14 ottobre 2012 - XXVIII Domenica del Tempo Ordinario: cosa fare per conquistare la salvezza eterna?

News del 07/10/2012 Torna all'elenco delle news

Il Vangelo della ventottesima domenica ci mostra Gesù che esce per riprendere il cammino verso Gerusalemme. L'uomo di cui parla il Vangelo di Marco "corre" verso Gesù. Ha fretta di incontrarlo. Cerca con urgenza una risposta per la propria vita. Ed in questo è davvero esemplare rispetto alla nostra pigrizia nel seguire il Signore. Marco fa capire che si tratta di un adulto (per Matteo è un giovane).
Comunque, ad ogni età si può correre verso il Signore. Quest'uomo, giunto davanti a Gesù, si getta ai suoi piedi e gli pone una di quelle domande che sono centrali nella vita di un uomo: "Maestro buono, cosa devo fare per avere la vita eterna?".
Lo chiama "buono", non per adulazione, perché lo pensa davvero. Ma Gesù lo corregge subito: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo".
Per noi, così pronti ad avere un'alta considerazione di noi stessi, l'affermazione di Gesù è una lezione che non dovremmo mai dimenticare. Solo Dio è buono, nessun altro. Ovviamente, neppure noi. E riconoscerlo non è tanto un problema di umiltà, quanto di realismo.
Comprendere la propria debolezza e il proprio peccato (come ogni liturgia eucaristica ci esorta a fare con il canto iniziale del "Signore pietà") vuol dire muovere il primo passo di quella corsa che ci porta verso il Signore. Quell'uomo corre da Gesù e riceve la risposta sul senso della vita.
Si apre un dialogo. Gesù chiede a quell'uomo se conosce e se ha osservato i comandamenti, e la risposta è che li ha osservati sin dalla giovinezza. Mostra che è tutt'altro che un credente tiepido o poco praticante. Non so quanti di noi possono dare la stessa risposta alla domanda di Gesù. Ed è struggente la notazione che segue: "Gesù, guardandolo, lo amò".
Potessimo sentire rivolte anche a noi queste parole! Ma forse noi sentiamo meno ansia di salvezza di quanto la sentiva quell'uomo. Perciò dovette suscitare tanta ammirazione in Gesù. Dobbiamo, tuttavia, stare certi che queste parole evangeliche sono rivolte anche a noi: Gesù continua a guardarci e ad amarci davvero, anche se siamo meno osservanti di quell'uomo che gli è andato incontro di corsa.
Per questo anche oggi Gesù si rivolge a noi, e con la stessa intensità d'amore, dice ad ognuno: "Va', vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi, vieni e seguimi!". Non è una frase neutra. Del resto mai il Vangelo è neutro, chiede sempre un impegno, una decisione, una risposta. Ce lo ricorda la Lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato: "La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio, essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore".
O la si respinge e si resta come si è, oppure la si accoglie e si cambia vita. Il brano evangelico che ci viene annunciato in questa domenica è tra quelli che hanno maggiormente piegato la vita di coloro che lo hanno ascoltato.
Quando Antonio, giovane egiziano di buona famiglia, ascoltò queste parole, lasciò tutto, si ritirò nel deserto e divenne padre (abate) di molti monaci. Così pure Francesco d'Assisi le ascoltò e lasciò tutto. E divenne testimone del Vangelo, sino ad esserne segnato nel corpo con le stigmate. L'uomo ricco, al contrario, quando le udì abbassò il volto, divenne cupo e si allontanò da Gesù.
E si allontanò con la tristezza nel cuore.
Quell'uomo conservò le sue ricchezze, ma perse il sorriso e il senso vero della vita. Potremmo chiederci: ma l'invito di Gesù non è troppo severo? Non si tratta di una parola troppo esigente che, tra l'altro rischia di farlo rimanere solo? Gesù non potrebbe attutirlo almeno un poco? Non potrebbe renderlo meno esigente e un po' più accomodante? Le parole che Gesù aggiunge subito dopo il rifiuto del ricco non ammettono replica. "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!" E conclude: "E più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio".
Sono parole che dovrebbero impensierirci, anzi spaventarci. Noi, infatti, figli di un mondo ricco, siamo tesi a soddisfare subito a qualunque costo e in qualsiasi modo, ogni desiderio e ogni velleità che ci passa per la mente.
Gesù non chiede di buttare a mare tutto quanto abbiamo: non è questo il senso della frase evangelica. La decisione che questa pagina evangelica vuole provocare in noi riguarda il primato da dare a Dio sopra ogni cosa. Gesù ci chiede di porre Dio al di sopra di tutto anche dei beni che abbiamo e di considerare i poveri come nostri fratelli verso i quali siamo debitori di amore e di aiuto. Essi hanno diritto al nostro amore e al nostro aiuto. Quel che chiede il Signore, a prima vista, ha i tratti di una rinuncia e in parte lo è, ma è soprattutto una grande sapienza di vita. Ovviamente si tratta non della sapienza del mondo che spinge a rinchiudersi in se stessi e nelle cose del mondo, ma della sapienza che viene dal cielo, di cui ascoltiamo dalle Sante Scritture: "La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l'oro al suo confronto è un po' di sabbia e come fango sarà valutato di fronte ad essa l'argento. L'amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana" (Sap 7, 8-10).
La risposta di Gesù alla richiesta che Pietro ha fatto a nome dei discepoli spiega concretamente le conseguenze di tale sapienza evangelica: chi abbandona tutto per seguire Gesù (ossia, chi pone Gesù al di sopra di ogni cosa) riceverà in questa vita il centuplo e, dopo la morte, la vita eterna. E' l'esatto contrario di quello che normalmente si pensa, ossia che la vita evangelica sia innanzitutto privazione. Così pensò anche l'uomo ricco. In verità, la scelta di seguire il Signore sopra ogni cosa è sommamente "conveniente", non solo per salvare la propria anima nel futuro, ma anche per gustare "cento volte" la vita su questa terra. Il brano tratto dal Libro della Sapienza conclude: "Insieme con essa (la sapienza che viene dal cielo) mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile". Chi mette Dio al primo posto nella sua vita entra a far parte della Sua "famiglia" ove trova fratelli e sorelle da amare, padri e madri da venerare, case e campi ove lavorare. Trova l'amore.

Omelia di mons. Vincenzo Paglia


Il giovane ricco dice no al tesoro in cielo

Una grande domanda, quella dell'uomo ricco e senza nome: Maestro buono, cosa devo fare per trovare la vita?
La risposta di Gesù appare solenne, eppure quasi deludente: elenca cinque comandamenti che riguardano il prossimo, e ne aggiunge un sesto, non frodare.
Ma l'uomo ricco non è soddisfatto: «tutto questo l'ho sempre osservato. Dovrei essere in pace e invece mi manca qualcosa».
Cosa c'è di meglio del dovere compiuto, tutto e sempre? Eppure all'uomo non basta. In- quietudine divina, tarlo luminoso che rode le false paci dell'anima e fa nascere i cercatori di tesori.
Gesù lo fissa, dice Marco, come se prima non l'avesse neppure visto, e vede apparire, farsi largo, avanzare un cercatore di vita. E lo ama. Poi parla: vendi tutto, dona ai poveri, segui me. L'uomo si spaventa e si rattrista per quelle tre parole. Marco usa un verbo come per il cielo che diventa cupo: il suo volto si oscura. Era arrivato correndo, se ne va camminando. L'uomo che fioriva di domande se ne va muto. Il ribelle si è arreso, il cercatore si è spaventato: la vetta è troppo lontana, ci vuole troppo coraggio. E non capisce che la felicità dipende non dal possesso ma dal dono, che il cuore pieno dipende non dai beni (Luca 12,15) ma dai volti, che la sicurezza non è nel denaro, ma nelle mani del Pastore grande. E per tutta la vita resterà così, onesto e triste, osservante e cupo. Quanti cristiani sono come lui, onesti e infelici. Osservano tutti i comandamenti, tutti i giorni, come lui, e non hanno la gioia: lo fanno per ottenere qualcosa, per avere e non per essere, lo fanno come dentro un universo carcerario dove quasi tutto è proibito e il resto è obbligatorio. Tutto sanzionato da premio o castigo. E il cuore è assente, una morale senza amori.
Gesù propone all'uomo ricco la comunione, cento fratelli, ma egli preferisce la solitudine; propone un tesoro di persone, egli ne preferisce uno di cose. Propone se stesso: «segui me, la mia vita è sorgente di vita buona, bella e beata». Ma l'uomo segue il denaro.
Tutto finito? No, a conclusione ecco un sussulto di speranza in una delle parole più belle di Gesù: tutto è possibile presso Dio. La passione di Dio è moltiplicare per cento quel poco che hai, quel nulla che sei e riempirti la vita di affetti e di luce: «ti darò un tesoro di volti, non possederai nulla eppure godrai del mondo intero, sarai povero e signore, come me». Seguirti, Signore, è stato il migliore affare della mia vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

Gesù, rivolgendogli lo sguardo, lo amò e gli parlò

Il brano del Vangelo di Marco che oggi leggiamo è una splendida pagina che ci conduce nel cuore dell'esperienza cristiana.
Gesù riprende il cammino e "un tale", non identificato se non per il fatto che "corre" per "inginocchiarsi" davanti a lui, lo interroga, non come i Farisei che lo facevano per metterlo alla prova, ma per porgli una vera questione: "Maestro buono, che cosa farò per ereditare la vita eterna?". Questo tale si rivolge a Gesù riconoscendolo come maestro autorevole per essere illuminato sul piano morale che normalmente interessa all'uomo per essere "giusto" davanti agli uomini e davanti a Dio, per essere ricompensato secondo i meriti acquisiti. Il problema è capire bene che cosa l'uomo debba "fare" per conquistarsi il diritto ("ereditare") di avere da Dio una vita eterna.
Gesù risponde: "Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non Dio solo". Quell'uomo si rivolge a Gesù come maestro autorevole ma Gesù, con estrema chiarezza, afferma che l'unico autorevole nella materia sulla quale viene interpellato è Dio solo ("l'uno"): dal momento che si tratta di vita eterna, si deve risalire all'unico maestro di una qualità divina della vita. Con questo, Gesù comincia a sorprendere il suo interlocutore perché si apra ad orizzonti nuovi e disponga il suo cuore a vivere una esperienza che non può essere solo frutto del suo impegno nel "fare".
Appare qui tutta la raffinata pedagogia di Gesù: dopo aver orientato l'uomo verso la fonte competente in "vita eterna", gli fa prendere più chiara coscienza della questione posta. "Hai "conosciuto" i comandamenti: non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, non farai torti, onora il padre e la madre". Gesù fa riferimento all'unico Dio che parla attraverso i comandamenti e che quest'uomo ha ascoltato. Citandoli al futuro e rivolti a un "tu", riconosce come fatto positivo l'esistenza
di un soggetto umano che si costruisce nella pratica dei comandamenti.
Gesù vede in quest'uomo che professa: "Maestro, tutte queste cose le ho osservate dalla mia giovinezza", la fedeltà all'ideale di giustizia secondo la Legge. Colui che era corso ad inginocchiarsi davanti a Gesù è un uomo che si sente realizzato per la sua osservanza fedele della Legge: egli attende solo il riconoscimento e il coronamento di questo suo sentirsi pienamente realizzato ma Gesù lo sta aprendo ad una attesa nuova.
Ed ecco la novità: con una frase costruita in modo da sottolineare l'intensità del rapporto che Gesù stabilisce con il suo interlocutore, il Vangelo dice: "Ma Gesù, avvolgendo lui con il suo sguardo, amò lui e disse a lui.." Prima di riferire le sue parole, il Vangelo nota due movimenti di Gesù verso quest'uomo: il primo più visibile, lo sguardo che avvolge, il secondo più interiore, l'amore. Avvolgerlo nel suo sguardo, amarlo, parlargli, definiscono la nuova relazione di Gesù con lui. Non è più il maestro che viene interrogato per avere una risposta, è lui che prendendo l'iniziativa diventa il soggetto di una relazione che si esprime come conoscenza nuova dell'altro (lo sguardo), come considerazione dell'altro verso il quale prova stima e desiderio (amore), come dialogo che manifesta il desiderio di un incontro profondo (parola).
"Ti manca una cosa": Gesù sorprendentemente non dice nulla dei motivi che hanno attirato la sua attenzione e il suo amore, sottolinea invece che a quella persona "manca una sola cosa", lasciando capire che essa è amata non per la sua ricchezza morale o spirituale. Sottolineando la mancanza di "una" cosa, Gesù risveglia nell'uomo il desiderio di quella cosa alla quale non avrebbe mai pensato se fosse rimasto chiuso e soddisfatto di ciò che possedeva. E Gesù annuncia la sua proposta che comporta una decisione duplice: anzitutto sul piano del rapporto con l' "avere"("Va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo") e poi sul piano della relazione interpersonale ("poi vieni, segui me"). Il possesso dei "grandi beni" (v.22) e la soddisfazione che gli assicura ("ereditare") la piena osservanza della Legge, gli impedisce di percepire la mancanza della sola cosa". A Gesù importa che l'uomo si renda conto di ciò che gli manca. Per questo gli chiede anzitutto di andare dentro se stesso (va') e poi di compiere due operazioni su ciò che possiede: "venderlo" e "donarlo".
A quest'uomo, che Gesù vuol far entrare nella novità di una esistenza che con il suo sguardo e il suo amore gli fatto intuire, propone una trasformazione: con la spogliazione volontaria dai suoi averi, vuole liberarlo
dall'istinto del possesso degli oggetti e delle persone, per farlo accedere al mondo della gratuità e del dono puro. "Avrai un tesoro in cielo" significa appunto l'ingresso in un mondo invisibile e divino, dove ciò che conta non è l' "avere" ma l' "essere". E si chiarisce che cosa sia la "sola cosa" che manca: è il valore della vita, dell'"essere", che rimane nascosto quando il soggetto umano è riempito dalle "molte cose".
E poi Gesù aggiunge: "Vieni, seguimi". All'uomo ricco, pieno del suo "avere", perfetto nel "fare" richiesto dalla Legge, Gesù propone un itinerario opposto. Chi ha tutto, che cosa può guadagnare seguendo Gesù? Il "Maestro buono" è forse superiore alla Legge? Gesù ha cominciato a dire: "Dio solo è buono". A colui che conosceva i comandamenti e li osservava, Gesù ne rivela il limite. A chi era soddisfatto per la fedeltà alla Legge, fa sentire che "una sola cosa" gli manca, gli apre il cuore ad un desiderio nuovo, al bisogno di entrare in una relazione personale nuova, gli fa rinascere il gusto pieno della vita. Non basta non commettere furti, adulteri, delitti, non è sufficiente liberarsi dai beni e donarli ai poveri: certo è necessario liberarsi dall'attaccamento all' "avere" che fa morire il respiro della vita vera, ma questo è per entrare in una relazione nuova, coraggiosa, con Colui che dà il gusto della vita vera, della libertà piena, dell'Amore.
L'episodio si è aperto nel momento nel quale Gesù "si è messo in viaggio", ed è stato interrotto da quel tale che gli è corso incontro e si è inginocchiato davanti a lui per essere gratificato: adesso il viaggio può riprendere con un amico che avrebbe tutto da guadagnare nel seguire Colui che lo ha guardato, lo ha amato e gli ha parlato.
La parola di Gesù produce in lui una tristezza che si manifesta sul suo volto e condiziona il suo cammino: è segnato ormai dalla tristezza. L'incontro con Gesù ha radicalmente messo in crisi il suo rapporto con l' "avere": adesso rientra dentro di sé con un desiderio nuovo, con un travaglio interiore che non lo abbandona più, anche se non riesce ancora ad ascoltare la Parola di chi lo ha risvegliato.
Assomiglia tanto a ciascuno di noi, che ascoltiamo la Parola di Gesù, siamo avvolti dal suo sguardo, siamo amati da Lui, e pur non riuscendo a scioglierci dalle nostre ridicole ricchezze, ogni giorno siamo stimolati a riprendere il cammino verso spazi più grandi di libertà in cui poter gustare la "sola cosa" che ci manca, dalla nostalgia che il suo sguardo e il suo amore ha posto nei nostri cuori. 

Omelia di mons. Gianfranco Poma
 

Liturgia della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 14 ottobre 2012 

Liturgia della Parola della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 14 ottobre 2012 

tratti da www.lachiesa.it