8 giugno 2014 - Solennità di Pentecoste: Ciascuno riceve il dono di manifestare lo Spirito in vista del bene comune

News del 07/06/2014 Torna all'elenco delle news

Al tempo di Gesù gli Ebrei celebravano la festa di Pentecoste per fare memoria del dono della Legge fatto da Dio al suo popolo: su questa festa ebraica si è innestata la Pentecoste cristiana per fare memoria del dono dello Spirito Santo che crea il popolo nuovo. La Pentecoste è la nascita della Chiesa popolo di Dio, non perché osserva la Legge, ma perché vive dello Spirito Santo: appare così la centralità della Pentecoste nell'esperienza cristiana. Il discepolo di Gesù è animato interiormente dallo Spirito santo: non è più la Legge che guida la sua vita, ma lo Spirito Santo, voce che parla nel cuore e forza che rende possibile una vita che va oltre la Legge. La Pentecoste è la festa che fa memoria del momento nel quale i discepoli di Gesù per la prima volta hanno fatto l'esperienza della presenza del suo Spirito che li rendeva partecipi della sua stessa vita di Figlio di Dio. Oggi noi celebriamo la festa di Pentecoste: la Liturgia rende presente per noi l'effusione dello Spirito di Cristo risorto perché rinasca in noi il Figlio di Dio e rinasca la Chiesa come popolo nuovo, animata dal vigore della Spirito di Dio. E' una festa affascinante la Pentecoste: si manifesta nel mondo la incontenibile ricchezza e varietà di Dio, appare la perenne giovinezza di Cristo e la Chiesa rinasce sempre nuova come sposa amata da Cristo risorto.

Leggendo il brano del Vangelo di Giov.20,19-23, riviviamo l'esperienza nella quale i discepoli di Gesù sono rinati come Chiesa ricreata dallo Spirito. Anche noi siamo schiavi delle nostre paure e se analizziamo attentamente la nostra realtà personale e le situazioni in cui ci troviamo a vivere, ci accorgiamo di quali ne siano le radici. Quando pensiamo di poter contare solo sulle nostre forze che sentiamo inadeguate di fronte alla complessa difficoltà del tempo in cui siamo chiamati a vivere, spranghiamo le porte, ci chiudiamo in noi stessi e viviamo sulla difensiva: è la vittoria della paura, è la premessa della sconfitta. In realtà, non siamo soli: tutto rinasce quando cominciamo a credere che "Lui è venuto e rimane in mezzo a noi". E' l'esperienza della presenza di Cristo che risorgendo ha abbattuto il muro della morte: per poter amare "sino alla fine" è "passato da questo mondo al Padre". Il suo amore ha la potenza divina di abbattere i muri sprangati: anche nei cuori più chiusi, anche nelle paure più angoscianti, Lui è presente. Tutto comincia a rinascere quando crediamo che siamo attirati dentro una relazione divina, da un Amore che annulla la paura.

"La pace sia con voi", ripete Gesù ai suoi discepoli: la pace è la pienezza dei doni messianici; quello di Gesù non è un semplice augurio, una esortazione psicologica ma è l'offerta della possibilità che l'uomo da solo non ha, di affrontare le difficoltà della vita, di vincere la paura radicale che impedisce di vivere. E la paura lascia il posto alla gioia, frutto dell'esperienza che il Vangelo descrive così: "E i discepoli gioirono al vedere il Signore". Quando dal profondo della nostra solitudine ci apriamo all'incontro con Lui che viene e rimane con noi, entriamo in una relazione che ci vivifica donandoci la forza per fare nuove le cose e cominciamo a sperimentare la gioia che deriva dal vedere il Signore operante nella nostra vita. Comincia infatti una vita libera dalla paura, non più chiusa in se stessa, sulla difensiva, comincia una vita che diventa " missione": "Come il Padre ha mandato me, io mando voi". Nel Vangelo di Giovanni Gesù parla spesso della missione da Lui ricevuta dal Padre: la sua vita, la sua parola, i suoi gesti, la sua persona è "missione" ricevuta dal Padre, che consiste nel donare al mondo la vita del Padre. Quanto più il mondo si lascia amare e tanto più vive. Il Vangelo di Giovanni è il Vangelo della vita: è stato scritto infatti perché credendo gli uomini abbiano la vita nel suo nome. La missione di Gesù viene da Lui affidata ai discepoli, ma come Gesù ha ricevuto tutto dal Padre, adesso occorre che essi ricevano tutto da Lui. La missione affidata a noi, è la stessa missione di Gesù: non si tratta di realizzare progetti umani ma di donare al mondo la vita, l'Amore del Padre. Per questo Gesù "soffiò e disse: Ricevete lo Spirito Santo." Occorre che nasca l'uomo nuovo, occorre il dono dello Spirito di Gesù risorto che faccia della creatura umana in cui Dio ha soffiato il suo Spirito, un Figlio che viva della vita di Dio e riveli al mondo l'Amore del Padre: lo Spirito è donato perché possa esserci la missione. E Gesù precisa ancora meglio il senso della missione: "A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". La missione affidata a noi, ancora una volta è la stessa di Gesù: dire al mondo la parola del perdono di Dio, rivelare al mondo il volto di Dio che è il volto del Padre, infinita misericordia, solo dono e perdono. La seconda parte della frase di Gesù: "a coloro a cui non perdonerete." ci colpisce. E' impossibile pensare che la misericordia del Padre possa avere dei limiti: è impossibile pensare che la nostra missione possa essere quella di "non perdonare." In realtà la missione di Gesù non ha limiti e così la nostra: la missione è la passione che ci muove, che muove le nostre parole, i nostri gesti, la nostra persona per annunciare al mondo il dono infinito del Padre. Annunciare l'Amore con la forza dello Spirito Santo, crea il perdono dei peccati e genera un mondo nuovo iniziato in quel "primo giorno" della nuova settimana: è affidata alla nostra responsabilità la missione di non lasciar mancare al mondo l'annuncio del perdono del Padre che ha la forza di creare un nuovo universo.

La seconda lettura della Liturgia di Pentecoste (1 Cor.12), è una meravigliosa descrizione di ciò che ci è dato di vivere quando ci lasciamo afferrare dallo Spirito Santo. Contiene una particolare definizione della Chiesa: è il luogo nel quale "ciascuno riceve il dono di manifestare lo Spirito, in vista del bene di tutti". Per questo esiste la Chiesa e in questo ogni persona trova il senso della propria vita: manifestare lo Spirito Santo, facendo della propria vita un dono per gli altri.

E pure la prima lettura, Atti 2,1-11 è per noi, oggi: in quella prima Pentecoste dopo la risurrezione di Gesù, Gerusalemme è piena di stranieri che parlano la propria lingua, hanno la propria cultura. Gerusalemme manifesta il suo volto pluriculturale irriducibile alla uniformità: solo il fuoco dello Spirito santo rende possibile la meraviglia di capire e vivere l'unità nella pluriformità. "Tutti erano stupefatti e perplessi e si chiedevano: Che cosa significa questo? Altri invece li deridevano e dicevano: Si sono ubriacati di vino dolce" (Atti 2,12)

E noi celebriamo la Pentecoste, accogliamo lo Spirito santo, l'Amore del Padre che ci libera dalla paura e ci fa vivere una vita stupenda, ci dà la passione incontenibile per un mondo ricreato dal perdono, partecipi di un popolo nuovo che è la Chiesa arricchita di ogni dono per il bene di tutti: che cosa ci manca? Nulla, se abbiamo il coraggio di non rimanere aggrappati ai nostri muri chiusi.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Il soffio dello Spirito rende unici

La casa fu piena di ven­to, e apparvero loro co­me lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno. E ognuna ac­cende un cuore, sposa una libertà, consacra una diver­sità. Lo Spirito dà a ogni crea­tura una genialità propria, u­na santità che è unica. Tu non devi diventare l'oppo­sto di te stesso per incontra­re il Signore, per essere san­to. In Gesù, Dio ha riunificato l'umanità in un popolo di fratelli. Nello Spirito fa della mia unicità e diversità una ricchezza. La Chiesa come Corpo di Cristo è comunione; la Chie­sa come Pentecoste continua è invenzione, poesia creatrice, ricerca. Come due tempi di un solo movimento. Nel Cristo sia­mo uno, nel soffio dello Spirito siamo unici. Il libro de­gli Atti narra che gli apostoli quella mattina parevano «come ubriachi»: ebbri, ec­cessivi, fuori misura. Bisogna essere così per parlare di Cri­sto, un po' fuori misura, un po' incoscienti, un po' «pre­si», altrimenti non riscaldi il cuore di nessuno. Ubriachi, ma di speranza, di fiducia, di generosità, di gioia.

...Ciò che è accaduto a Geru­salemme, 50 giorni dopo la Risurrezione, avviene sempre, avviene per ciascuno: siamo perennemente im­mersi in Dio come nell'aria che respiriamo. A noi che cosa compete? Ac­cogliere questo straordina­rio respiro di Dio che ripor­ta al cuore Cristo e le sue pa­role e ci trasforma; acco­glierlo, perché il mio picco­lo io deve dilatarsi nell'infi­nito io divino. E poi la missione: a coloro cui perdonerete i peccati saranno perdonati, a coloro cui non perdonerete non saranno perdonati. Il perdono dei peccati è l'im­pegno di tutti coloro che hanno ricevuto lo Spirito, donne e uomini, grandi e bambini. Perdonate, che vuol dire: piantate attorno a voi oasi di riconciliazione, piccole oasi di pace in tutti i deserti del­la violenza; tutto intorno a voi create strade di avvicinamenti, aprite porte, riaccen­dete il calore, riannodate fi­ducia. Moltiplichiamo pic­cole oasi e queste conqui­steranno il deserto. «Perdo­nare significa de-creare il male» (Panikkar). Allora venga lo Spirito, riporti l'innocenza e la fiducia nel­la vita, soffi via le ceneri del­le paure, «consolidi in cia­scuno di noi la certezza più umana che abbiamo e che tutti ci compone in unità: l'a­spirazione alla pace, alla gioia, alla vita, all'amore» (G. Vannucci).

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Trasformare la materia in spirito

...il vero comandamento non sono più i Dieci Comandamenti ma l'ascolto dello Spirito. Fede non è eseguire (comandamento) ma permettere al Dio in me di vivere secondo la sua forma (la vera obbedienza è al Dio che ho dentro).

Cosa sta succedendo? Gesù è morto e gli apostoli sono presi dalla paura. Per loro questo è un momento di crisi forte, profonda, radicale, decisiva. Gli apostoli, quindi, si chiedono: "E adesso, che si fa?". Quante volte ci troviamo in questa situazione e ci diciamo: "E adesso che si fa?". C'è una legge che dice: "Non si può risolvere un problema allo stesso livello del problema". Per risolverlo bisogna passare ad un livello più alto.

Cos'è successo il giorno di Pentecoste? Pentecoste per gli apostoli è stato un salto qualitativo, quantico. Cioè: da un livello di superficie, più basso, sono passati ad un livello più alto, interno, dall'esteriorità sono passati all'interiorità. Guardate nella prima lettura (è il centro della festa: sono gli Atti, infatti, e non i Vangeli che descrivono la discesa dello Spirito sugli apostoli): vi sono tre immagini.

Il vento (At 2,2): ma non è tanto un vento esterno, materiale, ma interno, spirituale. Il vento è la libertà che tu puoi avere: se ce l'hai, hai il coraggio di uscire, di esporti al giudizio, di affrontare le sfide, di osare, di rischiare, di esprimerti per ciò che sei, ecc. Se non ce l'hai sei nella condizione degli apostoli prima della Pentecoste: pieni di paura (20,19).

Il fuoco (At 2,3): le lingue non sono lingue fisiche, ma è il fuoco che si accende dentro, la passione che ti arde. Il fuoco è la forza, la passione, la tenacia, l'ardore, il coraggio, "l'essere preso", il giocarti del tutto per una causa o un motivo, l'entusiasmo, la vitalità che brucia e arde dentro. Se non ce l'hai sei come gli apostoli prima della Pentecoste: freddi senza motivazione, rinchiusi.

Parlare le lingue (At 2,8-11): non è che in un attimo sapessero tutte le lingue del mondo. La lingua che parlano è la lingua del cuore, dell'amore, quella lingua che tutti capiscono se sono vivi, la lingua che ti tocca, che ti fa vibrare, che parla al tuo cuore.

Gesù non c'era più: questo non cambiò. A questo livello, a livello storico, materiale, Gesù non lo videro più come prima e non gli poterono più parlare come prima. Ma ad un altro livello, più alto, spirituale, lo avevano con loro e dentro di loro come libertà, come passione, come coraggio, come amore. E da questo punto di vista Lui era sempre con loro.

Il grande compito di ciascuno di noi è di trasformare il materiale in spirituale. Il grande simbolo è la croce e il Crocifisso. La croce è formata da due braccia: uno orizzontale e uno verticale. Su quello orizzontale ci sono le braccia aperte di Gesù che prende, accoglie, raccoglie, accetta tutto ciò che c'è nel mondo: odio, cattiveria, ingiustizia, morte, tradimento, ecc. Su quello verticale c'è Gesù che porta, eleva, trasforma tutto questo in opera di salvezza. Per questo possiamo dire che la sua Croce (che da un punto di vista materiale, storico, è un obbrobrio di ingiustizia e sadismo) è la nostra salvezza (da un punto di vista spirituale, la Croce è lo strumento con cui Lui ci salva). Gesù cioè dà un senso alle ingiustizie e all'odio stupido e ingiusto che riceve. Ciò che gli capita, ha un senso? No! Storicamente è una brutalità, una bestialità. Ma adesso Gesù trasforma il non-senso in senso, in opera di salvezza. Gesù è il Grande sacerdote. Sacerdote=colui che fa sacre le cose. Gesù sacralizza quest'umanità che lo uccide. Pontefice=ponte-fix=fare ponte: è colui che fa da ponte, che mette in contatto il materiale-spirituale. Tutti noi siamo chiamati ad essere sacerdoti (pontefici), a trasformare il materiale in spirituale.

Un amico non mi chiama più. Livello materiale: odio verso lui e dolore. Spirituale: imparo la libertà delle relazioni. Mio padre e mia madre si sono separati e io ho sofferto tantissimo e ne porto ancora i segni. Materiale: dolore e rabbia. Spirituale: Dio è il Padre e la Madre che non mi lasciano mai.  Allora tutto ciò che succede viene elevato, trasformato, sacralizzato. La materia diventa spirituale; ciò che è basso diventa alto e ciò che è senza senso inizia ad averlo per me. E quando il sacerdote trasforma un po' di pane (materia) in Corpo di Cristo (Spirito) e un po' di vino (materia) in sangue di Cristo (Spirito), ci sono anch'io su quell'altare, sacerdote della mia vita a trasformare, elevare, sacralizzare i miei giorni e ciò che mi succede. Tutto è spirituale per chi ha lo Spirito nel cuore. Tutto è materiale per chi non si eleva e non diviene sacerdote della propria vita.

La festa di Pentecoste esprime la verità che Dio abita dentro di noi. Dio non è più presente fisicamente in mezzo a noi; Dio è presente con il suo Spirito. Molti pensano che lo Spirito sia qualcosa che si aggiunge a quello che siamo. Ma lo Spirito non è un di più, ma qualcosa che noi già siamo. Altri pensano che lo Spirito sia in contrasto con la materia - e non vi è cosa più erronea. Per cui spirituale vuol dire disincarnato, fuori del mondo.  Lo Spirito non viene in noi un giorno della nostra vita ma abita già in noi. Lo Spirito non è nient'altro che il modo con cui Dio abita in noi. Ed essere spirituali non è pregare molto, o fare cose religiose, frequentare la chiesa, o pellegrinaggi. Essere spirituali vuol dire vivere facendo emergere ciò che ci abita dentro. E' un modo di vivere. Non c'è uno spirito dentro la materia. La materia è simultaneamente spirito e materia. Non esiste uno spirito distaccato dalla materia ma la materia stessa è spirito. Tutto è materia o tutto è spirito. Dipende da cosa vedi tu.

Materia è il pane della domenica sull'altare. Spirito è quando io vedo in quel pane, il Pane, il Cristo. Materia è quando vedo di fronte al nuovo giorno solo un altro giorno di lavoro. Spirito è quando posso vedere un'altra opportunità che mi viene data per sperimentare la vita. Materia è mangiare, spirito è gustare. Materia è respirare (avviene in automatico), spirito è essere consapevoli del respiro (non a caso ruah, spirito, in ebraico vuol dire anche soffio). La stessa vita può essere terribilmente materiale o terribilmente spirituale, piena di buio o di luce. Tutto può essere materia o tutto può essere spirito, dipende dai miei occhi.
Pensiero della Settimana - Ti guardo: "Dio è qui". Mi guardo: "Dio è qui".

Omelia di don Marco Pedron

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Solennità di Pentecoste (Anno A) 8 giugno 2014