12 maggio 2013 - Solennità dell'Ascensione di Gesù: La benedizione infinita di Gesù

News del 27/04/2013 Torna all'elenco delle news

«E, alzate le mani, li benediceva». L'ultima imma­gine di Gesù sono le sue ma­ni alzate a benedire. «E, mentre li benediceva, veni­va portato su, in cielo».
Quella benedizione è la sua parola definitiva, raggiunge ciascuno di noi, non è più terminata, non è mai finita.
Una in-finita benedizione che rimane tra cielo e terra, si stende come una nube di primavera sulla storia inte­ra, su ogni persona, è trac­ciata sul nostro male di vivere, sull'uomo caduto e sulla vittima, ad assicurare che la vita è più forte delle sue ferite.
Nella Bibbia la benedizione indica sempre una forza vi­tale, una energia che scende dall'alto, entra in te e pro­duce vita. Come la prima di tutte le benedizioni: Dio li benedisse dicendo «cresce­te e moltiplicatevi». Vita che cresce, in noi e attorno a noi. La benedizione è questa for­za più grande di noi che ci avvolge, ci incalza; un flus­so che non viene mai meno, a cui possiamo sempre at­tingere, anche nel tempo delle malattie e delle delu­sioni.
Una benedizione ha lascia­to il Signore, non un giudi­zio; non una condanna o un lamento, ma una parola bel­la sul mondo, di stima, di e­norme speranza in me, in te, di fiducia nel mondo: c'è del bene in te; c'è molto bene in ogni uomo, su tutta la terra. Di questo voi sarete testi­moni: il Cristo doveva pati­re e risuscitare; nel suo no­me annunciate a tutti la conversione e il perdono. Sono le ultime parole di Gesù, con le tre cose es­senziali: - ricordare la croce e la Pa­squa. L'abbraccio del croci­fisso che non può più an­nullarsi, ci raggiunge tutti e ci trascina in alto con lui. E la Pasqua: i massi rotolati via dall'imboccatura del cuore, come da quella del sepol­cro. E nel giardino è prima­vera.
- La conversione. Non è un comando, ma una offerta; non un dovere ma una opportunità: nascere di nuo­vo. Seguendo Gesù, vedrai, la vita è più bella, il sole più luminoso, le persone più buone e felici.
- Il perdono. Non quello di uno smemorato, che di­mentica il male, ma quello di un creatore: che ti fa ri­partire ad ogni alba verso terre intatte; che apre futu­ro, fa salpare la tua vita co­me una nave prima arena­ta.
Nella sua ascensione, Gesù non è salito verso l'alto, è andato oltre e nel profondo. Non al di là delle nubi, ma al di là delle forme. Siede al­la destra di ciascuno di noi, è nel profondo del creato, nel rigore della pietra, nella musica delle costellazioni, nella luce dell'alba, «nel­l'abbraccio degli amanti, in ogni rinuncia per un più grande amore» (G. Vannuc­ci). 

Omelia di padre Ermes Ronchi


Una direzione in tempi di smarrimento

Solennità dell'Ascensione. Ne parla ampiamente già la prima lettura, costituita dalla pagina iniziale degli Atti degli apostoli (1,1-11), composti da Luca come seconda parte del suo scritto, la cui prima parte è il vangelo che porta il suo nome. Luca comincia gli Atti riprendendo la dedica con cui aveva cominciato il vangelo, cioè a Teòfilo: un personaggio a noi sconosciuto, che però, considerando il significato di questo nome ("amico di Dio"), può essere identificato in ogni lettore che voglia essere appunto amico di Dio. Subito dopo, Luca riassume la prima parte del suo scritto, cioè il vangelo: "Nel mio primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo". E del vangelo ripete quasi alla lettera la conclusione: "Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l'adempimento della promessa del Padre" (si riferisce alla Pentecoste, che celebreremo domenica prossima). Aggiunse poi il Maestro: "Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo, (dal quale riceverete la forza di essere) testimoni di me a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra".
Per quaranta giorni, dunque, il Risorto si è fatto vedere dai suoi, e per fugare ogni dubbio sulla concretezza della sua nuova vita si è fatto toccare e ha mangiato con loro. Poi, a significare che intendeva mettere fine alle sue manifestazioni, si è fatto vedere a salire in cielo. Questo tratto esprime la sua condiscendenza verso il modo di pensare e di esprimersi degli uomini, i quali quasi per istinto collocano Dio in cielo. In realtà non esiste un in cui Dio abita: semmai è il mondo intero, cieli compresi, che in Dio. Altrettanto simbolico è quanto si aggiunge, riprendendolo da altre parti della Bibbia, nel Credo: "E' salito al cielo, siede alla destra del Padre". In realtà in paradiso non occorrono sedili e non hanno senso destra e sinistra; l'espressione riprende un'usanza umana: il Padre dà il posto d'onore al Figlio, per significare che ha gradito il suo sacrificio.
I sacri testi aggiungono poi che la sua partenza da questo mondo non è definitiva. La prima lettura si conclude dicendo: "Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo"; nel Credo, alle parole appena riportate seguono queste: "E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti". Dunque tornerà: e intanto, che fa? Alla domanda risponde la seconda lettura (Lettera agli Ebrei 9-10), che lo presenta nel costante atteggiamento di nostro avvocato difensore, per consentirci di arrivare a condividere, dopo questa, la sua stessa vita.
Ma l'ascensione presenta anche altri significati. Ad esempio, tornando al Padre, Gesù non si disinteressa del mondo: lascia qui la sua Chiesa, la sua Parola, i sacramenti, i poveri (in ogni senso) nei quali egli si identifica. E a tutti il suo ascendere al cielo, nel significato che si è detto, vuole dare anche la direzione del cammino. Viviamo in tempi di smarrimento: si sente ripetere che ormai sono morte tutte le ideologie, che mancano figure di riferimento capaci di dare ordine e senso alla vita. Chissà se è proprio vero (e se lo è, forse non c'è da piangere, considerando i guasti che anche di recente le ideologie hanno prodotto, a destra e a sinistra); in ogni caso al cristiano una figura di riferimento non manca: ed è l'unica che dà senso alla vita presente, coordinandone tutti gli aspetti verso una meta che la trascende. Là dove Lui ci ha preceduto. 

Omelia di mons. Roberto Brunelli


La direzione dello sguardo

Celebriamo oggi la solennità dell'Ascensione di Gesù al cielo, e la fatica che faccio è quella di calare il più possibile nella quotidianità, nella vita di tutti i giorni una riflessione che rischia di essere troppo aerea e al di là delle nuvole. Fortunatamente sono davvero tanti i riferimenti alla concretezza che Vangelo (per bocca di Gesù) e prima lettura (per bocca degli angeli) vogliono trasmetterci.

Comincio dalla prima lettura. Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo. L'invito, forte, che ci fa il libro degli Atti è ad abbassare lo sguardo: non è rimanendo con il naso all'insù che si attende il ritorno del Signore. Ritorno di Gesù e suo cammino quotidiano sono in stretta continuità: per conoscere, confessare e testimoniare il Veniente non occorre guardare in cielo, ma ricordare i passi compiuti da Gesù sulla terra. L'umanità di Gesù attestata dai vangeli è il magistero che indica ai cristiani la via da percorrere per testimoniare colui che, asceso al cielo, non è più fisicamente presente tra i suoi e verrà nella gloria... (comunità di Bose). E' un pensiero questo che, (non lo nascondo), mi piace tantissimo.
L'altro giorno, visitando la comunità di Punta Felipe (14 Km di sterrato da Cascajal, la comunità più distante nel territorio della mia parrocchia) e incontrando Tato, novant'anni e suo figlio (psicolabile), guardando dove e come vivono, mi è venuta voglia di guardare il cielo, di cominciare a camminare guardando il cielo non per invocare Dio ma perché provavo fastidio, perché non volevo vedere, rendermi conto. Mi è venuto in mente un incontro fatto ai campi estivi con don Daniele Simonazzi, dove ci dicevamo che proprio dal momento in cui Gesù fu elevato in alto sotto i loro occhi e dal momento in cui una nube lo sottrasse al loro sguardo, da quel momento incomincia il nostro essere Chiesa. Oggi ci viene detto anche che noi non dobbiamo guardare in alto e che comunque il Cristo è sottratto al nostro sguardo. Non perdiamoci a guardare in alto: il Cristo ci è sottratto. O meglio, se la nostra vita di fede, se la nostra vita ecclesiale è guardare in alto ci precludiamo la possibilità di riconoscere Gesù che ci visita in basso. E questo vuol dire che ciò che siamo chiamati a fare, lo siamo chiamati a fare qui, senza vivere di nostalgie e di rimpianti. La condizione dei cristiani è la condizione di coloro che sanno che il Cristo li ha preceduti, ma sanno anche che il Cristo è stato sottratto ai loro sguardi (don Daniele Simonazzi). È molto più facile guardare in alto che guardarci in faccia gli uni gli altri, (la vita di Tato e le sue parole sono un continuo richiamo a cambiare la direzione del mio sguardo) è più facile guardare il cielo che guardare più sotto, ad altezza d'uomo. Guardando il cielo rischiamo di non guardare dove mettiamo i piedi e di calpestare i poveri (don Daniele Simonazzi). Bisogna che abbassiamo lo sguardo per guardare là dove il Cristo ha vissuto, ha patito, è morto ed è risorto: sono chiamato ad abbassare lo sguardo, per riconoscere in Tato il risorto che a Punta Felipe vuole incontrarmi.

E poi la concretezza di questa pagina di vangelo. Così sta scritto... le ultime parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli fanno riferimento alle Scritture... è sempre la debolezza della parola il luogo scelto da Gesù per, (pur portato al cielo), rimanere, fermarsi nella sua chiesa. Che bello, Gesù non abbandona i suoi discepoli ma lascia a loro le sue parole come il segno più forte di sé; nella Scrittura allora, la presenza, il progetto, il disegno di Dio; credo che questa sottolineatura che Gesù fa della importanza della parola, divenga per i discepoli e per ciascuno di noi una responsabilità: di questo siete testimoni. "Facciamo in modo che Cristo non si allontani dalla nostra storia" ha detto un giorno O. Romero in un sua omelia. I testimoni hanno questo compito, questa responsabilità, indicare la presenza indicando i volti, condividendo le situazioni, annunciando il Vangelo. La Scrittura, e quindi la presenza di Gesù sono affidate a dei testimoni. Questo lo trovo di una bellezza straordinaria: non è la consegna di una dottrina, non è la consegna di una morale, non è la consegna di regole l'ultimo desiderio di Gesù, ma la consegna di una parola. Credo anche che si possa dire il contrario: Gesù al tempo stesso consegna i discepoli alla Parola di Dio, li affida alla Parola perché sia questa a condurli, a guidarli, a insegnare un cammino, a ricordare loro cose semplici e concrete: saranno predicati a tutte le genti la conversione e (per letteralmente) il perdono dei peccati. Vivere loro per primi la conversione per poi poterla chiedere ai fratelli e sorelle che incontreranno (con questa prima conversione dello sguardo alla quale subito sono richiamati dagli angeli), per poi perdonare i peccati, ovvero essere segni di misericordia e di perdono, condurre gli uomini alla risurrezione. Sì perché tutto è pasquale in questi versetti... la conversione che è il passare attraverso una morte (il rendersi conto che qualcosa è necessario far morire in noi) e il perdono (la resurrezione), ovvero essere ristabiliti in una relazione buona con Dio. Tra le cose semplici e concrete c'è anche l'attenzione a non escludere nessuno, ad avere la stessa ampiezza dello sguardo di Dio: tutti i popoli, tutte le genti... sottolineo questo tutte le volte che posso per non dimenticare che nella chiesa si sta vivendo un dibattito pericolosamente orientato a restringere l'ampiezza di questo sguardo in un qualcosa di importanza fondamentale come la preghiera di consacrazione della Messa (scusatemi l'insistenza...). Quello che tanti vorrebbero, passare dal tutti al molti nelle parole della consacrazione sul calice sarebbe un andare contro, un tradire le ultime parole di Gesù.

Mi piace molto anche come Luca conclude il viaggio terreno di Gesù... un gesto e parole di benedizione, perché i discepoli potessero vivere di quelle parole, perché fino all'ultimo non si sentissero giudicati per la loro inadeguatezza, per tutte le volte che non hanno compreso le parole di Gesù, per tutte le volte che non sono stati capaci di stare con Lui, per i loro tradimenti... abbandonato da loro fino a tre giorni prima (nel vangelo di Luca dalla resurrezione all'Ascensione passa una giornata e tutto si conclude...) avrebbe potuto dirgliene quattro o fargli mille raccomandazioni... e invece alza le mani, come in un ultimo abbraccio e benedice, dice bene di loro, parole d'amore che saranno memoria della sua presenza. 

Omelia di don Maurizio Prandi
 


A-Dio

Profumo di festa e di gioia, in questa celebrazione: siamo quasi al termine del tempo di Pasqua, attendiamo il dono dello Spirito Santo e intanto ci fermiamo a gustare questa bella pagina del Vangelo di Luca, che ci racconta l'Ascensione di Gesù.
Che vuol dire "ascensione"? È una parola che viene dal latino, dal verbo latino "ascendere" che vuol dire "salire". Ed infatti i discepoli rivolgono lo sguardo verso l'alto, perché vedono Gesù che, dopo averli benedetti, "si staccò da loro e fu portato su nel cielo".
Non abbiamo una descrizione dettagliata di quello che è avvenuto: sappiamo che Gesù ha già compiuto segni straordinari davanti alle folle, ha camminato sull'acqua, ha placato le tempeste, ha moltiplicato il pane ed ha sconfitto la morte, risuscitando. Quindi nulla, proprio nulla, gli impedisce di alzarsi in aria, se vuole.
Però i Vangeli non ci dicono esattamente che cos'è successo in questa occasione: sappiamo solo che è l'ultima volta in cui il Rabbi Risorto si trova davanti agli Apostoli e a tutti i suoi amici. Coloro che lo avevano conosciuto e seguito per le strade della Palestina, da ora in avanti non lo vedranno più.
Questo è veramente l'ultimo saluto di Gesù, visto faccia a faccia, occhi negli occhi.
E, se devo essere sincera, mi sarei aspettata che i suoi discepoli, in questo momento, fossero tristi, avessero in cuore quella punta di malinconia che sentiamo tutti quando dobbiamo salutare qualcuno che non rivedremo più, quando dobbiamo separarci da qualcuno a cui vogliamo bene...
Invece abbiamo letto nel Vangelo: "Ed essi, adoratolo, tornarono a Gerusalemme con grande gioia".
Sono pieni di gioia, hanno voglia di cantare e di benedire Dio... come mai?
Dire "addio" significa proprio "a Dio" che cioè "ci rivedremo in Dio": questa certezza, per i discepoli, è fonte di consolazione e di gioia. Quello che hanno scambiato con il Rabbi Risorto non è un saluto per non rivedersi mai più, ma è solo un arrivederci fino al momento in cui si ritroveranno in Dio, quando saranno di nuovo insieme, stavolta per sempre.
Ecco perché tornano a Gerusalemme con il cuore pieno di gioia, ecco perché trascorrono il loro tempo in preghiera, al Tempio, per ringraziare e benedire il Signore Dio, di tutto quello che hanno vissuto e condiviso.
Mentre attendono il dono promesso, la forza che verrà loro dallo Spirito Santo, continuano a ripensare e a ricordare tutti gli insegnamenti del Maestro, per prepararsi a portare avanti l'incarico che ha loro assegnato in quell'ultimo saluto: "Voi siete testimoni".
 Siamo chiamati anche noi ad essere suoi testimoni.
Noi incontriamo Gesù ogni volta che ascoltiamo il Vangelo, ogni volta che facciamo la Comunione, ogni volta che chiediamo perdono andandoci a confessare... Anche se non l'abbiamo visto in faccia, noi sappiamo che Gesù c'è, è vivo, è risorto, ci vuole bene! Questo sì che possiamo testimoniarlo! Noi possiamo testimoniare, cioè riferire e raccontare a tutti, in che modo vivono le persone che credono in Gesù: come si amano, come condividono, come si aiutano... Possiamo testimoniare, cioè ripetere ancora, a voce alta, quello che il Maestro e Signore ci ha insegnato: il Padre Nostro, il comandamento dell'amore, l'invito a perdonare e ad amare anche i nostri nemici... -
In questa settimana, mentre attendiamo il dono dello Spirito Santo, teniamo gli occhi, le orecchie e il cuore aperto, per riconoscere i mille piccoli segni che ci rivelano la presenza del Signore, pronti ad essere suoi testimoni, nella vita di ogni giorno.

Commento a cura di Daniela De Simeis 


Liturgia e Liturgia della Parola della Solennità dell'Ascensione del Signore (Anno C):