XXXII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO 11 febbraio 2024: il messaggio di papa Francesco

News del 11/02/2024 Torna all'elenco delle news

Nel tempo e nel contesto culturale in cui viviamo, immersi in una inarrestabile tendenza individua-lista, questa parola illumina la fatica del sofferente così come quella del curante. Entrambi stanno vivendo un tempo che necessita gesti di cura. Il Papa ci ricorda che la prima cura di cui abbiamo bisogno è la vicinanza, piena di compassione e tenerezza.

Il Samaritano del brano evangelico ( Lc 10, 25-37) viene principalmente ricordato per i suoi gesti: si è fatto prossimo, ha fasciato le ferite, ha accompagnato il sofferente, si è assicurato che la cura fino alla guarigione. Ma tutto è iniziato con una attenzione, ha rallentato il passo, ha rinviato i suoi progetti, ha offerto ascolto al grido di dolore. Papa Francesco ci invita ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù: «Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato o scartato». Un comportamento a cui siamo chiamati tutti, in forza di quel comandamento che ci chiede di amare chi abbiamo accanto, a cominciare dai più vulnerabili. «Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali». Andiamo, ci aspettano.

Don Massimo Angelelli, Direttore Ufficio nazionale per la Pastorale della Salute

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MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO:
«Non è bene che l’uomo sia solo». 
Curare il malato curando le relazioni

(...)Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.

Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo.

 A voi, che state vivendo la malattia, passeggera o cronica, vorrei dire: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri. La condizione dei malati invita tutti a frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi.

In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.

Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali. Non dimentichiamolo! E affidiamoci a Maria Santissima, Salute degli infermi, perché interceda per noi e ci aiuti ad essere artigiani di vicinanza e di relazioni fraterne.

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