19 febbraio 2012: Figlio, i tuoi peccati sono perdonati!...Il Signore salva senza porre nessuna condizione

News del 18/02/2012 Torna all'elenco delle news

Nella VII domenica del tempo ordinario, iniziamo la lettura del secondo capitolo del Vangelo di Marco (Mc.2,1-12), con la prima delle cinque controversie nelle quali Gesù comincia a sperimentare i contrasti con i responsabili religiosi, scribi e farisei, che lo condurranno alla Croce. Queste controversie riflettono i forti dibattiti sostenuti dalla prima comunità cristiana, che riguardano le relazioni esterne con la comunità ebraica e pure le polemiche interne tra tendenze diverse tra cristiani. Solo ricollocando le pagine evangeliche nel contesto della vita che le ha generate, possiamo comprenderne la sorprendente attualità.
La lettura del Vangelo ci invita a prendere atto sinceramente di quanto le situazioni della nostra comunità cristiana assomiglino a quelle della prima comunità: rimangono le nostre tensioni, legalismi e fariseismi, le nostre fragilità, e rimane Lui che continua a condividere la nostra fragilità, a prenderci per mano, a scuoterci, ad amarci.
"Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo a Cafarnao". Nel primo capitolo Marco ha descritto la giornata tipica di Gesù, a Cafarnao, nella casa di Simone e Andrea: già sono presenti i grandi temi del Vangelo con al centro l'identità di Gesù, il mistero della sua potente autorevolezza, che si manifesta discendendo sino a "contaminarsi" con il lebbroso.
Adesso di nuovo, "in casa", riprende la narrazione degli eventi e con essa, la manifestazione dell'identità di Gesù e l'iniziazione alla relazione autentica con Lui.
Ancora una volta, Marco ci avverte della presenza della folla: ormai sappiamo che la sua fama si è diffusa. Sono accorsi talmente in tanti che tutto lo spazio è esaurito, persino di fronte alla porta della casa e "diceva a loro la parola". "Nella casa" tutto è bello, entusiasmante! Come quando riescono bene le "nostre" iniziative: bene la programmazione, bene la realizzazione, bene il risultato! Ma il giudizio di Gesù qual è?
"E vengono portando a Lui un paralitico, sollevato da quattro, ma non potendo portarlo fino a Lui a causa della folla, scoperchiarono il tetto dove Lui stava.": dunque la folla che riempie la casa, lo rinchiude; la parola che dice a loro non può essere ascoltata da chi sta lontano. Tutto ciò che è narrativo, diventa simbolico: il paralitico diventa il simbolo dell'uomo che non può reggersi da solo e dai quattro (forse i quattro discepoli) è portato a Lui, ma non può incontrarlo perché il perimetro chiuso della "casa" impedisce, la folla ostacola e nessuno si sposta. Una "casa" diventata autoreferenziale, preoccupata di se stessa e della propria riuscita, annuncia il Vangelo o lo ostacola?
"Scoperchiarono il tetto dove Lui era.". Deve avere un significato intenso questo, se Marco dice: "Vedendo Gesù la loro fede, dice al paralitico: Figlio, sono perdonati i tuoi peccati". Nel gesto compiuto perché il paralitico sia collocato presso di Lui, Gesù vede la loro fede, il bisogno che l'uomo ha di Dio, la ricerca personale di Dio che va oltre l'entusiasmo della folla, il coraggio di liberarsi da ogni sovrastruttura con cui l'uomo si difende, per trovarsi, alla fine, di fronte a Colui che lo aspetta per dirgli: "Figlio, sono perdonati i tuoi peccati".
La fede è il cammino che l'uomo compie per arrivare a sperimentare "dove è Gesù" e in Lui accogliere il dono del senso nuovo della vita. Nell'incontro con Lui, l'uomo sperimenta di essere figlio di un Padre che gli dona la vita libera da tutto ciò che lo allontana dal bene e gli impedisce la piena realizzazione di sé.
Cercavano la guarigione per il paralitico: Gesù gli dona il perdono, un amore che raggiunge la radice della sua esistenza umana e la cambia svelandogli di essere figlio di un Padre che gli dona la vita di Dio.
Certamente Gesù è cosciente di toccare il cuore del sistema teologico degli scribi presenti e di sconvolgerlo. Essi infatti pensano: "Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati se non l'uno, Dio?" Seduti come giudici, la loro contestazione riguarda la sua parola, diventa un'accusa di bestemmia giustificata dalla loro teologia. Certo, la sua Parola ha proclamato una novità che solo Dio può operare: fare della creatura umana un figlio il cui Padre è Dio stesso. Come può un uomo proclamare una realtà che appartiene solo a Dio? O è una bestemmia oppure è una verità che sconvolge il normale modo di concepire Dio, l'uomo, e la loro relazione. Certamente gli scribi hanno percepito l'importanza essenziale della Parola di Gesù, la sua forza liberante per l'uomo: il problema è ascoltare la sua Parola con un cuore aperto e libero per sperimentarne la verità oppure rimanere chiusi nei propri dubbi, nelle proprie concezioni razionali di un Dio gestito da ideologie anche teologiche che non lasciano spazio alla freschezza di un Dio di relazione, fonte di vita per l'uomo in ricerca.
Ed è meravigliosa questa figura di Gesù che Marco descrive stabilendo un netto confronto con gli scribi: da una parte ci sono loro, chiusi in se stessi, nella cerchia dei loro ragionamenti, dall'altra c'è Lui, che parla con loro, abbatte la barriera, entra in relazione, mostra, suscita libertà e attende una risposta.
Direttamente a loro pone due domande: "Perché tenete questi ragionamenti nei vostri cuori? Che cosa è più facile, dire al paralitico.?" E li spinge ad una spietata sincerità con se stessi e riguardo la scala di valori che essi dicono di difendere.
E poi di nuovo dice la sua Parola: "Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha l'autorità di perdonare i peccati, dico a te - dice al paralitico -: 'Alzati e va' a casa tua'". Il cuore della controversia e di ciò che il Vangelo vuole annunciare è la rivelazione dell'autorità del Figlio dell'uomo.
Marco nei capitoli successivi, continuerà a precisare il senso misterioso di questa figura: l'essenziale, ora, è l'identificazione del Figlio dell'uomo di cui parla il profeta Daniele, con Gesù, con la carne di questo uomo nella quale è presente ed agisce la forza di Dio.
Gesù proclama la grande, sconvolgente novità: Dio non è una onnipotenza da temere, irraggiungibile da parte dell'uomo in balia del male, chiusa in uno spazio sacro difeso da regole inviolabili. Dio è Padre che ama il Figlio e gli dona tutto, perché condivida il suo amore con il mondo fragile, perché il mondo creda che tutto, anche la fragilità è amore e cominci così, libero da ogni paura, a vivere l'amore. La Parola di Gesù è autorevole perché è Parola piena dell'Amore del Padre. La Parola di Gesù perdona i peccati perché comunica all'uomo la forza, l'Amore, che vince la paura, il sospetto, che l'uomo conserva dentro di sé quando non crede e non si abbandona all'Amore.
"Alzati e va' a casa tua": la Parola di Gesù rimette in piedi il paralitico, il perdono guarisce. Dio non fa più paura all'uomo: Dio è dentro il mondo, nella carne dell'uomo, nella carne amata da Dio, assunta da Lui, condivisa sino alla morte per poter essere pienamente con Lui. La Parola di Gesù libera, non lega, non crea dipendenze: manda "a casa" in piedi, perché l'uomo cominci a vivere. Dio è una forza di perdono immersa nel mondo con la carne di Gesù.
Tutto si chiude in un canto di gioia, di ringraziamento e di lode al Padre.
Il vangelo di Marco, nello sfondo, riflette la vita, le tensioni, i dibattiti della prima comunità, e, oggi, riflette la nostra vita: Gesù ci scuote, ci provoca. Sappiamo noi cantare di gioia per la libertà che Egli ci dona e scuotere il mondo perché si unisca al nostro canto? 

Omelia di mons. Gianfranco Poma
 

Il Signore salva senza porre nessuna condizione

Il paralitico di Cafàrnao. Lo in­vidio. Perché ha grandi amici: forti, fantasiosi, tenaci, creati­vi. Sono il suo magnifico ascenso­re, strappano l'ammirazione del Maestro: Gesù vista la loro fede...la loro, quella dei quattro portato­ri, non del paralitico. Gesù vede e ammira una fede che si fa carico, con intelligenza operosa, del do­lore e della speranza di un altro. I quattro barellieri ci insegnano a essere come loro, con questo peso di umanità sul cuore e sulle mani. Una fede che non prende su di sé i problemi d'altri non è vera fede. Non si è cristiani solo per se stes­si; siamo chiamati a portare uomini e speranze. A credere anche se altri non credono; a essere leali anche se altri non lo sono, a so­gnare anche per chi non sa più far­lo.
«Sei perdonato». Immagino la sor­presa, forse la delusione del para­litico. Sente parole che non si a­spettava. Lui, come tutti i malati, domanda la guarigione, un corpo che non lo tradisca più. Invece: fi­glio, ti sono perdonati i peccati.
Perdonare è nel Vangelo è un ver­bo di moto: si usa per la nave che salpa, la carovana che si rimette in marcia, l'uccello che spicca il vo­lo, la freccia liberata nell'aria.
Il perdono di Cristo non è un col­po di spugna sul passato, è molto di più: un colpo di remo, un colpo di vento nelle vele, per il mare fu­turo; è un colpo di verticalità, se si può dire così, per ogni uomo im­mobile nella sua barella. Il pecca­to invece blocca la vita, come per Adamo che dopo il frutto proibito si rintana dietro un cespuglio, pa­ralizzato dalla paura. Finita l'an­datura eretta, finiti i sentieri nel so­le! Il peccato è come una paralisi nelle relazioni, una contrazione, un irrigidimento, una riduzione del vivere.
Sei perdonato. Senza merito, sen­za espiazione, senza condizioni. Una doppia bestemmia, secondo i farisei. Essi dicono: Dio solo può perdonare. E poi: Dio non perdona a questo modo, non così, non sen­za condizioni, non senza espiare la colpa!
E Gesù interviene: Cosa è più faci­le? Dire: i tuoi peccati ti sono per­donati, o: alzati e cammina? Gesù per l'unica volta nel Vangelo dice apertamente il perché del suo mi­racolo: lega insieme perdono e guarigione, unisce corporale e spi­rituale, mostra che l'uomo biblico è un'anima-corpo, un corpo-ani­ma, un tutt'uno, senza separazioni. E rivela che Dio salva senza por­re condizione alcuna, per la pura gioia di vedere un figlio cammina­re libero nel sole, perché la grazia è grazia e non merito o calcolo.
Tutti si meravigliarono e lodavano Dio. Attingere alla meraviglia, sa­persi incantare per questa divina forza ascensionale che ci risana dal male che contrae e inaridisce la vi­ta, forza che la rende verticale e la incammina verso casa. Per sentie­ri nel sole. 

Omelia di padre Ermes Ronchi 

Liturgia della VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 19 febbraio 2012

Liturgia della Parola della VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 19 febbraio 2012