29 dicembre: Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe: riconoscere il volto di Dio in famiglia

News del 28/12/2013 Torna all'elenco delle news

Prima domenica dopo Natale, festa della Santa Famiglia di Nazareth. Una celebrazione che ha come oggetto la famiglia non sembra facile, oggi, date le diverse maniere di pensare e di vivere la famiglia. Ma, come sempre, Dio che è Padre amoroso, qualunque siano le nostre condizioni, ci invita a unirci intorno alla sua parola che ha per tutti qualcosa di vero, capace di rispondere ai nostri dubbi e fortificare la nostra fragilità.

L'ultimo giorno dell'anno, poi, ci spinga a ringraziare il Signore per aver camminato al nostro fianco e a chiedergli perdono per i tanti passi sui sentieri della nostra caparbietà, fuori delle segnalazioni della sua Parola.

Se è vero, comunque, che la famiglia umana è un riflesso della famiglia trinitaria e che essa ha come esemplare la famiglia di Nazareth, è anche vero che la situazione della famiglia di oggi è diversa da quella dei tempi di Maria e Giuseppe.

La famiglia antica, e perciò anche quella biblica, era di tipo patriarcale: essa faceva capo al padre, vertice della casa. Non per nulla nel Vangelo ora ascoltato Giuseppe viene nominato ben 4 volte. Anche se non dice nessuna parola (egli tradisce solo una grande emozione: "ebbe paura di andare nella Giudea") è lui che decide e agisce: prende il bambino, lo porta in Egitto e da qui lo riporta in patria, stabilendosi a Nazareth, lontano da chi avrebbe voluto ucciderlo.

Oggi la situazione è cambiata con fatti nuovi, accettati anche dalle leggi civili. Ormai il diritto - si legge anche nell'atto ufficiale di matrimonio - prevede due capi della famiglia: il padre e la madre, e questo, a pensarci bene, costituisce una conquista, ma anche una grossa responsabilità nel senso che, la vera autorità sta così oggi nell'intesa, nell'amore interno della famiglia. E così, mentre da una parte sembra crollare un modello andato avanti per secoli, dall'altra parte emerge un valore che dovrebbe essere caro ai cristiani: l'amore. Ma quello vero e sacro che deve diventare un volersi bene, che tiene uniti e che garantisce la stabilità della famiglia, perché ciò che non si ama si perde.

Siccome però è facile dar inizio all'amore, ma è difficile dare all'amore autentico quel continuo inizio che lo mantiene sempre vivo, questo nuovo tipo di famiglia si sta rivelando molto fragile. Le cause sono tante e tanti e di vario ordine i problemi sollevati: crisi delle abitazioni; lavori fuori casa della donna; limitazione delle nascite; separazioni; introduzione del divorzio; autonomia dei figli che vogliono fare la loro esperienza, pongono domande inquietanti a cui non è facile rispondere.

Eppure a una si deve rispondere.

Qual' è il contributo specifico del messaggio evangelico alla soluzione di questi problemi?

Innanzitutto va detto che non è compito del Vangelo offrire un modello sociologico della famiglia: il Vangelo può dare solo indicazioni ai credenti per animare dal di dentro la famiglia e farle scoprire i suoi valori e le sue potenzialità.

S.Paolo dice che la famiglia resisterà e assolverà ai suoi compiti se coloro che la compongono instaureranno fra loro quei comportamenti fraterni che legano fra loro i veri cristiani. Nel brano della lettera che abbiamo ascoltato egli dedica 17 versetti a definire la vita cristiana e solo 4 (per di più molto brevi) a definire la specificità del comportamento familiare.

Chi sono i membri di questa famiglia cristiana? Sono gli amati da Dio, quelli cioè particolarmente vicini a Lui ("santi", li chiama S.Paolo). La loro identità essenziale non è data, quindi dalla posizione sociale o dai ruoli culturali o tradizionali (mariti diritti e doveri, mogli, doveri e diritti), ma dall'azione gratuita e generosa di Dio.

Questo comporta il massimo dell'umiltà (quello che uno è lo è per dono gratuito) e il massimo di rispetto per gli altri: quello che gli altri sono, lo sono per la volontà e la grazia di Dio.

Questa consapevolezza di essere amati e accettati gratuitamente da Dio deve suscitare una profonda bontà del cuore che si apra all'accettazione incondizionata di tutti. La struttura dell'etica cristiana ha quindi una sua logica molto chiara: comportarsi con gli altri come il Signore si comporta con noi, cioè con bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza, sopportazione e perdono.

Da questo deriva ovviamente una conseguenza, e cioè che se la sorgente dell'etica cristiana è l'amore di Dio per noi, al centro della vita cristiana deve stare la Parola di Dio; se non altro per non dimenticare quello che Lui ha fatto per noi; quello che Dio ci ricorda sul rispetto della vita, anche quella solo concepita, perché, secondo una felice espressione dei primi scrittori cristiani "è uomo anche chi lo sta diventando"; per ricordare quello che è detto sull'attenzione premurosa verso chi non rende e non guadagna, ma spesso assorbe tempo ed energie: l'anziano. Non tutti i figli valgono, oggi, le lacrime che sono costati ai loro vecchi.

C'è il sacrosanto dovere di rivivere in famiglia tutto l'amore redentore del Cristo, tutto l'amore col quale Egli ha amato e salvato suo padre e sua madre, e col quale essi lo hanno amato. In Cristo il marito è responsabile della salvezza della sposa, deve amarla fino a salvarla. La stessa cosa dovrà fare lei nei confronti del marito. Ambedue poi diventano responsabili della salvezza dei figli (e questi della salvezza dei genitori): responsabili di amarli abbastanza fino a salvarli.

Come fare per vedere il Signore in un marito, in una moglie, in un figlio?

La risposta è scontata ed è una sola: con la fede, come del resto avvenne nella Santa Famiglia. Giuseppe ha dovuto far fede a Maria, ha dovuto credere in lei in modo eccezionale e deve averla amata molto per credere in lei così. Maria ha dovuto credere in Giuseppe, fidandosi del rispetto e della stima che le portava. Più si ama, meno si dubita.

Ambedue hanno avuto fede nel figlio, apparentemente un bambino come gli altri e del quale non sempre capivano parole e comportamenti: ma l'amore è capace di comprendere anche quello che non capisce.

Gesù, infine, mostrò fede nei genitori: era loro sottomesso e rimanendo 30 anni a Nazareth ha dimostrato che si possono compiere le missioni più sublimi, vivendo affettuosamente una semplicissima vita di famiglia.

La famiglia dev'essere l'ambiente paradossale in cui si ama più di quanto talora si meriti e per sempre allo stesso modo. Nell'amore infatti non esiste il meno; il meno è niente.

Che vuoto se, finita la bellezza, non c'è la virtù!

Una buona famiglia è quella in cui si accetta di non capire tutto, ma di superare i conflitti e tensioni nella fede; ove si accetti di credere sempre; di amarsi malgrado le delusioni e le sofferenze: amarsi non è una virtù. lo diverrà col tempo.

Un essere non è mai perduto finché c'è qualcuno che crede in lui e lo ama. Siamo alla vigilia di un anno nuovo che tutti ci auguriamo migliore di quelli passati, anche se quello che finisce oggi ci ha riservato novità e conquiste che solo un mese fa sembravano irraggiungibili.

Auguriamoci un anno di grazia con le parole del Salmo: "Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto": Se fossimo capaci di dire a chi ci vive accanto: il tuo volto io cerco, non me lo nascondere, la crisi della famiglia sarebbe risolta.

Riconciliamoci con i volti, da quello del bambino non ancora nato a quello dell'anziano tramato di rughe: è l'unico modo di riconciliarsi col volto di Dio, la cui benedizione è sempre abbondante sulla casa che lo accoglie come l'ospite più atteso.

Omelia a cura de LaParrocchia.it

 

Giuseppe, modello di ogni credente

Il Natale non è sentimen­tale ma drammatico: è l'inizio di un nuovo ordi­namento di tutte le cose. Non una festa di buoni sen­timenti, ma il giudizio sul mondo, la conversione del­la storia. La grande ruota del mondo aveva sempre girato in un unico senso: dal basso verso l'alto, dal piccolo ver­so il grande, dal debole ver­so il forte. Quando Gesù nasce, anzi quando il Figlio di Dio è par­torito da una donna, il mo­vimento della storia per un i­stante si inceppa e poi pren­de a scorrere nel senso op­posto: l'onnipotente si fa de­bole, l'eterno si fa mortale, l'infinito è nel frammento.

Le sorti del mondo si deci­dono dentro una famiglia: un padre, una madre, un figlio, il nodo della vita, il per­no del futuro. Le cose deci­sive - oggi come allora - ac­cadono dentro le relazioni, cuore a cuore, nel quotidia­no coraggio di una, di tante, di infinite creature innamo­rate e generose che sanno 'prendere con sé' la vita d'altri. Giuseppe è il model­lo di ogni credente, in cui la fede e affetti sono forza l'u­no per l'altro. Erode invia soldati, Dio manda un sogno. Un gra­nello di sogno caduto den­tro gli ingranaggi duri della storia basta a modificarne il corso.

«Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto». Un Dio che fugge nella notte! Perché l'angelo comanda di fuggire, senza garantire un futuro, senza segnare la stra­da e la data del ritorno? Per­ché Dio non salva dall'esilio, ma nell'esilio; non ti evita il deserto ma è forza dentro il deserto, non protegge dalla notte ma nella notte.

Per tre volte Giuseppe sogna. Ogni volta un annuncio par­ziale, una profezia di breve respiro. Eppure per partire non chiede di aver tutto chiaro, di vedere l'orizzonte completo, ma solo «tanta lu­ce quanto basta al primo passo» (H. Newman), tanta forza quanta ne serve per la prima notte. A Giuseppe ba­sta un Dio che intreccia il suo respiro con quello dei tre fuggiaschi per sapere che il viaggio va verso casa, anche se passa per il lontano Egit­to; che è un'avventura di pe­ricoli, di strade, di rifugi e di sogni, ma che c'è un filo ros­so il cui capo è saldo nella mano di Dio.

Giuseppe rappresenta tutti i giusti della terra, uomini e donne che, prendendo su di sé vite d'altri, vivono l'amo­re senza contare fatiche e paure; tutti quelli che senza proclami e senza ricompen­se, in silenzio, fanno ciò che devono fare; tutti coloro il cui «compito supremo nel mon­do è custodire delle vite con la propria vita» (E. Canetti). E così fanno: concreti e in­sieme sognatori, inermi ep­pure più forti di ogni farao­ne.

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

Liturgia e Liturgia della Parola della Festa della Santa Famiglia (Anno A): domenica 27 dicembre 2013