14 aprile 2013 - III Domenica di Pasqua: La pesca miracolosa

News del 07/04/2013 Torna all'elenco delle news

"In quella notte non presero nulla", scrive l'evangelista. É l'amara esperienza di Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo e altri due discepoli (sette in tutto, simbolo dell'universalità, primo seme della Chiesa), dopo una faticosa notte di pesca.

Un'esperienza non dissimile da quella di tanti uomini e di tante donne, di tanti giorni e di tante notti: non producono nulla.
La "notte", in questi casi, non è solo una notazione temporale, è segno dell'assenza del Signore e del conseguente smarrimento. All'alba un uomo si fece accanto alla stanchezza degli apostoli e incontrò la loro fatica e la loro delusione; la vicinanza di Gesù, non importa se riconosciuto o no, comportò la fine della notte e, quel che conta, l'inizio di un nuovo giorno, di una nuova vita.

Egli chiese se avevano del pesce da mangiare; ma quei sette furono costretti a confessare tutta la loro povertà e impotenza. Gesù, che peraltro non avevano ancora riconosciuto, con amicizia autorevole li invitò a cercare altrove: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". Quei sette uomini accolsero l'invito e, senza opporre resistenza alcuna, sebbene fosse più che ragionevole esprimerla, obbedirono: la pesca fu grande, miracolosa, oltre ogni misura.

Di fronte a questa esperienza di fecondità e di gioia, uno dei discepoli, quello che Gesù amava, riconobbe la voce e disse agli altri: "E' il Signore!" Ancora una volta, per bocca del discepolo, risuonava agli apostoli l'annuncio della Pasqua, la vittoria del Signore sulla morte. Simon Pietro, nel sentire la vicinanza del Signore, comprese tutta la sua indegnità; si cinse subito i fianchi con una veste, era infatti nudo, si gettò nel lago e corse a nuoto verso Gesù. Gli altri, invece, vennero dietro con la barca trascinando la rete piena di pesci.

A questo punto il Vangelo presenta una scena conviviale, piena di tenerezza: tutti erano insieme attorno ad un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane, preparato da Gesù. Nessuno osava domandargli nulla; rimasero senza parole, come quando veniamo superati dall'amore e dalla tenerezza. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli.
Per noi è la terza domenica che ci ritroviamo nella liturgia domenicale attorno all'invito che Gesù stesso ci rivolge, come fece allora ai suoi: "Venite a mangiare". Oggi, come allora, vediamo ripetersi la stessa scena e sentiamo le medesime parole di Gesù: "Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro".
E' una scena a suo modo scarna, eppure colma di domande, soprattutto di una domanda: quella che Gesù, proprio all'alba del giorno, rivolse a Simon Pietro. Non era una domanda sul passato, o sulle delusioni; e neppure sulle non poche paure. Gli chiese solamente: "Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?". Gesù interpellò Pietro sull'amore. Non gli ricordò il tradimento di qualche giorno prima; l'amore infatti copre un gran numero di peccati. E Pietro, che pure si era vergognato davanti a lui e gli era corso incontro, prontamente rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti amo". Era una risposta più vera di quella che aveva dato quel giovedì sera al cenacolo quando disse a Gesù: "Per te sono disposto ad andare fino alla prigione e alla morte" (Lc 22, 33). Ora, la risposta era più vera, più umana. E, a lui che non meritava nulla, Gesù disse: "Pasci i miei agnelli"; sii responsabile degli uomini e delle donne che ti affido.
Proprio Pietro che aveva mostrato di non essere in grado di restare fedele, doveva essere il responsabile? Proprio lui? Si, perché ora Pietro accoglieva l'amore che Gesù stesso gli donava; e nell'amore si diviene capaci di parlare, di testimoniare, di prendersi cura degli altri. Gesù non lo interrogò una volta sola sull'amore, ma tre volte, ossia sempre.

Ogni giorno ci viene chiesto se amiamo il Signore. Ogni giorno, ci viene affidata la cura degli altri. L'unica forza, l'unico titolo, che ci permette di vivere è l'amore per il Signore. Gesù disse ancora a Pietro: "Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi". Pietro forse ricordò la sua giovinezza di pescatore a Cafarnao, quando si alzava presto per andare a pescare, quando usciva di casa per girare dove voleva, forse anche le sue delusioni e magari anche il luogo dove incontrò per la prima volta Gesù. Mentre gli tornavano in mente questi ricordi, Gesù aggiunse: "Quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi". Pietro, come ogni credente, non sarà lasciato solo: quell'amore sul quale siamo interrogati impegna il Signore prima che noi. E' lui infatti che ci ha amati per primo e mai più ci abbandonerà, anche quando "un altro ci cingerà la veste e ci porterà dove noi non vorremmo".

Quel che conta è la fedeltà a quella scena sulla riva del lago, che ogni domenica si ripete per noi; quella scena ha un sapore di eternità. 

Omelia di mons. Vincenzo Paglia 


Le tre domande di Gesù a Pietro: così Dio abita il cuore dell'uomo

Gesù e Pietro, uno dei dialoghi più affasci­nanti di tutta la let­teratura.
Tre do­mande, come nel­la sera dei tradimenti, at­torno al fuoco nel cortile di Caifa', quando Cefa', la Roc­cia, ebbe paura di una ser­va. E da parte di Pietro tre dichiarazioni d'amore a ri­comporre la sua innocenza, a guarirlo alla radice dai tre rinnegamenti.
Gesù non rimprovera, non accusa, non chiede spiega­zioni, non ricatta emotivamente; non gli interessa giudicare e neppure assol­vere, per lui nessun uomo è il suo peccato, ognuno vale quanto vale il suo cuore:
Pietro, mi ami tu, adesso?
La nostra santità non con­siste nel non avere mai tra­dito, ma nel rinnovare ogni giorno la nostra amicizia per Cristo.
Le tre domande di Gesù so­no sempre diverse, è lui che si pone in ascolto di Pietro. La prima domanda: Mi ami più di tutti? E Pietro rispon­de dicendo sì e no al tempo stesso. Non si misura con gli altri, ma non rimane nep­pure nei termini esatti del­la questione: infatti mentre Gesù usa un verbo raro, quello dell'agàpe, il verbo sublime dell'amore assolu­to, Pietro risponde con il verbo umile, quotidiano, quello dell'amicizia e del­­l'affetto: ti voglio bene.
Ed ecco la seconda doman­da:
Simone figlio di Giovan­ni, mi ami? Gesù ha capito la fatica di Pietro, e chiede di meno: non più il confronto con gli altri, ma rimane la ri­chiesta dell'amore assoluto. Pietro risponde ancora di sì, ma lo fa come se non aves­se capito bene, usando an­cora il suo verbo, quello più rassicurante, così umano, così nostro: io ti sono ami­co, lo sai, ti voglio bene. Non osa parlare di amore, si ag­grappa all'amicizia, all'af­fetto.
Nella terza domanda, è Ge­sù a cambiare il verbo, ab­bassa quella esigenza alla quale Pietro non riesce a ri­spondere, si avvicina al suo cuore incerto, ne accetta il limite e adotta il suo verbo:
Pietro, mi vuoi bene?
Gli domanda l'affetto se l'a­more è troppo; l'amicizia al­meno, se l'amore mette paura; semplicemente un po' di bene.
Gesù dimostra il suo amore abbassando per tre volte l'e­sigenze dell'amore, rallen­tando il suo passo sulla mi­sura del discepolo, fino a che le esigenze di Pietro, la sua misura d'affetto, il rit­mo del suo cuore diventa­no più importanti delle esi­genze stesse di Gesù. L'u­miltà di Dio. Solo così l'a­more è vero. E io so che nell'ultimo gior­no, se anche per mille volte avrò sbagliato, il Signore per mille volte mi chiederà so­lo questo: Mi vuoi bene? E io non dovrò fare altro che rispondere per mille volte: Ti voglio bene. 

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

Nesso tra le letture

 

Dopo la resurrezione di Gesù Cristo, è giunta per gli apostoli l'ora della missione. Il numero centocinquantatré di pesci pescati miracolosamente simboleggia il carattere pieno ed universale della missione dei discepoli e della Chiesa. A Pietro, Cristo risorto dice per tre volte quale deve essere la sua missione: "Pasci le mie pecorelle" (vangelo). Dopo la Pentecoste, i discepoli cominciarono a porre in pratica la missione che avevano ricevuto, predicando la Buona Novella di Gesù Cristo (prima lettura). Fa parte della missione che gli uomini non soltanto conoscano Cristo, ma anche che lo adorino come Dio e Signore (seconda lettura).

La figura centrale delle letture di questa domenica è Cristo risorto, che appare agli apostoli sulla riva del lago. Simon Pietro prende l´iniziativa e va a pescare e gli altri apostoli lo seguono.
Proprio loro, che pure erano esperti nell´arte della pesca, trascorrono l´intera notte senza prendere niente. All´alba, odono la voce di uno sconosciuto che li chiama dalla spiaggia, invitandoli a gettare la rete sul lato destro: ´Quando già era l´alba Gesù si presentò sulla riva (Gv 21,4). L´evangelista precisa che quella notte ´non presero nulla (Gv 21,3), e aggiunge che non avevano nulla da mangiare. All´invito di Gesù: ´Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete (Gv 21,6), obbedirono senza esitazione. Pronta fu la loro risposta e grande la loro ricompensa, perché ´gettarono [la rete] e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci (Gv 21,6), la stessa rete che era rimasta vuota nella notte. Fu lo sguardo acuto di Giovanni a scoprire che si trattava del Signore (Vangelo).
Nella prima lettura contempliamo gli Apostoli che danno testimonianza della resurrezione del Signore con coraggio e si ritengono degni di soffrire per il nome di Gesù (prima lettura). Il libro dell´Apocalisse manifesta la lode e l´onore che si deve all´Agnello sacrificato (seconda lettura). Egli ha conseguito il trionfo per mezzo della sua umiliazione.

Il comando di Cristo a Pietro: pasci le mie pecorelle. Gesù risorto appare ai suoi Apostoli sulle rive del lago di Galilea. È un´apparizione nella quale traspare l´amore e l´affetto che Gesù nutre per i suoi apostoli. Qui risulta espresso più chiaramente quanto il Signore desideri "consolarli" tutti quanti, ma in modo particolare Pietro, tanto ferito nell´animo dal suo triplice rinnegamento. Gesù osserva Pietro con uno sguardo di benevolenza e lo conferma nel suo compito di fronte alla Chiesa. Gli chiede di amarlo di più. Gli chiede, nonostante la sua umana fragilità, di fidarsi della grazia divina e di intraprendere con ardore il grande compito della predicazione del vangelo e dell´estensione della Chiesa. Pietro nota che quelle parole, come olio su una ferita, venivano a lenire e guarire il suo cuore pentito e ferito. Forse avrà rammentato quelle altre parole: ´io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli (Lc 22,31-32).
Nel XXV anniversario della sua elevazione al soglio pontificio, il papa Giovanni Paolo II commentava questo passaggio con un accento affettuoso: ´Oggi, cari Fratelli e Sorelle, mi è gradito condividere con voi un´esperienza che si prolunga ormai da un quarto di secolo. Ogni giorno si svolge all´interno del mio cuore lo stesso dialogo tra Gesù e Pietro. Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo risorto. Egli, pur consapevole della mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo" (Gv 21,17). E poi mi invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidato (Giovanni Paolo II, Omelia del 16 ottobre 2003, XXV anniversario di pontificato).

La fede scopre Gesù risorto. Questa scoperta la fa Giovanni. La fa in base a quello che sta vivendo: una pesca infruttuosa, uno sforzo vano, uno sconosciuto che appare all´orizzonte, un´indicazione, un frutto... Le trasformazioni della nostra vita possono essere così: molto sacrificio, poca pesca, un comando del Signore, una pesca inattesa... È il Signore! Scoprire che è il Signore colui che sta guidando la barca della Chiesa, che è il Signore colui che dice a me di tirar su le mie reti, che è il Signore che mi invita a pranzare con lui, che è il Signore che mi chiede di camminare sulla spiaggia. È il Signore! La mia vita apostolica, la mia missione nella vita è la mia vita nel Signore. Giovanni ci svela quella sensibilità della fede che sa scoprire nelle trasformazioni della vita la presenza e l´azione salvìfica di Gesù risorto.
La scoperta di Giovanni è magnifica, e cambia immediatamente tutta la situazione. Passa da una notte infruttuosa e piena di fatica ad un´esperienza gioiosa di Cristo presente; giunge all´esperienza di Cristo che agisce sui compiti e sulle reti degli apostoli. Nella vita dell´apostolo ci sono a volte notti apparentemente infruttuose, potenziali fallimenti, momenti di intenso dolore e di vuoto, ma per il cristiano quei momenti sono solo come presagi dell´arrivo di Cristo risorto, sono solo momenti che, uniti a Cristo paziente, ci indirizzano verso l´esperienza di Cristo trionfante. In ogni caso, l´importante è perseverare nel bene, perseverare nel lavoro apostolico fatto per amore e con purezza d´intenzione. Mai arrancare o abbandonare. L´importante è ravvivare la fede, per scoprire che il Signore resta sempre sulla riva del lago per dialogare con me e invitarmi nuovamente alla pesca.
L´esperienza di Giovanni, che riconosce il Signore, è quella che lo sostiene nel suo camminare, è quella che lo porta a verificare che Dio è amore e che dobbiamo amarci gli uni gli altri, come l´evangelista scriverà più tardi nelle sue lettere. In più, possiamo dire che le notti sono necessarie, che i momenti di apparente fallimento sono indispensabili, perché provano la fedeltà dell´apostolo, la purificano, l´affinano; evidenziano se quell´apostolo opera fidando solo in se stesso, o se tutta la sua speranza è riposta solo nel Signore. Le notti sono necessarie, perché sono come le dita di Dio, che modellano il cuore dell´uomo e lo alleggeriscono del peso che lo trattiene e degli affetti disordinati del cuore.

Il buon pastore offre la vita per le pecore (Gv 10,11). ´Mentre Gesù pronunciava queste parole, gli Apostoli non sapevano che parlava di se stesso. Non lo sapeva nemmeno Giovanni, l´apostolo prediletto. Lo comprese sul Calvario, ai piedi della Croce, vedendolo offrire silenziosamente la vita per "le sue pecore". Quando venne per lui e per gli altri Apostoli il tempo di assumere questa stessa missione, allora si ricordarono delle sue parole. Si resero conto che, soltanto perché aveva assicurato che sarebbe stato Lui stesso ad operare per mezzo loro, essi sarebbero stati in grado di portare a compimento la missione (Giovanni Paolo II, Omelia del 16 ottobre 2003, XXV anniversario di pontificato).
Effettivamente, solo perché il Signore ci ha assicurato la sua compagnia, la sua presenza, il suo amore, possiamo, proprio come i primi apostoli, slanciarci nella vita a compiere il mandato missionario, per compiere la missione di annunciare agli uomini il Regno di Dio. E pastori sono i vescovi, sono i sacerdoti, sono i religiosi e le religiose, ma pastori sono anche, al loro proprio livello, i genitori, che devono dare la vita per i loro figli; gli insegnanti, che alimentano con la verità i loro alunni; tutti gli uomini che sanno di avere una missione nella vita, una missione che va oltre loro stessi. L´uomo, essendo l´unica creatura amata da Dio di per se stessa, non può trovare la propria realizzazione se non nella donazione sincera di se stesso agli altri. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore, e ogni uomo che voglia essere realmente uomo, dà la vita per gli altri, dona sinceramente se stesso agli altri. 

Testo di Totustuus
tratti da www.lachiesa.it

Liturgia e Liturgia della Parola della III Domenica di Pasqua (Anno C): 14 aprile 2013