19 febbraio 2017 - VII Domenica del Tempo Ordinario: Il "magis" cristiano

News del 17/02/2017 Torna all'elenco delle news

"Non sono venuto ad abrogare la Legge, ma a darvi compimento". Questo è il proposito che Gesù manifesta e sul quale abbiamo abbondantemente riflettuto la scorsa settimana: non abolire la legge di Mosè, della quale non verrà asportato il benché minimo segno, ma darle il vero fondamento, la giusta interpretazione di fondo. Non emendare canoni, codici e legiferazioni vigenti in ogni epoca, ma consolidarli di motivazioni fondamentali. Come interpretare una legge scritta, una norma? Con quale ottica avvicinarsi ad essa per avere lo sprone adeguato per osservarla? In parole povere qual è il "compimento" con il quale Gesù da' valore alla legge di Mosè e ad ogni sistema giuridico?

Già la volta scorsa lo si era evinto dagli stessi insegnamenti del Signore, ma adesso ulteriori moniti gesuani ci suggeriscono che esso sia semplicemente l'amore. E per ciò stesso anche la conquista della perfezione e della santità. Solo amando Dio e il prossimo e instaurando criteri di vera giustizia e armonia è possibile liberarci da tutti i vincoli che dischiudono la possibilità di elevarci perché ci rendono occlusi e sottomessi. Amando si è liberi e padroni del mondo e questo senza alcuna egemonia o dittatura. L'amore è infatti la pienezza della Legge, sia in riferimento ai dettami scritti della Toràh di Mosè, sia in relazione a qualsiasi altra disposizione giuridica. L'amore per Dio e per il prossimo esige che non ci si debba limitare a non uccidere, a non percuotere a non sopprimere la vita, ma che occorra anche tutelare la dignità altrui, rispettare l'altrui onorabilità e rivendicare i diritti fondamentali di ciascuno; che si estingua ogni astio, rancore e perversione nei confronti dei nostri avversari. E soprattutto che si contraccambi con il perdono ad ogni atto di ingiustizia e di cattiveria che dovessimo subire. Proprio così, la vera legge di Dio ci sospinge a combattere in noi la mediocrità e il sano accomodamento alla mentalità di questo secolo per assumere eroismo e "temerarietà", al punto da essere capaci di aprirci senza riserve ai nostri nemici, di fare del bene a coloro che ci perseguitano, perdonare offese e torti ricevuti e addirittura a "porgere l'altra guancia". A dire il vero quest'ultima espressione, oggetto di diatribe esegetiche, assume significati metaforici suscettibili di interpretazione. Giavini osserva che Gesù, di fronte al Sommo Sacerdote Anna, "non ha lanciato fulmini, ma nemmeno offrì l'altra guancia al servo che lo aveva percosso"; ha chiesto solo con dignità e bontà il motivo dello schiaffo"(Gv 18, 23); il che ci illustra che l'espressione (porgi l'altra guancia) vuole indicare semplicemente prontezza e generosità nel perdono delle offese, disinvoltura nell'amore verso i nemici, apertura di cuore anche nei confronti di chi ci ha fatto del male, anche se ciò non pregiudica la legittima difesa. Ciò non toglie tuttavia che l'amore verso i nemici è appannaggio del vero cristiano, condizione per essere veramente tali e distinguersi dai pagani e dagli infedeli. Anche presso pagani e farisei o non credenti si parla di giustizia e di amore, ma non nei termini eloquenti di radicalità e di eroismo quali Gesù li impone al cristiano. Come tutte le altre virtù, la carità comporta sacrifici e difficoltà, non ultima la possibilità di essere contrassegnati come stupidi e insensati, di ricevere le altrui derisioni ed esecrazioni e di essere anche invisi da più parti, ma l'amore concreto comporta per l'appunto quella difficoltà che comunemente viene definita irrazionalità e stoltezza, per la quale ci distinguiamo ineluttabilmente da tutti gli altri. L'amore certamente è intriso di speranza e consegue sempre la gloria presente e futura, tuttavia non deve mai essere interessato o finalizzato, non deve prevedere l'utile o mirare al proprio tornaconto. Non è veramente amore quando non è animato da fede, trasparenza e sincerità e prodigalità assoluta e per ciò stesso prevede che quale banco di prova debba affrontare inevitabilmente nemici e avversari che a loro volta da esso vengano disarmati.

Superare la mediocrità, disporsi a fare più di quanto ci viene chiesto, usare maggiore dedizione e abnegazione nell'adempimento dei doveri è alla radice di ogni successo anche professionale; ma il "di più" dell'amore in ogni caso è proprio del vero cristiano. Questi percorre "un miglio in più", cioè non si contenta di fare il necessario, ma va ben oltre cercando la qualità e la profondità in ogni impegno, lavoro o missione che gli venga chiesta e questo "di più" (magis) si giustifica nient'altro che con l'amore spontaneo e gratuito, con il quale si è certi di rendere testimonianza e di essere di orientamento agli altri. Dice l'apostolo Pietro: "La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio... Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti. "(1Pt 2, 12; 15). La santità di vita è il fondamento che qualifica l'uomo e lo rende in grado di adempiere veramente la legge e il suo modello è lo stesso Cristo, "Perfetto come il Padre" che è nei cieli. Essere santi è la chiave di volta per l'assunzione della condotta appropriata in ogni situazione e in ogni circostanza, appunto perché essa implica la capacità di amare in ogni occasione: "Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.

Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. " (Lv 19, 1 - 2 prima Lettura)

Nelle parole di Gesù vi è quindi la conciliazione, di fatto impossibile altrove, fra la struttura e l'amore, fra l'istituzione e il bene, fra la legge e la carità, perché nell'amore si trova il senso di una legge qualsiasi. Il fondamento per cui viviamo il "magis", il di più.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

La chiamata alla santità è chiamata all'amore

La settima domenica del tempo ordinario ci invita con precisi richiami a percorrere la via della santità mediante la scelta fondamentale dell'amore verso Dio e verso i fratelli. Nella preghiera iniziale della liturgia eucaristica, ci rivolgiamo al Signore con queste parole: O Dio, che nel tuo Figlio spogliato e umiliato sulla croce, hai rivelato la forza dell'amore, apri il nostro cuore al dono del tuo Spirito e spezza le catene della violenza e dell'odio, perché nella vittoria del bene sul male testimoniamo il tuo Vangelo di pace. E' santo chi spezza nel suo cuore e nella sua mente, rompe definitivamente con l'odio, la guerra, la violenza e il risentimento.

Nella prima lettura, tratta dal libro del Levitico, ci viene narrato il momento in cui Mosè si rivolge al popolo santo di Dio e lo invita, con parole forti e conversione a cambiare vita ed atteggiamenti nei confronti di Dio e del prossimo. In sintesi, non dobbiamo covare odio, dobbiamo rimproverare se il prossimo sbaglia, è vietato vendicarsi, né serbare rancore. La legge fondamentale sarà quella dell'amore e dell'accettazione vicendevole, nonostante i limiti e le debolezze umane.

Nel Salmo Responsoriale, tratto dal Samo 102 ci viene ricordato la bontà e la misericordia di Dio, in quanto la misericordia di Dio è così grande al punto tale che il Signore non si angustia mai per tutti i guai che noi esseri umani combiniamo. E' un vero padre che comprende, perdona e quanto è necessario richiama all'ordine.

Sul tema della misericordia e del perdono reciproco è improntato il testo del Vangelo di oggi che è il prosieguo di quello di domenica scorsa. Nel brano di Matteo troviamo l'esplicito invito a superare la vecchia legge del taglione e impostare, a tutti livelli, dalla quello familiare a quello più generale, che è sociale, la legge del perdono e della misericordia per tutti, senza, tuttavia, abbandonare la via della purificazione del rinnovamento personale e sociale. Dall'odio all'amore, il cammino è lungo e chi vuol percorrere questa strada deve sapere che la nuova legge dell'amore, fondata in Cristo, salvatore del mondo è una legge che ti porta ad amare persino i tuoi nemici. La disponibilità del cristiano deve essere totale e nessuno deve utilizzare le armi della vendetta per giustificare, a sua volta, i suoi ulteriori crimini, come risposta a precedenti crimini. "Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?"

Interrogativi che richiedono risposta con comportamenti consoni a questo messaggio. Lo sappiamo benissimo che questo è difficile, ma se ci lasciamo guidare dal nostro Maestro, che è Gesù Crocifisso, possiamo riuscirci ad amare tutti e a perdonare a quanti ci hanno fatto del male ed anche in modo evidente e consistente.

In questo discernimento spirituale che ci porta ad agire bene e ad essere docili allo Spirito Santo, ci viene in aiuto San Paolo Apostolo con il brano della seconda lettura di oggi, tratta dalla sua prima lettera ai Corinzi.

Non illudiamoci fratelli, contando sulle nostre umane intelligenze e bravure e capacità temporali. Nulla è davvero nostro, anche se è apparentemente nostro, o lo sentiamo come nostra proprietà a vario titolo. Tutti noi siamo di Cristo, che è il centro ed il vertice della creazione e della redenzione e Cristo è Dio e come Dio, tutto trova origine, motivo di esistere solo nel Dio unico e vero che ci ha rivelato Cristo, venendo su questa terra, soffrendo per noi, risorgendo ed ascendendo al cielo, ove siede alla destra di Dio Padre, in attesa di venire a giudicare i vivi e i morti, ben sapendo che il suo regno non avrà mai fine, mentre tutti gli altri regni e possessi finiscono, perché non sono divini, ma solo e soltanto umani e terreni.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Siate perfetti: chiamati ad amare come Dio

Siate perfetti come il Padre (Mt 5,48), siate santi perché io, il Signore, sono santo (Lev19,2). Santità, perfezione, parole che ci paiono lontane, per gente che fa un'altra vi­ta, dedita alla preghiera e alla contemplazione. E invece quale concretezza nella Bibbia: non coverai nel tuo cuore odio verso tuo fratello, non serberai rancore, amerai il prossimo tuo come te stesso (Lev 19,17-18).

La concretezza della santità: niente di astratto, lontano, separato, ma il quotidiano, santità ter­restre che profuma di casa, di pane, di gesti. E di cuore.

Siate perfetti come il Padre. Ma nessuno potrà mai esserlo, è come se Gesù ci domandasse l'im­possibile. Ma non dice «quanto Dio» bensì «co­me Dio», con quel suo stile unico, che Gesù tra­duce in queste parole: siate come Lui che fa sor­gere il sole sui buoni e sui cattivi.

Mi piace tanto questo Dio solare, luminoso, po­sitivo, questo suo far sorgere il sole su buoni e cat­tivi.

Così farò anch'io, farò sorgere un po' di so­le, un po' di speranza, un po' di luce, a chi ha so­lo il buio davanti a sé; trasmetterò il calore della tenerezza, l'energia della solidarietà. Testimone che la giustizia è possibile, che si può credere nel sole anche quando non splende, nell'amore an­che quando non si sente. C'è un augurio che ri­volgo ad ogni bambino che battezzo, quando il papà accende la candela al cero pasquale: che tu possa sempre incontrare, nei giorni spenti, chi sappia in te risvegliare l'aurora. Quante volte ho visto sorgere il sole dentro gli occhi di una per­sona: bastava un ascolto fatto col cuore, un aiu­to concreto, un abbraccio vero!

Amate i vostri nemici. Fate sorgere il sole nel lo­ro cielo; che non sorgano freddezza, condanna, rifiuto, paura. Potete farlo anche se sembra im­possibile. Voi potete non voi dovete. Perché non si ama per decreto. Io ve ne darò la capacità se lo desiderate, se lo chiedete.

Allora capisco e provo entusiasmo. Io posso (po­trò) amare come Dio! E sento che amando rea­lizzo me stesso, che dare agli altri non toglie a me, che nel dono c'è un grande profitto, che rende la mia vita piena, ricca, bella, felice. Da­re agli altri non è in contrasto col mio desiderio di felicità, amore del prossimo e amore di sé non stanno su due binari che non si incontra­no mai, ma coincidono. Dio regala gioia a chi produce amore.

Cosa significano allora gli imperativi: amate, pre­gate, porgete, prestate. Sono porte spalancate ver­so delle possibilità, sono la trasmissione da Dio all'uomo di una forza divina, quella che guida il sole e la pioggia sui campi di tutti, di chi è buo­no e di chi no, la forza solare di chi fa come fa il Padre, che ama per primo, ama in perdita, ama senza aspettarsi contraccambio alcuno.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Ecco l'autentico tempio di Dio

Continua, col discorso della montagna, la spiegazione delle beatitudini. Oggi in particolare si tratta (Matteo 5,38-48) di quella formulata come "Beati i miti", cioè quanti non usano violenza, neppure nell'intento di affermare un proprio presunto diritto.

Nell'antico Israele (prima lettura, Levitico 19), era già raccomandato l'amore del prossimo; ma per "prossimo" erano da intendere soltanto i connazionali: "Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo". E anche di fronte ai connazionali vigeva però la cosiddetta legge del taglione ("Occhio per occhio, dente per dente"). Gesù invece comanda: niente vendetta, mai violenza, neppure verso chi ci fa del male. Dice anzi, "Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano", per essere davvero figli del Padre celeste e dunque prendere lui a modello di comportamento. Niente violenza, amore verso tutti: una vera rivoluzione, che è lontana dall'essere pienamente attuata, ma già ha reso questo mondo, pur con tutte le sue brutture, certamente migliore di quello di duemila anni fa. Lo dimostra, quanto meno, un fatto: mentre un tempo l'oppressione, la prevaricazione, lo sfruttamento, insomma la violenza del più forte sul più debole era la norma, oggi gli stati civili l'hanno abolita nella loro legislazione, e quando avviene suscita in tutti almeno un sussulto di coscienza e la formale riprovazione.?

La ragione profonda di questi insegnamenti di Gesù sta nel suo richiamo alla dignità dell'uomo, che Dio ha adottato come figlio. Nella seconda lettura (1Corinzi 3,16-23) Paolo lo ribadisce con forza: "Non sapete che siete tempio di Dio, che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui, perché santo è il tempio di Dio, che siete voi. Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio".?

Tempio di Dio! Gli ascoltatori di Gesù conoscevano un unico tempio, quello di Gerusalemme, centro della loro vita, orgoglio della nazione, luogo della misteriosa ma reale presenza di Dio in mezzo al suo popolo: un luogo santissimo, in cui non era ammesso nulla e nessuno che lo profanasse. Oggi, anche a motivo delle parole di Paolo, per i cristiani la concezione del tempio è cambiata; più che dimora di Dio, esso è la casa dove i fedeli si radunano per celebrarlo. La Chiesa che Gesù ha fondato non è certo un edificio di pietra, ma l'insieme dei suoi fedeli; solo in seguito il termine è passato a designare anche gli edifici dove di solito i componenti della Chiesa si riuniscono. A differenza di quanto si è soliti dire, una chiesa di pietra non è la casa di Dio. Le chiese sono fatte per gli uomini; quanto alla dimora di Dio, più che tra quattro muri Egli si compiace di abitare nell'uomo, nell'unica creatura che ha fatto a sua immagine e somiglianza, che ha reso capace di dialogare con lui e accogliere i suoi doni; l'unica creatura autorizzata a chiamarlo Padre.?

Tutte le cure che istintivamente gli uomini dedicano ai templi di pietra non devono prevalere su quelle dei templi veri, fatti di corpo e anima, di intelligenza e di cuore. Se Dio abita nell'uomo, all'uomo è conferita una dignità incomparabile, che a nessuno è concesso di calpestare: non allo Stato, ad esempio praticando la tortura, privando i cittadini della libertà, tollerando situazioni di ingiustizia; non ai singoli, adottando comportamenti con cui di fatto non riconoscono nei propri simili quella dignità: sarà lecito tutelare il proprio buon diritto, ma mai offendendo, imbrogliando, sfruttando il prossimo, o disinteressandosi delle sue difficoltà, quando si è in grado di alleviarle. E neppure la dignità propria sarà lecito calpestare: non importa se in pubblico o in privato, la coscienza di essere tempio di Dio impedisce di svilirsi con pensieri e azioni che persino a un padre terreno ci si vergognerebbe di manifestare.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 19 febbraio 2017