19 gennaio 2014 - II Domenica del Tempo Ordinario: Giovanni il Battista, primo testimone della fede nel Salvatore

News del 17/01/2014 Torna all'elenco delle news

La seconda domenica del tempo ordinario ci offre nuovamente come spunto di meditazione e riflessione la figura di Giovanni il Battista. Potremmo dire che tutto il tempo di Avvento, del Natale e queste prime domeniche del nuovo anno il protagonista principale del Vangelo è Giovanni il Battista. Egli è il testimone diretto, immediato e credibile della presenza del Messia e salvatore del mondo in mezzo al suo popolo. Nel brano del Vangelo di questa domenica, infatti, Giovanni Battista indica in Gesù l'unico salvatore del mondo, senza confusioni di ruolo e di missione. Egli è semplicemente colui che indica Gesù Cristo come il vero centro di tutta la storia e della salvezza. Anche i termini utilizzati in questo brano del Vangelo di Giovanni precisano appunto la vera natura del Cristo e della sua missione nel mondo: Agnello di Dio, il Figlio di Dio.

In tal modo, Giovanni il Battista diventa l'anello di congiunzione tra il popolo e Cristo e attraverso la sua parola e la sua voce il popolo stesso riconoscerà in Gesù Cristo il salvatore. Come dire che ogni persona in base alla sua profonda fede, diventa uno strumento docile e flessibile nelle mani di Dio, per annunciare al mondo le meraviglie che il Signore ha compiuto nella creazione e specialmente nel mistero della redenzione. Essere strumenti di annuncio di speranza e di gioia è il compito che spetta ad ogni cristiano, come ci ripete sistematicamente Papa Francesco nei suoi molteplici interventi magisteriali.

La missione di Cristo nel mondo è ben delineata dal profeta Isaia che si concentra nel suo rivelazione sulla figura del Messia e del Servo di Dio, che è Gesù. Il testo della prima lettura di questa domenica ci aiuta alla comprensione della natura divina del Cristo e della sua importante missione nel popolo di Israele.

La dimensione apostolica della fede ci obbliga moralmente ad annunciare Cristo, a farlo conoscere e amarlo, perché al di fuori di Cristo non c'è vera salvezza per l'uomo. E' un dovere di tutti i battezzati annunciare con la gioia il gaudio del vangelo, la buona notizia del Regno e dire che solo Cristo è il Salvatore e non dobbiamo attendere altri salvatori se non Gesù solo. Entra in gioco quello che è una priorità assoluta per ogni battezzato e cresimato, quella della testimonianza della fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l'Agnello immolato per la nostra salvezza. Abbiamo il coraggio come Giovanni Battista di dire apertamente chi è il Cristo? O come l'Apostolo Paolo che dopo la conversione si fa pone al servizio del Vangelo nella piena consapevolezza della sua grandezza e della sua povertà? Leggiamo, infatti, oggi, nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, parole autobiografiche di San Paolo, che è "chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene"- Lui per la missione che gli compete si rivolge, in questa lettera, "alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro". Si rivolge a loro con il saluto fraterno inserito nella celebrazione dei divini misteri: "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!".

Cristo è venuto a portare pace all'umanità e nel nome di questo consacrato di Dio che ogni cristiano, discepolo di così grande maestro è chiamato a vivere in pace e a costruire la pace, anche se la pace non è sempre possibile e perseguibile. La buona volontà e la retta intenzione aiutano il cammino e il processo di avvicinamento a Dio, specie quando sono intere famiglie con il loro sistema di vita, non hanno più bisogno di nessuno e tantomeno dell'idea di Dio.

Come non ricordare e citare l'Esortazione apostolica di Papa Francesco, Evangelii gaudium, nella quale mette in evidenza l'importanza dell'annunzio missionario nei tempi e nei modi più consoni al mondo odierno.

Esempio di questo annuncio lieto, gioioso, coraggioso, fino al martirio, senza compromesso alcuno è proprio il Precursore del Signore.

Nel ricordare la figura di San Giovanni Battista, nel giorno della sua solennità, il 24 giugno scorso, Papa Francesco ha detto che una Chiesa ispirata alla figura di Giovanni il Battista esiste per proclamare, per essere voce di una parola, del suo sposo che è la parola e per proclamare questa parola fino al martirio.

Chi è Giovanni. E' egli stesso a dirlo. Egli, infatti quando «gli scribi, i farisei, vanno a chiedergli di spiegare meglio chi fosse», risponde chiaramente: «Io non sono il Messia. Io sono una voce, una voce nel deserto». Di conseguenza la prima cosa che si capisce è che «il deserto» sono i suoi interlocutori; gente con «un cuore così, senza niente». Mentre lui è «la voce, una voce senza parola, perché la parola non è lui, è un altro. Lui è quello che parla, ma non dice; quello che predica su un altro che verrà dopo».

In tutto questo c'è «il mistero di Giovanni» che «mai si impadronisce della parola; la parola è un altro. E Giovanni è quello che indica, quello che insegna», utilizzando i termini «dietro di me... io non sono quello che voi pensate; ecco viene dopo di me uno al quale io non sono degno di allacciare i sandali». Dunque «la parola non c'è», c'è invece «una voce che indica un altro». Tutto il senso della sua vita «è indicare un altro. Nelle tenebre di quel tempo Giovanni era l'uomo della luce: non una luce propria, ma una luce riflessa. Come una luna. E quando Gesù cominciò a predicare», la luce di Giovanni iniziò ad affievolirsi, «a diminuire, ad andare giù». Egli stesso lo dice chiaramente parlando della propria missione: «È necessario che lui cresca e io venga meno». Quindi: «Voce, non parola; luce, ma non propria, Giovanni sembra essere niente». Ecco svelata "la vocazione" del Battista: «Annientarsi. E quando noi contempliamo la vita di quest'uomo tanto grande, tanto potente - tutti credevano che fosse il Messia - quando contempliamo come questa vita si annienta fino al buio di un carcere, contempliamo un mistero» enorme. Infatti, «noi non sappiamo come sono stati» i suoi ultimi giorni. È noto solo che è stato ucciso e che la sua testa è finita «su un vassoio come grande regalo da una ballerina a un'adultera. Credo che più di così non si possa andare giù, annientarsi». Il Battista poteva vantarsi, sentirsi importante, ma non lo ha fatto: egli «indicava soltanto, si sentiva voce e non parola». Questo è «il segreto di Giovanni». Egli «non ha voluto essere un ideologo». È stato un «uomo che si è negato a se stesso, perché la parola» crescesse. Ecco allora l'attualità del suo insegnamento: «Noi come Chiesa possiamo chiedere oggi la grazia di non diventare una Chiesa ideologizzata», per essere invece una «Chiesa che ascolta religiosamente la parola di Gesù e la proclama con coraggio»; «una Chiesa sempre al servizio della Parola; una Chiesa che mai prenda niente per se stessa».

Sia questa la nostra umile preghiera che innalziamo all'inizio della celebrazione della Santa Messa: O Padre, che in Cristo, agnello pasquale e luce delle genti, chiami tutti gli uomini formare il popolo della nuova alleanza, conferma in noi la grazia del battesimo con la forza del tuo Spirito, perché tutta la nostra vita proclami il lieto annunzio del Vangelo". Amen.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Gesù non pretende la nostra vita, offre la sua

Giovanni, vedendo Gesù venirgli incontro, dice: Ecco l'agnello di Dio. Parole diventate così consuete nelle nostre liturgie che quasi non sentiamo più il loro significato.

Un agnello non può fare paura, non ha nessun potere, è inerme, rappresenta il Dio mite e umile (se ti incute paura, stai sicuro che non è il Dio vero).

Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo, che rende più vera la vita di tutti attraverso lo scandalo della mitezza.

Gesù-agnello, identificato con l'animale dei sacrifici, introduce qualcosa che capovolge e rivoluziona il volto di Dio: il Signore non chiede più sacrifici all'uomo, ma sacrifica se stesso; non pretende la tua vita, offre la sua; non spezza nessuno, spezza se stesso; non prende niente, dona tutto.

Facciamo attenzione al volto di Dio che ci portiamo nel cuore: è come uno specchio, e guardandolo capiamo qual è il nostro volto. Questo specchio va ripulito ogni giorno, alla luce della vita di Gesù. Perché se ci sbagliamo su Dio, poi ci sbagliamo su tutto, sulla vita e sulla morte, sul bene e sul male, sulla storia e su noi stessi.

Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo. Non «i peccati», al plurale, ma «il peccato» al singolare; non i singoli atti sbagliati che continueranno a ferirci, ma una condizione, una struttura profonda della cultura umana, fatta di violenza e di accecamento, una logica distruttiva, di morte. In una parola, il disamore.

Che ci minaccia tutti, che è assenza di amore, incapacità di amare bene, chiusure, fratture, vite spente. Gesù, che sapeva amare come nessuno, è il guaritore del disamore. Egli conclude la parabola del Buon Samaritano con parole di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere... E diventerai anche tu un guaritore del disamore.

Noi, i discepoli, siamo coloro che seguono l'agnello (Ap 14,4). Se questo seguire lo intendiamo in un'ottica sacrificale, il cristianesimo diventa immolazione, diminuzione, sofferenza. Ma se capiamo che la vera imitazione di Gesù è amare quelli che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, toccare quelli che lui toccava e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza, e non avere paura, e non fare paura, e liberare dalla paura, allora sì lo seguiamo davvero, impegnati con lui a togliere via il peccato del mondo, a togliere respiro e terreno al male, ad opporci alla logica sbagliata del mondo, a guarirlo dal disamore che lo intristisce.

Ecco vi mando come agnelli... vi mando a togliere, con mitezza, il male: braccia aperte donate da Dio al mondo, braccia di un Dio agnello, inerme eppure più forte di ogni Erode.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Un agnello tra passato e futuro

Il vangelo di oggi (Giovanni 1,29-34) ripresenta l'episodio di domenica scorsa, vale a dire il battesimo di Gesù, stavolta narrato attraverso la testimonianza del Battista, arricchito però da una espressione molto importante, per capire la quale è forse utile una premessa. Si sente dire talvolta che i cristiani, avendo il vangelo, non hanno più bisogno del farraginoso, oscuro, talora imbarazzante Antico Testamento; avendo Gesù, possono lasciare agli ebrei tutto quanto l'ha preceduto. In realtà una simile affermazione non regge; sarebbe come pretendere di capire un romanzo leggendone solo l'ultimo capitolo, o spiegare un frutto, ignorando il lungo lavorìo di radici tronco ramo e fiore. Gli stessi vangeli del resto rimandano continuamente (il solo Matteo lo fa oltre 140 volte) ai testi precedenti, cioè appunto a quella parte della Bibbia che va sotto il nome di Antico Testamento.

La citata espressione aggiuntiva del vangelo odierno ne dà un clamoroso esempio. "Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo", esclama Giovanni Battista all'avvicinarsi di Gesù: parole chiare per i suoi ascoltatori, i quali ben conoscevano i libri in cui era narrata la storia del loro popolo e quelli in cui erano raccolti gli insegnamenti degli antichi profeti; ma parole oscure per noi, se quei libri pretendessimo di poterli accantonare. Perché Gesù è chiamato agnello? In che senso è "di Dio"? Che c'entra il peccato? E come lo può togliere?

La risposta viene da lontano, da un anno intorno al 1250 a.C., quando gli ebrei riuscirono a lasciare l'Egitto dove erano stati resi schiavi. Prima di partire, tramite Mosè, Dio comandò loro di mangiare in ogni famiglia un agnello il cui sangue, spruzzato sulla porta di casa, la preservò dallo sterminio che colpì invece i primogeniti egiziani: l'innocente agnello, dunque, salvò gli amici di Dio dalla morte. Da allora, nell'anniversario (la Pasqua), ogni famiglia d'Israele ricordò il fatto con il pasto sacrificale di un agnello, e anche nel tempio di Gerusalemme, dove quotidianamente si offrivano animali in sacrificio per espiare i peccati, gli agnelli erano i privilegiati. Ma potrà mai bastare un animale a compensare un'offesa a Dio? Ecco allora, alcuni secoli dopo, il profeta Isaia annunciare la venuta di un uomo, innocente e caro a Dio, che si sarebbe fatto carico dei peccati di tutti e per espiarli si sarebbe lasciato condurre a morte. "Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come un agnello condotto al macello" (Isaia 53,5-7).

Questa e altre analoghe profezie hanno trovato compimento in Gesù: ecco perché il Battista lo poté indicare come un innocente agnello, caro a Dio, così preannunciando e spiegando il senso della sua morte in croce. Ma la sua vicenda non è finita al calvario; proprio per la sua totale disponibilità, come lo stesso Isaia aveva predetto, Dio l'ha esaltato, ponendolo per sempre su un trono da dove riceverà l'omaggio di tutte le genti. Ed è significativo che, lanciando lo sguardo al futuro, il libro dell'Apocalisse (capitolo 5) presenti Gesù in trono sotto forma di agnello, vivente ma con i segni del suo sacrificio: e intorno a lui, lo stuolo innumerevole di coloro che del suo sacrificio hanno beneficiato.

Le parole del Battista sono di così intenso significato, che la Chiesa le fa risuonare in ogni Messa: subito dopo l'invito ad accostarsi alla mensa del Signore, il sacerdote richiama chi è Colui che si va a ricevere, ripetendo le parole di Giovanni Battista: "Ecco l'Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo". Parole di intenso significato, e sempre attuali: in ogni Messa il mistico Agnello si fa presente e coinvolge i suoi amici in una dinamica grandiosa, che si dispiega da un passato di promesse adempiute ad un futuro di condivisione e di gloria.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 19 gennaio 2014

Sussidio Liturgico in relazione alla 100esima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato