo, modello di fede, colmato da Dio di favori straordinari; tuttavia non nasconde che anch'egli fu peccatore, e per motivi non certo di poco conto: in proposito la sua grandezza sta nel riconoscere di avere peccato e nel chiederne umilmente perdono.
Colpevole di gravi peccati è anche la donna al centro del vangelo (Luca 7,36-50). Anche lei chiede perdono, e l'ottiene, a differenza di chi si ritiene "a posto" davanti a Dio. Tale era il fariseo che un giorno invitò Gesù a pranzo, e con sorpresa dovette assistere a una scena per lui disgustosa. Occorre ricordare che i farisei erano, nell'antico Israele, gli esponenti di un movimento politico-religioso che tra l'altro professava una rigorosa osservanza anche delle più minute pratiche legate alla fede; per questo godevano di generale rispetto e ammirazione, ed essi stessi si consideravano superiori alla gente comune. Occorre ricordare inoltre certe usanze della "buona società" di allora: quando un ricco accoglieva un ospite alla propria mensa, anzitutto chiamava un servo a lavargli i piedi, che i sandali non riparavano dalla polvere della strada; poi lo baciava, e gli versava sul capo qualche goccia di olio profumato. Va precisato ancora che il banchetto era pubblico: chiunque poteva entrare ad osservarlo.
Un giorno, dunque, un fariseo di nome Simone invitò l'ormai famoso Gesù, si intuisce non per ammirazione verso di lui ma per "studiare" da vicino quell'uomo da molti considerato un profeta, cioè un inviato da Dio. Durante il banchetto entrò nella sala una nota "peccatrice" (così la chiama l'evangelista), la quale si gettò piangendo ai piedi dell'ospite. Gesù la lasciò fare; poi si rivolse al padrone di casa, del quale aveva letto il pensiero ("Se costui fosse un profeta, saprebbe che genere di donna è questa e non le permetterebbe di toccarlo"), ponendogli una domanda: "Un creditore aveva due debitori, uno di cinquecento e l'altro di cinquanta denari; non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro lo amerà di più?" "Suppongo il primo", fu la giusta risposta. Gesù allora riprese: "Vedi questa donna? Sono entrato a casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto di olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato". E rivolto alla donna: "La tua fede ti ha salvata; va' in pace!"
Non sappiamo le reazioni dei due personaggi; ma possiamo immaginare la consolazione della donna e l'imbarazzo del fariseo, smascherato da quelle parole. Da sprofondare nella vergogna, per un uomo che si riteneva superiore, sentirsi rinfacciare la maleducazione nei riguardi dell'ospite, e addirittura vedersi anteposta una prostituta. Evidentemente, dei due debitori lui era il secondo, quello dei cinquanta denari; ma la donna, pentita dei suoi ben più gravi peccati, era stata perdonata, mentre lui, se non riconosceva i propri, restava col suo debito davanti a Dio.
Nessuno è perfetto; tutti abbiamo un debito davanti a Dio, e non importa quanto grande: basta ammetterlo, con umiltà. Tra le prime parole del papa Francesco ha colpito il richiamo che Dio non si stanca mai di perdonare: siamo noi, che ci stanchiamo di chiedere perdono. Verissimo, precisando che per chiedere perdono occorre riconoscere di averne bisogno. 

Omelia di mons. Roberto Brunelli
 

Liturgia e Liturgia della Parola della XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 16 giugno 2013