11 novembre 2012 - XXXII Domenica del Tempo Ordinario: E' nel cuore la vera bilancia di Dio

News del 05/11/2012 Torna all'elenco delle news

C'è un luogo nel tempio dove tutti passano, Gesù sie­de lì, davanti ai tredici pic­coli forzieri delle offerte, di fronte al sacerdote che con­trollava la validità delle mo­nete e dichiarava a voce al­ta, per la folla, l'importo del­l­'offerta.
In quel luogo, dove il dena­ro è proclamato, benedetto, invidiato, esibito, Gesù osserva invece le persone, e nota tra la folla una vedova, povera e sola: non ha più nessuno, non è più di nes­suno, e perciò è di Dio. «L'uo­mo guarda le apparenze, Dio guarda il cuore» (1 Sam 16,7), ed ecco che il denaro si dis­solve, è pura apparenza, il te­soro è la persona. Nel Van­gelo di norma i poveri chie­dono e supplicano, ora un povero non chiede nulla per sé, ma è capace di dare tut­to.
Allora Gesù chiama i disce­poli, è l'ultima volta in Mar­co, e indica un maestro della fede in una donna povera e sola, capace di dare anche l'ultimo sorso, gli ultimi spic­cioli di vita. Mentre l'evi­denza del mondo dice: «più denaro è bene, meno dena­ro è male», Gesù capovolge questa logica: «più cuore è bene, meno cuore è male». Il bene è detto dal cuore. Le bi­lance di Dio non sono quan­titative.
Tutti danno del loro super­fluo, e i loro beni restano in­tatti; lei invece dà ciò che ha per vivere, e le rimane solo Dio. D'ora in poi, se vivrà, lo farà perché quotidianamen­te dipendente dal cielo. Ma chi ha il coraggio di dare tut­to, non si meraviglierà di ri­cevere tutto. Beati i poveri che non han­no cose da dare, e perciò hanno se stessi da dare. Co­me un povero, puoi donare ciò che hai per vivere, ma an­cor più ciò che ti fa vivere: le spinte, le sorgenti, le passio­ni vitali. Non c'è vita insigni­ficante o troppo piccola, nessuno è così povero o de­bole, nessuno così vuoto o cattivo da non poter donare la ricchezza delle esperien­ze, le intuizioni, le forze del cuore, le energie della men­te, il segreto della bellezza che ha visto e goduto, i mo­tivi della sua gioia, i perché della sua fede.
E ricominciamo, con il ma­gistero di una donna, a mi­surare il mondo non con il criterio della quantità, ma con quello del cuore.
Non c'è nessun capitalismo nella carità, agli occhi di Co­lui che guarda il cuore la quantità non è che appa­renza. Ciò che conta non è il denaro, ma quanto amore vi è stato messo, quanta vita contiene. Talvolta tutto il Vangelo è racchiuso in un bicchiere d'acqua fresca, da­to solo per amore; tutta la fe­de è in due spiccioli, dati con tutto il cuore

Omelia di padre Ermes Ronchi 


La vedova, povera, ha donato tutto

Il brano del Vangelo di Marco che la Liturgia della domenica XXXII del tempo ordinario ci propone è la conclusione di un lungo capitolo nel quale Gesù, ormai nel Tempio di Gerusalemme, è sottoposto ad una serie di domande da parte di diversi gruppi di persone autorevoli, farisei ed erodiani, sadducei, uno degli scribi, mandati a lui per cercare di coglierlo in fallo "nella parola", da parte di chi, nascosto nell'ombra, "ha deciso di catturarlo, ma ha paura della folla". Tutte le questioni che gli vengono poste riguardano il suo insegnamento, l' "autorità" con cui egli si pone in rapporto alle Scritture, il "libro di Mosè". L'interrogatorio si conclude con un elogio rivolto da Gesù allo scriba che gli aveva posto la domanda sul primo di tutti i comandamenti: "Vedendo che gli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: non sei lontano dal regno di Dio" e, nota l'evangelista, "nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo". Da questo momento Gesù parla di iniziativa propria, senza aspettare che lo si interroghi: è il suo modo di reagire al fatto che nessuno osi più interrogarlo. Se ciò che sconcerta maggiormente le diverse categorie di uditori di Gesù, è la sua Parola autorevole, se dopo tutte le domande che gli sono state poste nessuno osa più interrogarlo, adesso Lui stesso prende l'iniziativa e si rivolge in modo particolare agli scribi, a questi laici che avevano studiato la Legge di Mosè nelle scuole specializzate (potrebbero essere chiamati oggi "dottori in teologia") e che per questo godevano di grande stima presso il popolo: con gli scribi, a uno dei quali aveva riconosciuto di "non essere lontano dal regno di Dio", egli prende l'iniziativa di mettersi a confronto, con la loro interpretazione delle Scritture e con il loro modo personale di rapportarsi con le Scritture e con il popolo.
La prima questione che egli tratta riguarda il modo degli scribi di interpretare il messianismo nelle Scritture: Gesù, in contrasto con un messianismo visto come restaurazione del regno di Davide, interpreta il messianismo come autorità magisteriale. Egli non regna, sceglie di insegnare. Dice infatti l'evangelista: "una folla numerosa lo ascoltava con gioia" e in questo contesto continua a sottolineare l'autorità e la forza del suo insegnamento.
Il nostro brano inizia proprio così: "Nel suo insegnamento, Gesù diceva". Se la folla lo ascolta con gioia è per la fiducia che egli pone nella forza della Parola, che non vuole costringere, ma provoca l'adesione profonda di chi ascolta: l'insegnamento trasforma e libera, solo se l'ascoltatore accetta nel suo cuore di lasciarsi rinnovare.
"State in guardia da quegli scribi che amano circolare in ampie vesti": con forza Gesù pronuncia queste frasi non rivolte a tutti gli scribi, ma a quelli che qui sono descritti in modo preciso. Dobbiamo sottolineare che Gesù mira, non tanto a stigmatizzare il comportamento di questi scribi, quanto piuttosto ad "insegnare" che la forza della Parola può essere compromessa da loro. L'annuncio della Parola richiede il dono totale di sé perché deve mirare ad aprire i cuori alla via di Dio e non al vantaggio dell'annunciatore. Gli scribi sono certamente persone stimate per la loro competenza: non è questo che Gesù contesta, quanto piuttosto che alcuni "amano" passeggiare in ampie vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Quello che "amano" è la visibilità, lo spettacolo, l'immagine. Nei tre spazi in cui si esprime la vita pubblica civile e religiosa, le piazze, le sinagoghe e i banchetti, essi cercano di farsi vedere e di far valere la loro posizione di superiorità: il loro comportamento è il trionfo dell'esteriorità, il primato dell'apparire, l'idolatria del personaggio, non è il servizio della Parola che anzi rischia di scomparire in questa strumentalizzazione.
E c'è una seconda categoria di scribi in rapporto ai quali occorre mantenere un atteggiamento critico, è quella di coloro che "divorano" le case delle vedove usando come pretesto le lunghe preghiere. E' una strumentalizzazione grave questa da parte di chi dovrebbe in modo totalmente distaccato, annunciare la Parola: depredare donne già indifese per la loro solitudine facendo sfoggio della competenza che dovrebbe essere posta a servizio della Parola, in lunghi discorsi e ancora di più in lunghe preghiere. Gesù che aveva lodato lo scriba che aveva interpretato bene il comandamento dell'amore, adesso riprende seriamente quegli scribi che usano la Parola per mettere in vista se stessi e ancora di più se ne servono per tradire il comandamento dell'amore. E appare evidente il contrasto tra il comportamento di Gesù e questi scribi: egli non esalta se stesso, non cerca i primi posti, non vuole esaltarsi come il Messia, è il servo di una Parola la cui autorevolezza continuamente egli testimonia, come Figlio approvato dal Padre.
Proprio il gesto esemplare di una vedova è oggetto di un nuovo autorevole insegnamento di Gesù: "In verità io vi dico" Gesù è seduto nel cortile interno del Tempio dove anche le donne possono entrare: qui si trova una sala, il tesoro, dove è possibile fare offerte. Egli osserva attentamente "come la folla vi getta monete": è il luogo dove si fa un dono. In questa folla uniforme, nota immediatamente una differenza: ci sono molti ricchi che gettano molte monete e c'è un vedova povera che getta due spiccioli. Ciò che Gesù nota è il contrasto evidente: molti ricchi e una vedova povera, molte monete e due spiccioli, è la situazione che Gesù commenta. Egli non corre ad aiutare la vedova povera: chiama a sé i discepoli per dare loro la sua Parola. Vuol fare di loro i depositari del suo insegnamento nel luogo santo, perché loro diventino attori della trasmissione del suo Vangelo. "In verità io vi dico": Gesù sottolinea la solidità dell'insegnamento che vuole che essi accolgano. Questa sola persona, vedova e povera ha dato più di tutti. Gesù capovolge la scala dei valori: ciò che vale di più economicamente vale di meno sul piano del dono e su questo piano è messo a confronto il superfluo dei molti ricchi e la miseria della vedova. Lo sguardo di Gesù è rivolto allora alla persona che dona: i ricchi donano molto, ma il loro dono non cambia la loro vita anzi il risuonare delle monete gettate nel tesoro, fa crescere la loro reputazione di fronte al mondo. Non è così per la povera vedova: dona ben poco e dona discretamente, nella sua miseria. Eppure ella dona "tutto ciò che possiede", dona "tutto ciò di cui vive": dona tutta la sua vita. In confronto con il comportamento degli scribi che cercano di apparire e che spogliano le case delle vedove, impressiona la condotta di questa vedova povera che dona tutta la sua vita: Gesù riconosce il valore insuperabile del suo dono, il dono della sua vita. Ella è il simbolo dell'atteggiamento che Gesù approva più di tutto: in lei egli riconosce se stesso come apparirà nel seguito del Vangelo.
Questa è la Parola che Gesù affida adesso ai suoi discepoli, perché la conservino pura e la tramandino nella storia. 

Omelia di mons. Gianfranco Poma
 

La generosità di chi ama davvero Dio ed i fratelli

Ci avviamo verso la conclusione dell'anno liturgico. Ovvio quindi che la parola di Dio di queste ultime settimane propone una speciale verifica del cammino fatto finora dai cristiani durante i tempi liturgici trascorsi, ma anche in occasione delle grandi solennità, come quella di domenica scorsa, durante la quale abbiamo ricordato di Tutti i Santi. Il mese di novembre è un mese speciale anche per i continui richiami all'eternità che la liturgia della parola ci propone quotidianamente.
E' soprattutto la seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, a focalizzare l'attenzione sulla venuta del Signore, con esplicito riferimento alle ultime realtà, all'escatologia: "Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza". Il testo completo del brano ci porta a confrontare la prima e la seconda venuta di Cristo tra gli uomini. La prima dice la relazione con la salvezza dell'umanità dal peccato; la seconda indica la prospettiva definitiva della stessa umanità nel giudizio universale. La certezza della salvezza eterna e della risurrezione finale spinge il credente ad una costante vigilanza sulla sua condotta e ad operare per il bene di se stesso e degli altri.
Sia la prima lettura che il vangelo di oggi, strettamente raccordati tra loro, ci indicano la strada maestra della carità per raggiungere la salvezza eterna. Il profeta Elia viene aiutato dalla carità di una vedova nel suo cammino ministeriale. Da parte sua la vedova riceve grande riconoscenza e gratitudine dal servo di Dio. Il brano ci insegna il servizio, la generosità, la disponibilità verso chi ci chiede aiuto e si trova nel bisogno e nella necessità. Questa donna ha poco o niente e quel poco o niente lo mette a disposizione del profeta di Dio. Esempio mirabile dell'altruismo, della generosità totale rispetto agli egoisti e agli avari, che tengono tutto per se stessi.
Lo stesso discorso della carità, della generosità viene affrontato nel brano del vangelo di oggi, molto indicativo da un punto di vista morale e sociale, per capire da chi bisogna attendersi l'aiuto anche nelle nostre comunità ecclesiali, nella chiesa e per la chiesa. L'offerta della vedova che si toglie lo spicciolo che ha per gettarlo nella cassa del Tempio, il cosiddetto tesoro. Tutti gettano il superfluo, lei offre l'essenziale, quello di cui non poteva fare a meno e di cui si priva per essere totalmente a servizio della causa di Dio. Lei è la più ricca e generosa di tutti, lei diviene l'esempio della solidarietà e della generosità che Cristo porta all'attenzione dei suoi discepoli, rispetto a chi, come i farisei o gli scribi, approfittano degli altri e poi fanno finta di essere generosi nei tempi delle varie istituzioni donando il superfluo e magari ciò che non è neppure loro. Quante persone anche ai nostri giorni non sono affatto generosi, non si privano di nulla per dare agli altri, ma conservano gelosamente ogni cosa per se stessi, pur stando nelle possibilità concrete ed economiche di farlo. Il loro cuore si è indurito, si è chiuso alla carità e all'amore e non è più capace di gesti di attenzione e di donazione. Quante necessità e urgenze nel mondo, che i paesi ricchi e le persone ricche potrebbero risolvere in poco o nulla ed invece, per la bramosia di possedere, non fanno il bene a nessuno e pensano solo ai propri affari ed interessi.
Meditare su questo brano del Vangelo è una grande lezione di vita, una scuola di formazione immediata che solo pochi riescono a seguire e poi ad attuare. Di volontariato se ne parla, ma chi davvero lo fa con spirito cristiano; chi magari mette mano alle proprie risorse, anche quelle finali, per aiutare chi sta nel bisogno? Interrogativi da sottoporre alla nostra riflessione in questa giornata, ma anche sempre.
La vedova generosa che si spoglia di tutto quello che ha è un esempio di vita e santità basata sulla carità: una carità che ha uno scopo preciso, quello di aiutare il tempio di Dio, che è la chiesa. La diaconia è un impegno che tutti i cristiani devono assumersi. Sovvenire alle necessità della chiesa soprattutto in quei luoghi e terre più bisognosi è un dovere morale e religioso per tutti i credenti.
Sia questa la nostra umile preghiera in questa giornata di festa, in cui oltre alla preghiera, all'ascolto della parola di Dio e ad accostarsi alla mensa eucaristica, sappiamo fare festa nella carità e nella generosità, mettendo a servizio degli altri quel poco che abbiamo. Una visita, un pranzo, un'offerta donata, un tempo dedicato agli altri soprattutto nel giorno dedicato al Signore hanno valore di molti altri gesti che possiamo fare, senza rimetterci nulla dalla nostra tasca, anzi guadagnandoci in molti casi. "O Dio, Padre degli orfani e delle vedove, rifugio agli stranieri, giustizia agli oppressi, sostieni la speranza del povero che confida nel tuo amore, perché mai venga a mancare la libertà e il pane che tu provvedi, e tutti impariamo a donare sull'esempio di colui che ha donato se stesso, Gesù Cristo nostro Signore". Amen. 

Omelia di padre Antonio Rungi 


Liturgia della XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 11 novembre 2012

Liturgia della Parola della XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 11 novembre 2012