Il deserto tempo di prova - Cammino Quaresimale a cura di don Nicola Casuscelli: terza parte

News del 25/02/2013 Torna all'elenco delle news

In Dt 8,2-6 ci è data un’interpretazione teologica dell’esperienza del deserto. Dio è l’educatore. Attraverso le prove da affrontare, Israele deve apprendere quale sia il giusto comportamento con il suo Dio, il quale si serve del deserto per formar lo affinché lo riconosca come unico e vero il Dio della rivelazione e il Signore della vita, dal quale ha ricevuto e riceve ogni bene e al quale deve l’obbedienza della fede.
Israele deve imparare la lezione del deserto: soltanto un popolo che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica, è un popolo sano e vivo.
Il deserto diventa una prova per sapere se Israele crede veramente in YAHWE: «Il Signore, vostro Dio, vi mette alla prova per conoscere se veramente amate il Signore vostro Dio con tutto il vostro cuore e con tutta la vostra anima» (Dt 13, 4).
«Se ascolterai la voce del Signore... e agirai rettamente dinanzi ai suoi occhi, se presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutti i suoi decreti, non ti infliggerò nessuno dei flagelli che ho inflitto all’Egitto, perché io sono il Signore che ti cura» (Es 15, 26). Anzi... «Il Signore tuo Dio conserverà per te l’Alleanza e la benevolenza che ha giurato ai tuoi padri. Egli ti amerà, ti benedirà e ti moltiplicherà...» (Dt 7,12-13). La condizione della benedizione, dunque, è l’ascolto della voce di Dio, «perché l’uomo non vive soltanto di pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Dt 8, 3).

     
Il deserto, luogo della tentazione, della mormorazione, dell’incredulità e del castigo

Il deserto è il luogo dove Israele, nonostante tutti i benefici ricevuti da Dio, «ha indurito il cuore, /,come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, / dove mi tentarono i vostri padri: / mi misero alla prova, / pur avendo visto le mie opere. / Per quarant’anni mi disgustai di quella generazione / e dissi: Sono un popolo dal cuore traviato, / non conoscono le mie vie; / perciò ho giurato nel mio sdegno: / Non entreranno nel mio riposo» (Sal 95, 8-11).
In effetti, la lunga peregrinazione nel deserto è descritta come una mormorazione generale di «tutti i figli d’Israele» contro Mosè ed Aronne e, di conseguenza, contro Dio stesso, seguita dal proposito di ritornare in Egitto per paura dei nemici e per i disagi del viaggio.
Ciò significava mancanza di fede in YAHWE liberatore, ribellione contro di lui e disprezzo della terra che egli stava per donare. Ecco allora il castigo: tutta «quella generazione ribelle e ostinata, / generazione dal cuore incostante / e dallo spirito infedele a Dio» (Sal 78, 8), non entrerà nella Terra Promessa, ma dovrà morire nel deserto.
Così il periodo del deserto diventa non solo il tempo di prova, ma di castigo e di morte.

     
Il deserto, tempo di scoraggiamento

Israele, privo delle comodità che possedeva in Egitto, non riesce a dimenticare quanto ha lasciato. «Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Mentre qui la nostra vita inaridisce; non c’è più nulla; i nostri occhi non vedono altro che questa manna» (Nm 11, 5-6).
Ne segue che è sempre più tentato di denigrare la Terra Promessa come dono di Dio, anche perché gli stessi esploratori «screditarono presso gli Israeliti il paese che avevano esplorato, dicendo: “Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora gli abitanti...» (Nm 13, 32).
Di fronte, perciò, alle crescenti difficoltà, il popolo si lascia cadere in uno stato di scoraggiamento mortale: «Oh se fossimo morti nel paese d’Egitto o fossimo morti in questo deserto!» (Nm 14, 2). Oppure vagheggia di far marcia indietro verso l’Egitto: «Non sarebbe meglio per noi tornare in Egitto?» (Nm 14, 3).
Il popolo d’Israele cade nella disperazione. Eppure, Dio vede e conosce tutto; agisce, però, in modo da far capire ad Israele che con il deserto vuole insegnargli la gerarchia dei valori, dove al primo posto sta Dio solo: «Ricordati del Signore tuo Dio, perché egli solo ti dà la forza...» (Dt 8, 18).

     
Il deserto, tempo di peregrinazione

Quarant’anni di peregrinazione nel deserto hanno abituato Israele a «camminare con Dio».
Il suo cammino è sempre stato sotto la diretta protezione di Dio: «Il Signore tuo Dio ti ha benedetto.., ti ha seguito nel tuo viaggio attraverso questo grande deserto; il Signore tuo Dio è stato con te in questi quarant’anni e non ti è mancato nulla» (Dt 2, 7).
     In particolare il testo sacro fa vedere come anche ogni tappa in cui Israele doveva accamparsi e ogni paese che doveva evitare, erano indicati da Dio: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono / e ciò che richiede il Signore da te: / praticare la giustizia, amare la pietà, / camminare umilmente con il tuo Dio» (Mic 6, 8).
Camminare, nel senso biblico, significa avanzare nella speranza e credere che è Dio che ci conduce verso una meta felice, anche se le sue vie possono essere spesso tortuose e tali da far cambiare direzione:
«Allora abbiamo cambiato direzione e siamo partiti per il deserto verso il Mare Rosso, come il Signore ci aveva detto, e abbiamo girato intorno al monte Sein per lungo tempo» (Dt 2,1).
Camminando con Dio nel deserto, Israele si sente ricondotto all’essenziale, all’assoluto, in modo da riscoprire se stesso, il suo nulla e, di conseguenza, la sua totale dipendenza da Dio, unico suo salvatore.
In tal modo egli capisce che la salvezza non si raggiunge stando passivi e inerti, ma camminando e collaborando così con Dio nella fede. La prova, infatti, serve ad irrobustire la fede, che rivela più manifestamente la gloria di Dio, «la sua grandezza, la sua mano potente e il suo braccio teso» (Dt 11, 2).


Il deserto, tempo e luogo della provvidenza di Dio

    
Il deserto, dice la Scrittura, è un luogo «inospitale, dove non si può seminare, non ci sono fichi, non vigne, non melograni e dove non c’è acqua da bere» (Nm 20, 5).
Eppure è in questa terra arida e bruciata dal sole che Dio manifesta la sua provvidenza, mostrandosi ancor più vicino ai figli che ama: «Per quarant’anni il Signore vi ha guidati nel deserto, e i vestiti non si sono logorati addosso a voi, né i sandali si sono consumati ai vostri piedi. Non avete avuto bisogno di mangiare pane, nè di bere vino o birra. Il Signore si è preso cura di voi, perché possiate comprendere che lui è il vostro Dio» (Dt 29, 4-5).
Gli Ebrei, infatti, hanno percepito l’azione provvidenziale di Dio attraverso i doni da lui elargiti: la manna, le quaglie, l’acqua.
«Alla loro domanda fece scendere le quaglie e li saziò con il pane del cielo. / Spaccò una rupe e ne sgorgarono acque...» (Sal 105, 40-41).
Ed ancora: «Vagavano nel deserto, nella steppa, / non trovavano il cammino per una città dove abitare. / Erano affamati e assetati, / veniva meno la loro vita. / Nell’angoscia gridarono al Signore / ed egli li liberò dalle loro angustie. / Li condusse sulla via retta, / perché camminassero verso una città dove abitare. / Ringrazino Dio per la sua misericordia...» (Sal 107, 4-8). Ancora più esplicito è il Cantico di Mosè, che si sofferma ad elencare gli interventi provvidenziali di Dio a favore d’Israele:
«Egli lo trovò in terra deserta, / in una landa di ululati solitari. / Lo circondò , lo allevò, / lo custodì come la pupilla del suo occhio. / Come un’aquila che veglia la sua nidiata, / che vola sopra i suoi nati, / egli spiegò le ali e lo prese, / e lo sollevò sulle sue ali» (Dt 32, 10-11).

     
Il deserto, tempo del fidanzamento d’Israele con YAHWE

Accanto alla valutazione negativa, che vede nei quarant’anni del deserto una lunga serie di ribellioni e di mormorazioni, esiste anche una valutazione positiva: il tempo del deserto corrisponde al fidanzamento d’Israele con Dio.
È tempo di intimità e di amore divino, che si manifesta nel fare sgorgare l’acqua dalla roccia per il suo popolo assetato, nel nutrirlo con la manna e le quaglie e nel salvarlo dagli assalti dei nemici.
Per questo Israele ripeterà con sentimenti di vivissima riconoscenza: «Sfamasti il tuo popolo con il cibo degli angeli, / dal cielo gli offristi un pane già pronto senza fatica, / capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. / Questo tuo alimento manifestava / la tua dolcezza verso i tuoi figli...» (Sap 16, 20-21).
Il fidanzamento, di cui si parla, è un caratteristico tempo di attesa, pur con la realtà di un amore divino dichiarato e riconosciuto dal popolo, ma non ancona confermato nella sua pienezza.
Infatti, l’atteggiamento fondamentale del cammino nel deserto è l’attesa di raggiungere la Terra Promessa, il che comporta di dover vivere nella speranza. Ma appunto vivendo nella speranza, Israele si mostra un popolo giovane, capace di affascinare il suo Dio e di ricevere il suo amore: e questo in grazia del deserto, che lo tiene lontano dalle tentazioni proprie della terra.
Infatti il profeta Geremia ricorderà ad Israele le parole del Signore: «Mi ricordo dell’affetto della tua giovinezza, / dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, / quando mi seguivi nel deserto, / in una terra non seminata» (Ger 2, 2).
     
Il giudaismo postbiblico
Il giudaismo postbiblico attende la liberazione d’Israele dal deserto secondo la tipologia di Osea su questo tema. Gli Esseni interpretano la loro ritirata nel deserto di Qumran in senso escatologico, come preparazione della retta via.
     
BREVE ESEGESI DI DEUTERONOMIO 8, 2-18
     
Il brano di Dt 8,2-18, ponendo in particolare rilevanza i vv 2-4 e 15-16, suppongo metta ben in evidenza quanto fin qui detto circa il deserto come luogo di castigo e di prova per il popolo di Israele, ma anche come luogo in cui la provvidenza divina nulla ha fatto mancare durante i quarant’anni di peregrinazione.
     
Testo
1 Baderete di mettere in pratica tutti i comandi che oggi vi dò, perché viviate, diveniate numerosi ed entriate in possesso del paese che il Signore ha giurato di dare ai vostri padri.
2 Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. 3 Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. 4 Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni. 5 Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te.
6 Osserva i comandi del Signore tuo Dio camminando nelle sue vie e temendolo; 7 perché il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile: paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; 8 paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele; 9 paese dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla; paese dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame. 10 Mangerai dunque a sazietà e benedirai il Signore Dio tuo a causa del paese fertile che ti avrà dato. 11 Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio così da non osservare i suoi comandi, le sue norme e le sue leggi che oggi ti do. 12 Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, 13 quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, 14 il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile; 15 che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; 16 che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire.
17 Guardati dunque dal pensare: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze. 18 Ricordati invece del Signore tuo Dio perché Egli ti dá la forza per acquistare ricchezze, al fine di mantenere, come fa oggi, l’alleanza che ha giurata ai tuoi padri. 
     
Esegesi
Mosè, in questo discorso, mostra come Israele debba ascoltare la parola del Signore dopo essersi stabilito nella Terra Promessa ed aver ivi prosperato.
Mosè stabilisce un drammatico contrasto tra due periodi storici: il periodo del deserto in cui Israele era guidato e nutrito miracolosamente in un ambiente arido e ostile (vv 2-6 e 14-17) e il periodo dell’insediamento in cui Israele sperimenta un paese fertile ed una coltivazione prospera (vv 7-10 e 12-13).
Nel deserto Israele è stato condotto per essere umiliato e provato (v 2). Perché tale umiliazione? Perché tali prove? Il Signore umilia per rendere Israele conscio della propria dipendenza, e lo prova per metterlo in una posizione in cui appaia il suo vero orientamento.
In questo brano, le antiche tradizioni riguardanti il deserto sono riorganizzate. Non c’è qui nulla del familiare argomento di infedeltà  nel deserto; sono aggiunti nuovi dettagli: p.e. la miracolosa protezione dei piedi e dei vestiti. Questo luogo inospitale è “lo spazio in cui Dio controlla l’ambiente”. Egli taglia i rifornimenti di cibo ordinari, cosicché la manna possa chiaramente apparire per quello che essa è effettivamente: un cibo miracoloso che fa comprendere ad Israele che esso vive di ciò che esce dalla bocca di Dio. La parola ebraica per “ciò che proviene da” la bocca di Dio (mosà) ricorda la parola per il comandamento di Dio nel v 1 (miswah). Nel deserto Israele visse della manna che usciva dalla bocca di Dio; nel paese vivrà del comandamento che esce dalla bocca di Dio. Il v 6 traspone il cammino nel deserto del v 2, nella metaforica via o modello di vita.
La rappresentazione del deserto dei vv 2-6, retoricamente enfatizzata, è giustapposta alla rappresentazione, similmente enfatizzata, del paese, che abbonda di acqua e ricco di frutti e minerali metallici. Il contrasto non è tra la sterilità del deserto e la fertilità del paese, è, piuttosto, tra il diretto e visibile nutrimento di Dio nel deserto e l’indiretto ed invisibile nutrimento di Dio nel paese. La potenza è divina in entrambe le sfere, ma richiede un differente tipo di vista per percepire la potenza divina nel paese. 
Quando il popolo, soddisfatto della naturale abbondanza del paese, benedice il divino datore della buona terra, deve fare attenzione a non dimenticare il suo Dio che nel deserto gli insegnò a non vivere di solo pane (v 3), ma anche della parola divina che richiede un’assoluta fedeltà.
Ai vv14-17, il periodo nel deserto è di nuovo rappresentato come un luogo di prova, di contrasti tra un luogo ostile ed un Dio protettore. La prova della protezione divina nel deserto rese impossibile ad Israele attribuirsi la propria salvezza, pericolo che ora, nella Terra Promessa, potrebbe sorgere.
     

testo di don Nicola Casuscelli, vicedirettore dell' Ufficio Liturgico diocesano e presidente della Commissione pastorale liturgica.