3 agosto 2014 - XVIII Domenica del Tempo Ordinario: moltiplicare i gesti di pace, amore e carità

News del 01/08/2014 Torna all'elenco delle news

Un cristiano si identifica per quello che è in base alla carità e all'amore verso tutti. Nel Vangelo di questa domenica ci viene ripresentata la moltiplicazione dei pani e dei pesci da parte di Gesù per sfamare la fame della numerosissima folla che lo seguiva dovunque lui andasse. Cinque pani e due pesci, pari a sette elementi che Gesù ha disposizione da parte degli apostoli per moltiplicarli, fino ad essere in grado di sfamare la fame fisica della moltitudine che lo seguiva. I numeri che riporta Matteo, con una certa precisione e non senza un preciso intento di eccezionalità, ci fanno pensare effettivamente alla grandezza di questo uomo, Gesù Cristo, Figlio di Dio che va accolto e seguito. Anche il numero delle ceste che avanzarono, tutte piene, erano 12 ci indica chiaramente la soddisfazione della fame di Dio delle 12 tribù di Israele, dei dodici apostoli che seguivano Gesù nella sua itineranza di predicatore instancabile.

Un Gesù attento ai bisogni di tutti, da quelli fisici a quelli spirituali. Egli guarisce, Egli sfama, Egli sostiene il cammino dell'uomo nelle difficoltà quotidiane. Egli non abbandona mai nessuno, anche nella prova più difficile di fare l'impossibile. E qui in questo miracolo Gesù conferma la sua potenza divina e mette in essere un procedimento di chiamata-risposta all'amore, mediante il cibo materiale, che fa pensare al cibo spirituale che è l'eucaristia. Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, entrambi simboli eucaristici, ci indicano il percorso di fede che il cristiano è chiamato a compiere, mettendo al centro della sua vita proprio l'eucaristia, il pane del cammino. Senza questo pane, la fatica della vita di fede, ma anche quella umana è difficile da sopportare e superare in una visione lieta e fascinosa dell'esistenza. Ciò che rende davvero felice l'uomo su questa terra è la vera comunione con Cristo e con i fratelli, la cui sorgente sacramentale è proprio il pane eucaristico che riceviamo quotidianamente e soprattutto nel giorno dedicato al Signore che la domenica. Questo pane ci fa superare ogni limite della condizione umana.

Nel brano di oggi san Paolo Apostolo ci ricorda esattamente cosa succede all'uomo, toccato dall'amore di Dio. E' una persona felice, solida, stabile, coerente, forte e capace di superare le sofferenze e le prove della vita che sono sempre più dure per tutti. Nulla, assolutamente nulla ci potrà separare dall'amore di Dio che è forte dentro di noi e se viviamo per questo amore. Chi meglio di lui può scrive queste cose. Una vita problematica e travagliata la sua prima e dopo la conversione e soprattutto durante il grande impegno apostolico profuso a larghe maniche per portare l'annuncio del vangelo ad ogni uomo, non credente, del suo tempo. Le genti e il paganesimo ebbero da Paolo di Tarso una forte spinta alla vera conversione, a fare sul serio quando è in gioco la salvezza eterna del singolo e dell'intero popolo di Dio. Gesù chiede l'impegno personale affinché questo si realizza, si concretizzi. Di fronte alla fame e la sete, Gesù dice date voi stessi da mangiare con quel poco che avete. Il gesto di disponibilità e di generosità fa scattare il resto, ovvero la Provvidenza che è nelle mani di Colui che tutto può e vuole. Non comprendere mai abbastanza quanto sia importante mettere le nostre mani in ogni progetto di amore e solidarietà. Dio senza le nostre mani e il nostro poco non interviene, come è facile capire dal vangelo di oggi. Non possiamo chiedere tutto a tutto, qualcosa di nostro dobbiamo anche metterlo a disposizione sua, perché l'amore circoli nel mondo e la carità non sia solo una proclamazione di intenti, ma sia impegno e coerenza di vita. Seguire Gesù è seguirlo sulla strada del servizio, della carità e dell'amore, che poi arriva fino al dono supremo della croce. Alternative non ce ne sono per i discepoli che vogliono sinceramente fare un cammino di santità. C'è uno stile di vita che dobbiamo tenere e mantenere sempre come ci ricorda il profeta Isaia nella prima lettura di questa domenica, riportando le parole del Signore, così come giunte al suo orecchio e soprattutto alla sua intelligenza e al suo cuore.

Andare dal Signore, ascoltare la sua parola, scegliere ciò che è davvero utile e bene per se stessi e per gli altri nella logica del distacco dalle cose del mondo e della terra, la pane che non sazia mai, dall'acqua che non disseta mai. Ciò che soddisfa davvero i bisogni dell'uomo non sono i cibi della terra, ma i cibi che aprono gli spazi infiniti del cielo. Stabilire un patto d'amore e d'onore con Cristo è quanto siamo chiamati a fare sempre e per tutta la vita. Sia questa la nostra preghiera sincera e sentita di oggi e di sempre: "O Dio, che nella compassione del tuo Figlio verso i poveri e i sofferenti manifesti la tua bontà paterna, fa' che il pane moltiplicato dalla tua provvidenza sia spezzato nella carità, e la comunione ai tuoi santi misteri ci apra al dialogo e al servizio verso tutti gli uomini".

Proprio domenica scorsa, Papa Francesco, all'Angelus ha detto parole che invitano alla conversione del cuore e della vita: "Quante persone, quanti santi e sante, leggendo con cuore aperto il Vangelo, sono stati talmente colpiti da Gesù, da convertirsi a Lui. Pensiamo a san Francesco di Assisi: lui era già un cristiano, ma un cristiano "all'acqua di rose". Quando lesse il Vangelo, in un momento decisivo della sua giovinezza, incontrò Gesù e scoprì il Regno di Dio, e allora tutti i suoi sogni di gloria terrena svanirono. Il Vangelo ti fa conoscere Gesù vero, ti fa conoscere Gesù vivo; ti parla al cuore e ti cambia la vita. E allora sì, lasci tutto. Puoi cambiare effettivamente tipo di vita, oppure continuare a fare quello che facevi prima ma tu sei un altro, sei rinato: hai trovato ciò che dà senso, ciò che dà sapore, che dà luce a tutto, anche alle fatiche, anche alle sofferenze e anche alla morte". E parlando della tragedia di tutte le guerre anche quelle che si stanno combattendo in questi tempi ha detto parole forti che si inquadrano perfettamente nel tema della parola di Dio di questa domenica di inizio agosto 2014, mese delle vacanze e delle ferie per quanti se le possono permettere, dimenticando i tanti drammi dei nostri giorni: "Penso -ha detto Papa Francesco - soprattutto ai bambini, ai quali si toglie la speranza di una vita degna, di un futuro: bambini morti, bambini feriti, bambini mutilati, bambini orfani, bambini che hanno come giocattoli residui bellici, bambini che non sanno sorridere". Tra le tante persone sfamate da Gesù con la moltiplicazione dei pani e dei pesci del vangelo di oggi, ci ricorda l'evangelista Matteo che c'erano "donne e bambini". Gesù ha dato loro un cibo vero e un sostentamento necessario, non a dato loro armi per uccidere, ma pane e pesci per sfamarsi. La vera guerra che dobbiamo combattere è contro la violenza, le guerre, la fame, la miseria, la mancanza di speranza che uccide nel cuore e nel fisico milioni di persone ogni anno nell'indifferenza generale, nella cattiveria di quanti dovrebbero operare per la pace, mentre operano solo ed esclusivamente per fare del male e fare dei danni.

Signore liberaci da chi progetta il pane dell'odio o lo mette sulla tavola dei violenti e de senza Dio. Amen.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Dio nutre e alimenta ogni vita

I discepoli, uomini pratici, suggeriscono: «Congeda la folla perché vadano a comprarsi da mangiare». Se non li congeda Lui, loro non se ne andranno. Ma Gesù non li manda via, non ha mai mandato via nessuno.

Anzi dice ai discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». Mi intenerisce questo Gesù che non vuole allontanare da sé nessuno, che li vuole tutti intorno anche a mangiare. È una immagine femminile di Dio, un Dio che nutre e alimenta ogni vita. Quante volte nel Vangelo lo si vede intento a condividere il pasto con altri, e contento di questo, da Cana all'ultima cena fino a Emmaus.

Così tanto amava mangiare con gli altri, tenerli vicini a sé, che ha fatto di questo mangiare insieme il simbolo di tutta la sua vita: «quando me ne andrò e non potrò più riunirvi e darvi il pane, spezzarlo e condividerlo insieme, voi potrete unirvi e mangiare me».

Ci sono molti miracoli in questo racconto. Il primo è quello della folla che, scesa ormai la notte in quel luogo deserto, non se ne va e resta lì con Gesù, presa da qualcosa che lui solo ha e nessun altro sa dare. Il secondo sono i cinque pani e i due pesci che qualcuno mette nelle mani di Cristo, fidandosi, senza calcolare, senza trattenere qualcosa per sé. È poco ma è tutto, è poco ma è tutta la sua cena, è solo una goccia nel mare ma è quella goccia che può dare senso a tutta la sua vita (Madre Teresa).

Il terzo miracolo: quel poco pane, quei pochi pesci bastano per tutti, bastano perché condivisi. Secondo una misteriosa regola divina, quello che spartisci con gli altri si accresce: quando il pane da mio diventa nostro, anziché diminuire si moltiplica. Il miracolo è che Dio ferma la fame del mondo attraverso le nostre mani quando imparano a donare. L'aveva detto: «Voi farete cose più grandi di me». Noi abbiamo la terra, tutta la terra da sfamare, ed è possibile, a patto che diventi possibile la condivisione.

E infine: «Raccolsero gli avanzi in dodici ceste», una per ogni tribù di Israele, una per ogni mese dell'anno. Tutti mangiano e ne rimane per tutti e per sempre. E hanno valore anche le briciole, il poco che sei e che hai.

Niente è troppo piccolo per non servire alla comunione. Niente è troppo piccolo di ciò che fai con tutto il cuore, perché ogni gesto 'totale', senza mezze misure, per quanto minimo, ci avvicina all'assoluto di Dio. Che diritto hanno i cinquemila di avere pane e pesce? L'unico loro diritto è la fame, l'unico titolo per ricevere è la povertà.

Davanti a Dio io non ho nessun merito da vantare se non la mia povertà e la mia fame: la mia debolezza, diceva Paolo. E lui, il Dio che ama nutrire, verrà a dare pane a chi ha fame e ad accendere fame di cose grandi in chi è sazio di solo pane.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Voi stessi date loro da mangiare

Terminato il discorso in parabole, Matteo sottolinea quanto l'identità di Gesù diventi un problema sconcertante: "Ma chi è costui? Non è il figlio del falegname...", si chiedevano proprio nella sua patria, ed "era per loro motivo di scandalo" (Mat.13,54ss).

Mentre la gente di Nazareth rimane scettica di fronte all'autorevolezza di Gesù, Erode vede in lui Giovanni il Battista risorto dai morti con il potere di compiere prodigi. Ma chi è dunque questo Gesù, così umile e così potente? "Da dove gli vengono allora tutte queste cose?" Il brano che segue, l'inizio di Matt.14 con la prima moltiplicazione dei pani, è la risposta, non teorica, che mostra chi è Gesù e da dove gli vengono queste cose.

Ciò che scandalizza la gente e impaurisce il potere, è la sua forza nuova: ma cos'è questa sua forza nuova? Dice Matteo: "Sentendo questo, Gesù si ritirò di lì, in una navicella, in un luogo deserto, da solo". Il verbo "ritirarsi" è frequente in Matteo: mentre descrive gli avvenimenti, ha pure un valore simbolico, come tutto nel linguaggio evangelico. Di fronte allo scandalo della gente e al timore dei potenti, Gesù non esibisce la sua forza, "si ritrae": è la sua novità. La sua forza non è potere, non vuole schiacciare, non è un suo possesso, un suo privilegio, non vuole suscitare gelosie: la "forza nella debolezza", dice Paolo, è la logica di Dio, dell' "Amore". Ed è proprio nel suo ritrarsi che le folle lo seguono, "a piedi, dalle città": il bisogno di Lui, del suo amore, attira le folle verso Gesù. Quando Matteo scrive per la sua comunità, è testimone del bisogno inconscio di Cristo del mondo: "uscendo" (anche questo verbo è simbolico: "ritrarsi" ed "uscire" sono le dimensioni dell' "Amore"che non può restare nella navicella mentre il mondo ne ha un immenso bisogno), "vide"..., "ebbe compassione...", "guarì...". Ecco, adesso sappiamo cos'è la forza di Gesù: l'Amore che com-patisce. E sappiamo chi è Gesù: è l' "incarnazione" che rende possibile, visibile e concreto l'Amore del Padre per il mondo.

L'episodio che segue, la "moltiplicazione dei pani", continua a mostrare la novità di Gesù e della sua forza, alla quale egli vuole rendere partecipi i suoi discepoli. Tutto è narrativo e così quotidiano, e pure tutto è simbolico, aperto ai significati più profondi: le folle bisognose di Lui, il mondo, il deserto, la fame, la sera... Ed entrano in scena i discepoli (noi!): anche loro hanno percepito il bisogno della folla, hanno fatto una diagnosi precisa della situazione ed hanno avanzato la loro proposta. "Sciogli la folla perché andando nei villaggi compri per se il cibo". Ma la logica di Gesù è l'opposto di quella dei discepoli: se essi hanno proposto l'allontanamento della folla perché ciascuno provveda a se stesso, Gesù nega la necessità dell'allontanamento e chiede ai discepoli di farsi carico della folla. I discepoli giustamente sottolineano l'imparità dei mezzi di cui dispongono, solo cinque pani e due pesci: ma proprio a questo punto appare tutta la novità di Gesù e il motivo della sua forza. Egli è venuto al mondo non per disperdere, ma per essere strumento dell'Amore che unisce le folle disperse e sofferenti. I suoi discepoli sono chiamati a partecipare a questa missione: è una missione di Amore che non si misura dalla quantità dei mezzi umani, ma dalla disponibilità ad essere solo strumento povero attraverso il quale passi l'Amore infinito. Gesù "presi i cinque pani e i due pesci, guardando verso il cielo, pronunciò la benedizione e spezzandoli, diede i pani ai discepoli, e i discepoli alla folla". Gesù è il centro attorno al quale si amplia il cerchio dell'Amore che dà senso a tutto ciò che esiste: dal Padre a Gesù, e attraverso Lui, ai suoi discepoli e ad ogni realtà, ad ogni persona chiamata a gustare e a non trattenere l'Amore, ma a trovare tutte le vie e le modalità per donarlo.

Chi è Gesù? Matteo abbonda in riferimenti all'A.T.: Gesù è il nuovo Mosè che conduce il popolo attraverso il deserto del mondo; è il profeta più potente di Eliseo; è il pastore che fa riposare il popolo stanco su erba fresca... Gesù è la carne umana, attraverso la quale passa l'Amore del Padre per il mondo: proprio nel momento nel quale i suoi lo rifiutano, egli dona se stesso per riunire il nuovo popolo di Dio. La sua potenza è solo l'Amore: amato dal Padre, dona se stesso e chiede soltanto di essere accolto perché non si fermi la catena dell'Amore. Il linguaggio di Matteo è chiaramente "eucaristico": ma l' "eucaristia" è vera perché è la realtà stessa che dall'Amore di Cristo prende il suo significato più pieno.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 3 agosto 2014

tratto da www.lachiesa.it