15 dicembre 2013 - III Domenica di Avvento, Domenica "Gaudete": Rallegratevi, il Signore è vicino!

News del 09/12/2013 Torna all'elenco delle news

E' la Domenica della gioia. Danno il tono alla giornata le parole di Paolo: "Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto, rallegratevi: il Signore è vicino! Giovanni Battista ci guida all'incontro con Cristo. Il Vangelo ci presenta Giovanni in una situazione nuova. Egli ora non è più nel deserto, ora non può più parlare, ora non ha attorno a sé le folle che chiedono un battesimo di penitenza. Ora è solo: è in carcere: un carcere disumano costruito in un luogo orrido.

Dio permette il male, perché dentro il male Egli è capace di consolare, è capace di salvare nell'attesa del giorno in cui si vedrà tutta la Sua giustizia. Tornano a proposito le parole dell'apostolo Giacomo: "Siate pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra... Siate pazienti anche voi... Non lamentatevi... Prendete come modello di sopportazione e di pazienza i profeti... "

Giovanni il Battista nel carcere ha una prova di fede che lo purifi­ca e lo avvicina ancora di più al cuore di Dio. Infatti, ispirato da Dio, Giovanni aveva annunciato la venuta del Messia. Il Messia davvero era venuto nel mondo. Però Dio, come sempre, si era riservato uno spazio di novità e di libertà che Giovanni non conosceva: il Messia, infatti, non era esattamente come Giovanni l'at­tendeva. Per questo Giovanni gli chiede: "Sei tu colui che deve venire o dob­biamo attenderne un altro?" La risposta di Gesù crea un nuovo spazio per la fede di Giovanni: "... ai poveri è annunziata la buona novella e beato colui che non si scanda­lizza di me". Giovanni non si scandalizzò, ma piegò la testa e credette.

Chi si mette alla ricerca di Dio, si aspetti sempre qualche sorpre­sa: Dio non sarà mai come noi l'aspettiamo; per questo motivo Dio si incontra solo nell'umiltà della fede, lasciandosi condurre da Lui per strade che noi non possiamo immaginare. Così fu per Giovanni, così è per tutti.

Possiamo accostarci al dramma di Giovanni. Giovanni aveva detto: " lo devo diminuire e Lui deve crescere". Gesù invece di manifestarsi pIa­tealmente, si nasconde, prende l'ultimo posto, non cerca la popola­rità, si tiene alla larga dal potere umano e dal palcoscenico. Che mistero! Dio aveva detto per bocca di Isaia: "l miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie" (55,8). Senza dubbio deve esse­re stato duro per Giovanni constatare la verità di queste parole. Ma non finisce qui la fatica della conversione. Giovanni aveva parlato di mietitura e di raccolto. Gesù invece parla di seminagione, si presenta come un paziente agricoltore che butta la semente dovunque, con infinita pazienza.

Giovanni vedeva il Messia di Dio con il volto severo e il ventila­bro in mano per separare il grano dalla pula, cioè i buoni dai cattivi. Gesù invece accoglie tutti, va a mangiare con i pubblicani e i pecca­tori, fa intendere chiaramente che Dio tenta tutte le vie per salvare l'uomo: Dio è pronto a pagare qualsiasi prezzo per salvare. Dio ci supera, Dio ci sorprende: per questo nel rapporto con Dio è sempre necessaria la fede. Si capisce allora il senso della angosciata domanda di Giovanni: "Sei proprio tu quello che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?" In queste parole c'è il dramma di chi non riesce a capire, ma c'è anche l'umiltà di chi si lascia guidare per capire. Qui Giovanni rag­giunge la santità: egli è martire nel cuore, prima di esserlo nel corpo: egli è martire della fede. Alla domanda di Giovanni, Gesù risponde: "Andate a dire a Giovanni: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti... ai poveri è predicata la buona notizia" .

Gli atteggiamenti di Gesù non coincidono con le immagini messe in circolazione da Giovanni: infatti quando Dio viene, ci supera sem­pre nella direzione della carità. Giovanni credette. Aveva detto di Gesù: "Io non sono degno neppu­re di legare i legacci dei suoi sandali". Fu coerente. Non si scan­dalizzò di Lui. Fu precursore del Signore: nel carcere chissà quanto meditò que­ste parole; le fece sue e dette la vita per testimoniare la fede in Gesù.

Oggi Giovanni è una grande lezione per noi. Egli è un uomo che ha camminato nella fede, si è lasciato condur­re da Gesù, ha accolto la difficile lezione della carità e ha detto SI' col suo sangue. Chiediamoci se la nostra fede è davvero in cammino, se è una vera accoglienza di Dio, se seguiamo il Signore che ci rivela la Sua strada. La gioia vera, quella del cuore, quella che dura sempre è l'incontro con il Signore; Giovanni Battista è arrivato all'incontro pieno e definitivo con il Signore, attraverso l'amore grande del martirio.

Omelia di don Roberto Rossi

 

Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?

Desiderare Dio, aspettarlo, incontrarlo, è il senso dell'Avvento ed è l'esperienza che la Liturgia ci invita a vivere in queste settimane, in attesa del Natale. Il nostro tempo sembra fare a meno di Dio: cerca tante cose, è insoddisfatto, deluso, ma da quando i maestri del sospetto hanno aperto gli occhi agli uomini, essi cercano altrove ciò che in tempi più ingenui cercavano in Dio. Eppure noi celebriamo l'Avvento, perché, al di là di ogni risposta che ci viene dalle scienze che indagano l'uomo, sentiamo rinascere in noi il desiderio insopprimibile di qualcuno che sazi il nostro desiderio di pace, di felicità, di amore. Desiderare, aspettare, incontrare Dio è un'esperienza infinitamente grande, che ci coinvolge completamente: oggi ci chiede il coraggio di quella verità che raggiungiamo soltanto rientrando nel profondo di noi stessi per lasciare emergere le domande radicali alle quali non possiamo sfuggire.

Il Vangelo ci fa percorrere questo cammino proponendoci la figura di Giovanni il Battista che la liturgia della domenica terza di Avvento ci ripresenta con il brano di Matteo 11, 2-11. Si tratta di una pagina centrale del Vangelo di Matteo nella quale si intrecciano i temi maggiori che interessano la comunità cristiana nascente e la Chiesa di ogni tempo: l'incontro con il Cristo, la sua identità, la missione, la testimonianza. Nella figura di Giovanni è rappresentato l'uomo in tensione verso la propria realizzazione: non per nulla Gesù sottolinea lo stupore suscitato dalla sua personalità di uomo forte, libero, profetico, "il più grande tra i nati da donna". Giovanni ha il coraggio dell'onestà nella denuncia delle ipocrisie, delle manipolazioni della Legge e dell'abuso del potere. Ma la grandezza di Giovanni e la sua libertà interiore si manifesta soprattutto quando, con un atto di autenticità e di verità, confessa di non essere lui migliore degli altri: ha il coraggio della denuncia ma non ha la possibilità di migliorare il cuore dell'uomo per fargli superare quel limite di fragilità che lo condiziona radicalmente. A questo punto l'uomo Giovanni si apre alla fede: non può non venire "Colui che è più forte di me". Giovanni diventa l'uomo dell'attesa, del desiderio di Dio che è la certezza che l'uomo non è abbandonato alla sua disperante fragilità, è l'esperienza di un Amore che irrompe dove l'uomo è schiacciato dalla sua solitudine. Adesso, dice Matteo, Giovanni è in carcere: la sua percezione del male che schiaccia l'uomo diventa drammatica. E proprio all'interno del carcere "ha sentito le opere del Cristo": Giovanni ha un sussulto, nella sua situazione drammatica irrompe l'opera del Cristo. Dunque Dio risponde alla sua attesa con "le opere del Cristo": ma proprio a questo punto avviene la grande crisi dell' "uomo" Giovanni. Aspettava uno più forte di lui che vincesse il male: sente "le opere del Cristo" e sono opere di misericordia e di perdono. Attraverso i suoi discepoli rivolge a Gesù la domanda drammatica, stupendamente significativa che non può non sgorgare dal cuore di ogni uomo che incontra Gesù, il Cristo, nella sua sconvolgente e inattesa novità: "Tu sei Colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?" Nella tenebra del suo carcere Giovanni ha cominciato a vedere una luce, ma il carcere rimane: nella sua fragilità umana che rimane ha cominciato a sentire un calore nuovo che gli fa superare la durezza con cui guardava agli uomini peccatori e li condannava. Giovanni aspettava un "Altro", forte, potente, terribile: aspettava Dio. Adesso sente le opere di uno, che è anche suo cugino, con il quale può parlare come a un amico. Aspettava un "Altro" che facesse un mondo migliore: c'è uno che ama questo mondo. Aspettava un Dio che innalzasse il mondo alla sua altezza: c'è uno invece che discende dentro il mondo e ne fa la sua tenda. Dobbiamo aspettare l' "Altro" come sempre noi facciamo, vivendo da alienati, insoddisfatti di ciò che abbiamo oppure aprire i nostri orecchi, i nostri occhi, il nostro cuore per accogliere "Colui che viene con noi"? Ma certo, non può non essere la nostra domanda questa, quando sentiamo il peso della nostra vita quotidiana, la angoscia dei nostri drammi, perché solo nella verità della nostra esperienza possiamo accogliere la verità della sua venuta. Desiderare "Dio" significa allora imparare a non aspettare sempre l' "altro" ma accogliere questo "Tu" che in ogni attimo ci dona il senso della vita.

Alla domanda di Giovanni posta attraverso i discepoli, Gesù risponde invitandoli a portare la testimonianza di ciò che vedono e sentono. La risposta di Gesù alla crisi di Giovanni non è una dottrina, una teologia astratta, ma una testimonianza. Giovanni aspetta l'intervento di Dio, desidera la sua venuta: i suoi discepoli hanno visto e hanno udito le opere di Gesù, il Cristo: sono opere che realizzano ciò che l'uomo desidera. E' in atto ormai una umanità nuova, capace di relazioni piene, libera da ogni discriminazione di qualsiasi tipo, una umanità fatta da uomini poveri ma ai quali è arrivato il lieto annuncio dell'amore del Padre. L'uomo che cerca Dio deve solo aprire i suoi occhi per vedere che Dio è dentro la sua vita, la sua storia, il suo mondo. Dunque Giovanni può credere: è proprio Gesù "Colui che viene"; è Lui l' "Altro" che si è fatto vicino, che entrando nella nostra vita vince la nostra solitudine, illumina i nostri occhi, apre i nostri orecchi, elimina le distanze create da leggi e da poteri che discriminano. E' Lui che manifesta la sua onnipotenza nella misericordia e nel perdono, nella compassione, nella condivisione della nostra fragilità. E'Lui che ama chi è povero, chi non indossa maschere di falsa potenza, di ipocrisia: è lui che rende felice chi si lascia amare e crede l'amore. E' Lui che ci stupisce non con lo splendore della sua gloria ma con l'infinito del suo amore che si fa piccolo per essere uno di noi, con noi, per noi, per farci sentire la bellezza della esperienza umana. Dovremo seguire tutto il Vangelo di Matteo per entrare in questa esperienza. Ma già da adesso lo sappiamo: è la comunità di coloro che credendo nella presenza operante di Gesù mostrano una vita bella e felice che lo testimoniano e dicono che il nostro desiderio di Dio è ormai una realtà.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Il vero miracolo, un piccolo seme

«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo at­tenderne un altro?». Gran­de domanda che permane intatta: perseveriamo die­tro il Vangelo o cerchiamo altrove?

Giovanni è colto dal dub­bio, eppure Gesù non per­de niente della stima im­mensa che nutre per lui: «È il più grande!» I dubbi non diminuiscono la statura di questo gigante dello spirito. Ed è di conforto per tutti i nostri dubbi: io dubito, e Dio continua a volermi be­ne. Io dubito, e la fiducia di Dio resta intatta.

Sei tu? Gesù non risponde con argomentazioni, ma con un elenco di fatti: cie­chi, storpi, sordi, lebbrosi, guariscono, si rimettono in cammino hanno una se­conda opportunità, la loro vita cambia .

Dove il Signore tocca, por­ta vita, guarisce, fa fiorire.

La risposta ai nostri dubbi è semplicemente questa: se l'incontro con Lui ha prodotto in me frutti buoni (gioia, coraggio, fiducia nel­la vita, apertura agli altri, speranza, altruismo). Se in­vece non sono cambiato, se sono sempre quello di prima, vuol dire che sto sba­gliando qualcosa nel mio rapporto con il Signore.

I fatti che Gesù elenca non hanno trasformato il mon­do, eppure quei piccoli se­gni sono sufficienti perché noi non consideriamo più il mondo come un malato inguaribile. Gesù non ha mai promesso di risolvere i pro­blemi della storia con i miracoli. Ha promesso qual­cosa di più forte ancora: il miracolo del seme, la laboriosa costanza del seme. Con Cristo è già iniziato, ma come seme che diventerà albero, un tutt'altro modo di essere uomini. Un seme di fuoco è sceso dentro di noi e non si spegne.

Sta a noi ora moltiplicare quei segni (voi farete segni ancora più grandi dei miei), mettendo tempo e cuore nell'aiutare chi soffre, nel curare ogni germoglio che spunta, come il contadino:

Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il pre­zioso frutto della terra (Giacomo, II lettura). La fede è fatta di due cose: occhi che sanno vedere oltre l'inver­no del presente, e la spe­ranza laboriosa del conta­dino. Fino a che c'è fatica c'è speranza.

Beato chi non trova in me motivo di scandalo. Gesù portava scandalo e lo por­ta oggi, a meno che non ci facciamo un Cristo a nostra misura e addomestichiamo il suo messaggio: non stava con la maggioranza, ha cambiato il volto di Dio e le regole del potere, ha messo la persona prima della leg­ge e il prossimo al mio pa­ri. E tutto con i mezzi pove­ri, e il più scandalosamen­te povero è stata la croce.

Gesù: un uomo solo, con un pugno di amici, di fronte a tutti i mali del mondo. Beato chi lo sente come picco­lo e fortissimo seme di lu­ce, goccia di fuoco che vive e geme nel cuore dell'uo­mo. Unico miracolo di cui abbiamo bisogno.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Terza Domenica di Avvento (Anno A) 15 dicembre 2013

tratto da www.lachiesa.it